3.3 “Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo”: la comu nicazione del
4. I Trattati europei, in particolare dopo Lisbona
4.1. La possibile rivoluzione dell’articolo 11 TUE
In particolare, va ricordato l’articolo 11 del TUE. Tralasciando il comma 4, che si occupa dell’iniziativa legislativa popolare (un tema connesso alla presente in- dagine ma diverso e a sé stante, su cui non mi soffermerò), meritano attenzione
soprattutto i primi tre commi:
1. Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli oppor- tuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione.
2. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile.
3. Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.
L’articolo 11, insieme alle altre Disposizioni relative ai principi democratici, fu introdotto dal Trattato di Lisbona e segna una “costituzionalizzazione” dell’aper- tura dell’UE ai gruppi d’interesse e dell’obbligo delle istituzioni di mantenere un dialogo aperto con i medesimi77, un principio di cui fino a questo momento manca-
va un “riconoscimento formale” 78.
Sull’art. 11 TUE e sull’impatto potenziale di questa disposizione ai fini del di- scorso europeo sul lobbying, ritengo sia di fondamentale interesse il ragionamento svolto da Joana Mendes in un suo intervento del 2011 sulla Common Market Law
Review79, che qui riporterò diffusamente.
77 Sul punto, v. ad es. V. Cuesta López, The Lisbon Treaty’s Provisions on Democratic
Principles: A Legal Framework for Participatory Democracy, 16(1) European Public Law
123 (2010), nonché D. Ferri, Dal Libro bianco sulla governance al nuovo registro per
la trasparenza: l’UE tra participatory engineering e democrazia partecipativa, 22(3-4) Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 481 (2012). Per uno studio del lobbying
nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, v. più in generale K. Joos, Lobbying in
the new Europe. Successful representation of interests after the Treaty of Lisbon, Wiley,
Weinheim, 2011, in particolare la Part 4, Lobbying at European Union institutions — fra-
mework and approaches, 87-119. V. anche la Part 7, K Street a Model for Brussels?, 195 ss..
78 Così D. Ferri, European Citizens... Mind the Gap! Some Reflections on Participatory
Democracy in the EU, 5(3) Perspectives on Federalism 56, 66 (2013); l’Autrice nota pe-
raltro come, a onor del vero, «Art. 11 TEU, however, does not give a clear definition of
“dialogue,” nor does it define its scope, procedures, or players». Il termine dialogue risale
al suo utilizzo nel 1996 da parte della DG social policy, che invocava la necessità di un “civil dialogue” in parallelo al “social dialogue”, che invece era stato fortemente istituzio- nalizzato sin dal Trattato di Maastricht (così ancora D. Ferri, op.loc.ult.cit.). Quanto infine alle consultazioni, si tratta di «soft tools mainly used by the Commission to receive technical
knowledge and identify the interests and needs of interested parties before developing legi- slative proposals. Analogously to the dialogue(s), they pre-date the Lisbon Treaty.
Consultations are formally open to all stakeholders, interested parties and the wider public, allowing for a wide range of actors that include public authorities, businesses, associations of different kinds as well as individual citizens, but participation patterns and rates vary greatly from one consultation to another» (sempre D. Ferri, European Citizens, cit. 67).
Il punto di partenza è che, sino all’introduzione nei Trattati di questa disposizio- ne, la partecipazione come principio ispiratore della governance europea era rima- sta essenzialmente sul piano della prassi, ma non era assurta a un riconoscimento espresso di hard law. Dal canto suo, la Corte di Giustizia dell’Ue, come si è visto al § 2 di questo Capitolo, non ha mai riconosciuto esistente un diritto – giuridicamente sancito dai Trattati – in capo alle parti interessate di partecipazione ai processi de- cisionali delle istituzioni. L’art. 11 TEU, però, – scriveva Mendes – potrebbe essere alla base di un completo cambio di scenario, anche se a tutt’oggi tale implicazione non è ancora stata sviluppata dalle istituzioni europee, Corte inclusa80.
L’art. 11 TEU, infatti, «presuppone una transizione dagli usi strumentali della partecipazione tipici della governance partecipativa, alla partecipazione concepi- ta come una base della democrazia partecipativa. [...] [Q]uesto cambiamento nor- mativo potrebbe richiedere l’espansione del ruolo del diritto con riferimento alla partecipazione, in particolare nelle procedure legislative, da cui il diritto è stato virtualmente escluso»81.
A dire il vero, l’art. 11 contiene una serie di aspirazioni di principio, che po- trebbero venire considerate delle «vuote affermazioni declamatorie» più che fon- te di autentici obblighi in capo alle istituzioni. Inoltre, l’interpretazione delle sue disposizioni è alquanto incerta, tra le altre cose perché sono rivolte soltanto alle istituzioni, senza includere tutti gli uffici e agenzie che invece svolgono un ruolo centrale nel processo decisionale e che in effetti sono espressamente contemplati da altre disposizioni dei Trattati.
Secondo Mendes, questa «natura asistematica» dell’articolo 11 deriva proprio dalla storia della partecipazione nelle Comunità Europee, poi Unione europea, dove essa è sempre stata cercata e realizzata, soprattutto dalla Commissione, ma appunto senza un preciso obbligo normativo alla base, e quindi inevitabilmente in modo frammentato e disorganico.
Anche quando, con il percorso esaminato al paragrafo precedente, la Commissione ha intrapreso un tentativo di sistematizzare il proprio rapporto – da sempre esistente – con i gruppi di interesse e i lobbisti, comunque la partecipazione ha mantenuto i propri «tratti di strumentalità», ovvero la sua natura, che ho più volte cercato di mettere in luce appunto al § 3, di strumento funzionale al perse- guimento di politiche più rispondenti ai bisogni dei cittadini, e quindi in definitiva della democrazia.
L’art. 11, almeno nella lettura “normativa” proposta da Mendes, sembra aver determinato una soluzione di continuità in questo quadro da tempo consolidato, facendo della partecipazione un principio fondativo dell’Unione europea, e so- riportati sono mie.
80 Cfr. D. Ferri, European Citizens, cit., 66-67. 81 J. Mendes, Participation and the role of law, cit., 2.
prattutto «un principio giuridico in luogo di un’aspirazione politica», che fonda la legittimazione democratica dell’ordinamento giuridico dell’Unione82 e richiede
pertanto riforme politiche e giuridiche.
Questa disposizione sembra cioè imporre uno standard minimo alla luce del quale misurare le pratiche di partecipazione: è vero che «le sue disposizioni sono piuttosto deboli con riguardo alla posizione dell’individuo o delle associazioni – o, in effetti, del cittadino – in relazione alle istituzioni dell’UE (con l’eccezione del comma 4). Esse prevedono doveri delle istituzioni, più che diritti degli individui o delle associazioni rappresentative a partecipare. [...] E tuttavia, il cambiamento normativo che l’articolo 11 presuppone – nell’interpretazione sostenuta in questo lavoro – implica il portare l’attenzione sulle relazioni dei partecipanti [...] con le istituzioni e i corpi dell’UE [...]. Questo cambiamento richiede di assicurare la pos- sibilità di essere ascoltati a coloro che sono interessati a partecipare, e in particola- re, l’uguaglianza di trattamento dei partecipanti».
In altre parole, l’articolo 11 sembra per la prima volta porre le basi per un pos- sibile riconoscimento di un diritto al lobbying nell’ambito dell’Unione europea. Se è vero, come spiega Mendes, che questa disposizione stabilisce più doveri in capo alle istituzioni europee che diritti in capo ai singoli, è pur vero che tali doveri generici implicano necessariamente il correlativo diritto dei singoli di volta in volta interessati ad esigerne il rispetto, e soprattutto ad agire in giudizio per chiederlo là dove tale loro pretesa non venga spontaneamente soddisfatta.
Una simile conclusione è carica di conseguenze, perché comporta un necessario adattamento delle attuali procedure per garantire il rispetto dei nuovi standard di partecipazione imposti dall’art. 11 TUE. Ma questa «giuridificazione della parte- cipazione è controversa», perché può comportare un ritardo nel processo decisio- nale, attribuire uno spazio troppo ampio al controllo giurisdizionale, e rafforzare la capacità di influenza dei gruppi meglio organizzati e più potenti. Per converso, continuare a lasciare alle istituzioni discrezionalità su modi tempi e protagonisti della partecipazione, quando esse “la ritengano appropriata”, non sembra in grado di soddisfare le esigenze dell’art. 11, che, nello stabilire la partecipazione in via pervasiva e generalizzata nell’ambito del processo decisionale europeo a tutti i suoi livelli, sembra porre, forse ben oltre le intenzioni stesse di coloro che lo redassero, il rispetto, e quindi l’ascolto delle ragioni di quanti vengono coinvolti da una deci- sione pubblica come condizione di legittimità di quella decisione e più in generale dell’ordine democratico entro il quale essa viene adottata.
Si pone qui in tutta la sua evidenza la problematicità del nesso libertà-democ- razia, che corre sotto traccia a tutto il discorso sul lobbying: tanto maggiore è l’in- terferenza che il processo democratico determina sulle libertà di individui, gruppi 82 Su questo aspetto Mendes cita A. Von Bogdandy, “Founding Principles”, in A. Von Bogdandy, J. Bast (Eds.), Principles of European Constitutional Law, Hart publishing, Oxford, UK, 2010, 11-54, in particolare 21-23.
ed enti, tanto più forti sono i diritti che l’art. 11 sembra essere giunto a riconoscere ai soggetti di volta in volta interessati, e che possono spaziare da un vero diritto di partecipazione, a un più limitato diritto di accesso e di motivazione83.
Come già accennato, comunque, questo percorso implica l’attribuzione a cit- tadini e associazioni rappresentative del diritto di «contestare la legittimità di atti giuridici sulla base di una violazione dell’articolo 11 o delle regole giuridiche che attuano questo articolo del Trattato». È vero che, come si è accennato al § 2, l’inter- pretazione da parte della Corte di Giustizia delle condizioni per lo standing poste dell’art. 263(4) TFUE, tradizionalmente molto restrittiva, continua ad essere tale anche dopo la modifica apportata dal Trattato di Lisbona (e quindi non in grado di assicurare a individui ed enti la possibilità di far valere giudizialmente i diritti ad essi spettanti in virtù dell’art. 11 TUE), ma è possibile che prima o poi la Corte sia costretta a rivedere la propria giurisprudenza sul punto, almeno là dove il coin- volgimento del Parlamento Europeo è minore e quindi vi è scarsa possibilità di controllo anche da parte dei rappresentanti popolari (come tipicamente negli atti non-legislativi).
In conclusione, il nuovo art. 11 TUE apre scenari interessanti per il coinvolgi- mento dei gruppi di pressione nel policy-making dell’Unione, anche se, come detto, le sue potenziali implicazioni non sono state sin qui colte dalle istituzioni e neppu- re dai gruppi d’interesse stessi. Una questione giuridica interessante al riguardo è quella dei rimedi giurisdizionali a disposizione di un portatore d’interessi leso nel suo diritto alla partecipazione, tema non ancora risolto:
The institutions do not have any legal obligation to explain how and why they choose their interlocutors. This wide discretion could hardly be challenged in front of the CJEU. In ad- dition, since the effect of the dialogue on the actual adoption of an EU act are minimal, it is more than unlikely that a CSO excluded from the dialogue challenges the final act in front of the Luxembourg judges on the basis of an infringement of Art. 11 TEU. Even in the event that a CSO should file such a case, the results are still uncertain. In this respect, it is worth recalling that the CJEU has ruled on the principle of democracy in the EU in different con- texts and perspectives (inter alia Lenaerts 201384). However, it has never focused on CSO
(or citizens) participation. If we do not consider the series of “Aarhus cases”85 in which
83 Più avanti, nel paragrafo conclusivo, Mendes scrive: «From a legal perspective, par-
ticipation rights are required when the acts adopted by the EU institutions or bodies – ir- respective or their general or individual nature – may have a sufficient impact on the legal sphere of persons concerned. In other words, when such acts may impact sufficiently on property and liberty rights as well as on collective and diffuse interests, that the persons affected are in a position to voice».
84 Il richiamo è a K. Lenaerts, The Principle of Democracy in the Case Law of the European
Court of Justice, 62(2) International and Comparative Law Quarterly 271 (2013).
85 Si tratta dei casi, mentre l’autrice scriveva decisi solo in primo grado, e ora definiti dalla Corte di giustizia il 13 gennaio 2015 rispettivamente nelle cause riunite da C-401/12 P a
in any event the Court had a different focus (and, in general, where the cases arose in the context of preliminary rulings), the CJEU came across a CSO’s claim only in UEAPME86,
and only with regard to the social dialogue. The CJEU has ruled extensively on the right to access to documents, driving general conclusions on the principle of transparency, but such case law does not offer a secure basis to ensure participation [...].
Consultations are virtually open, but they end up being dominated by the best resourced (regardless of registration), i.e. by those subjects that have been most generously financed by the Commission87.
Sarà molto interessante monitorare l’esito di un procedimento intentato per le- sione dell’art. 11 TUE da parte di un gruppo di pressione, se e quando esso sarà effettivamente promosso.