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Il leading-case: United States v Harriss (1954) Il lobbying è protetto dal Primo Emendamento, ciò che conta è la disclosure

La giurisprudenza americana in materia di lobbying (e finanziamento elettorale)

4. La giurisprudenza rilevante in materia di Primo Emendamento e dintorn

4.1. Il leading-case: United States v Harriss (1954) Il lobbying è protetto dal Primo Emendamento, ciò che conta è la disclosure

La pronuncia più importante della Corte Suprema federale in materia di lob-

bying risale al 1954 e fu emessa nel caso United States v. Harriss13: in essa, i giu-

dici americani stabilirono che il right to petition the Government for a redress of

grievances, di cui al Primo Emendamento, imponeva di considerare il lobbying

un’attività lecita, nei confronti della quale non potevano essere ammesse restrizioni che ne intaccassero la sostanza, ma soltanto obblighi di disclosure.

Si trattava di un procedimento penale in cui alcuni soggetti erano imputati di vio- lazione dell’allora vigente FRLA (Federal Regulation of Lobbying Act del 194614).

Il caso fu assegnato in primo grado allo stesso giudice, Alexander Holtzoff, che, in una sentenza di pochi mesi anteriore, National Association of Manufacturers v.

McGrath15 (scrivendo per un collegio unanime della District Court per il District of

Columbia) aveva dichiarato l’FRLA incostituzionale.

In particolare, venivano in questione soprattutto le Sections 305, 307, 308 e 310(b), i cui contenuti fondamentali erano rispettivamente:

• § 305: obbligo per qualunque persona che ricevesse qualunque contributo o spendesse qualunque somma di denaro per gli scopi di cui al § 307 di comunicare ogni trimestre al Clerk i dati delle persone che hanno dato e ricevuto denaro dal lobbista e entità di tali contributi;

• § 307: delimitazione del campo di applicazione del Titolo III alle persone (con esclusione dei political commitees di cui al Federal Corrupt Practices

Act e dei comitati statali o locali dei partiti) che, da sole o tramite qualunque

rappresentante o dipendente o altri collaboratori, in qualunque modo, diret- tamente o indirettamente, richiede, raccoglie o riceve denaro o altra cosa di 12 Cfr. S. Rose-Ackerman, Rethinking the Progressive Agenda: The Reform of the

American Regulatory State, Free Press, New York, NY, 1992, 43-79.

13 347 U.S. 612 (1954).

14 60 Stat. 839, 2 USC 261-270.

15 103 F. Supp. 510 (D.D.C.), poi annullata as moot dalla Corte Suprema federale, 344 U.S. 804 (1952).

valore se lo scopo “principale” di tale contributo o di tale persona è agevola- re il perseguimento di uno dei seguenti scopi: (a) l’approvazione o il rigetto di qualunque atto normativo da parte del Congresso; (b) influenzare, diretta- mente o indirettamente, tale approvazione o rigetto;

• § 308: obbligo di registrazione preventiva presso il Clerk della Camera e il Secretary del Senato per chiunque sia retribuito per tentare di influenzare l’approvazione o il rigetto di qualunque atto normativo del Congresso, co- municando i propri dati, i dati di colui per cui lavorano, e nel cui interesse si presentano o lavorano, la durata dell’incarico, l’importo della retribuzione, chi sia tenuto alla retribuzione, quanto sia pagato per spese e quali spese vengano comprese; obbligo di ciascun soggetto che effettui tale registrazione di comunicare a Clerk e Secretary, se la sua attività continua, una relazione su tutto il denaro ricevuto e speso durante il precedente trimestre nell’ese- cuzione dei suoi compiti; a chi è stato versato; per quale scopo; i nomi di qualunque giornale o periodico in cui ha ottenuto la pubblicazione di articoli; l’indicazione delle proposte di atti normativi che ha l’incarico di sostenere o contrastare;

• § 310(b): previsione di una sanzione penale accessoria a carico di chi sia condannato per la contravvenzione di cui alla subsection (a), consistente nel divieto, per tre anni dalla condanna, di tentare di influenzare, direttamente o indirettamente, l’approvazione o il rigetto di qualunque proposta di atto normativo, nonché di comparire dinanzi a una commissione del Congresso a sostegno o in opposizione di tali proposte.

In McGrath, Holtzoff aveva ravvisato in particolare due vizi:

1) le prime tre Sections, contenenti obblighi di registrazione e disclosure, impie- gavano espressioni come «to influence, directly or indirectly, the passage of defeat

of any legislation», o adottavano come criterio per stabilire se un’attività rientrava

o meno nel campo di applicazione della legge il fatto che il suo «principal purpose» fosse agevolare o influenzare, direttamente o indirettamente, l’approvazione o il rigetto di una legge da parte del Congresso: ebbene, queste disposizioni dovevano ritenersi «manifestly too indefinite and vague» perché le sanzioni penali fondate sul loro mancato rispetto potessero ritenersi rispettose della Due Process Clause (Quinto Emendamento), che nel caso di specie possiamo equiparare ai principi di tassatività e determinatezza della norma penale nel diritto costituzionale italiano;

2) inoltre, la pena accessoria del divieto di svolgere attività di lobbying per tre anni, contenuta nella Section 310(b), era contraria al diritto costituzionale di rivol- gere petizioni al governo.

Quando, l’anno successivo, fu chiamato a giudicare nel caso Harriss, il giudi- ce Holtzoff non fece altro che ordinare l’archiviazione del procedimento a carico

degli imputati16, fondandosi sul proprio precedente in McGrath. Tuttavia l’accusa

impugnò la decisione direttamente davanti alla Corte Suprema, la quale fu quindi17

chiamata a giudicare della validità della legge on its face, e con una opinion del

Chief Justice Warren, in un voto 5 a 3, ribaltò la pronuncia di primo grado, ritenen-

do legittime le restrizioni poste dall’FRLA.

Gli imputati sostenevano l’illegittimità di tali restrizioni sotto tre profili: i due ravvisati dal giudice Holtzoff in McGrath, più la violazione, da parte delle stesse

Sections 305, 307 e 308, dei diritti costituzionali di libera manifestazione del pen-

siero, di stampa e di rivolgere petizioni al governo.

Come detto, la Corte rigettò ciascuno di questi argomenti. Quanto alla censura relativa alla Section 310(b), essa non la prese in considerazione perché, almeno sino a quel punto del procedimento, non era rilevante nel caso di specie.

Con riferimento invece alle censure di violazione del Primo Emendamento da parte delle tre Sections fondamentali dell’LDA, l’opinion di Warren confrontò il possibile effetto restrittivo che esse avrebbero potuto avere sulla più ampia circo- lazione delle idee con il rischio che gli special interests, se lasciati completamente liberi di influenzare il procedimento legislativo, relegassero nell’ombra qualunque altra voce, e ritenne che il bilanciamento effettuato dalla legge fosse un tentativo costituzionalmente accettabile di contemperare le opposte esigenze in campo18.

Infine, per quel che concerne il vizio di vagueness imputato a queste disposizio- ni, la Corte affermò che gli obblighi previsti dalle Sections 305 e 308 non violavano la Due Process Clause per via del fatto che, per trovare applicazione, si doveva comunque rientrare nel campo di applicazione della Section 307.

16 109 F. Supp. 641.

17 Alla luce di U.S. v. Petrillo, 332 U.S. 1, 5 (1947), secondo cui «nel riesaminare un ap- pello diretto da una District Court ai sensi del Criminal Appeals Acts, [...] la nostra revisione è limitata alla validità dell’interpretazione della legge contestata. L’appello del Governo non riapre l’intero caso» (il richiamo è a U.S. v. Borden Co., 308 U.S. 188, 193 (1939)). 18 Di opinione diversa i due dissent dei giudici Douglas (cui si unì Black) e Jackson. In particolare, quest’ultimo riaffermò convintamente la tradizionale sacralità dei First

Amendment rights nel sistema politico americano, dove il diritto di rivolgere petizioni al

governo, anche per ragioni egoiste e di interesse puramente privato, era un elemento fonda- mentale della visione pluralista dell’ordinamento fatta propria dai Padri Fondatori: «Se que- sto diritto deve ricevere un’interpretazione coerente con quella data agli altri diritti garantiti dal Primo Emendamento, esso conferisce una larga immunità sull’attività delle persone, organizzazioni, gruppi e classi per ottenere quello che ritengono sia dovuto dal Governo. Naturalmente, le loro pretese contraddittorie e la propaganda sono poco chiare, fastidiose e, talvolta, senza dubbio, corrotte e ingannevoli. Ma non dobbiamo dimenticare che il nostro sistema costituzionale deve permettere la più grande libertà di accesso al Congresso, in modo tale che le persone possano fare pressioni per i loro interessi di parte, con il Congresso che agisca come arbitro delle loro richieste e conflitti» (Justice Jackson, dissenting, 347 U.S. 635).

E sua volta, la Section 307 venne restrittivamente interpretata dalla Corte, che affermò che questa disposizione subordinava la propria applicazione alla presenza di tre requisiti: 1) che una determinata persona avesse «richiesto, raccolto o ricevu- to denaro o altra cosa di valore»; 2) che uno degli scopi principali di quella persona o di quel compenso fosse stato influenzare l’approvazione o la mancata approva- zione di una legge da parte del Congresso; 3) che tale scopo fosse stato perseguito tramite comunicazioni dirette coi membri del Congresso19.

L’aspetto più importante di Harriss è che la Corte ritenne sì legittimi gli obbli- ghi in questione, ma ritenne appunto di doverne limitare la portata, perché ciò era imposto dalla necessità di rispettare il Primo Emendamento. Infatti, solo così come restrittivamente interpretate, le disposizioni oggetto di scrutinio «non violano le libertà garantite dal Primo Emendamento, ovvero le libertà di parlare, pubblicare e rivolgere petizioni al Governo».

La Corte mosse dal riconoscere che la complessità delle questioni oggetto di legislazione era divenuta tale che non ci si poteva aspettare dai singoli parlamentari che indagassero la miriade di pressioni cui erano regolarmente soggetti. Tuttavia, essa riconobbe parimenti che la piena realizzazione dell’ideale americano di gover- no da parte dei rappresentanti eletti dipendeva in misura rilevante dalla loro capa- cità di valutare adeguatamente tali pressioni: altrimenti, la voce del popolo avrebbe potuto essere troppo facilmente sommersa dalla voce degli special interest groups che andavano in cerca di un trattamento di favore nascondendosi dietro la facciata di promotori dell’interesse pubblico.

L’FRLA aveva cercato di porre rimedio a questo problema, e secondo la Corte lo aveva fatto in modo costituzionalmente legittimo. Ma ciò non toglie che, da

Harriss in poi, il lobbying fu un’attività non più da condannare, e quindi circo-

scrivibile a piacere dal Congresso, bensì limitabile solo entro paletti ben precisi, appunto perché il Primo Emendamento ne garantisce in via generale la legittimità.

La forte protezione costituzionale garantita negli Stati Uniti al lobbying consiste dunque prima di tutto in questo: al di là della liceità dei contratti di lobbying, di cui dirò tra breve, e che di per sé non è contestata neppure in Europa, come si vedrà, e al di là di un ipotetico diritto ad essere ascoltati in sede di procedimento legislativo (un diritto sostanzialmente non riconosciuto né negli Usa, come detto al § 3, né in Europa, come dirò al Capitolo VII), ciò che più colpisce dell’impianto americano è il forte divieto per il legislatore di porre restrizioni rilevanti a questa pratica, un divieto che non ha invece paragoni in terra europea, dove restrizioni considerevoli, se non sono attualmente previste, potrebbero esserlo (approfondirò il punto relativo all’Europa in sede di esame della relativa giurisprudenza e disciplina).

Peraltro, una conseguenza della conclusione raggiunta dalla Corte fu che resta- 19 Questo terzo requisito derivava dalla necessità di intendere gli scopi indicati dal § 307 come riferiti al solo «lobbying nel suo senso comunemente accettato», secondo quanto sta- bilito dalla Corte, con riguardo a espressioni simili, nel caso Rumely, ricordato subito sopra.

rono esclusi dal campo di applicazione dell’FRLA una serie di rilevanti aspetti: le attività di lobbying svolte senza corrispettivo, o comunque senza che fosse raccolto o ricevuto denaro per metterle in atto; le attività di lobbying svolte per esempio da grandissime corporations o unions, se soltanto si poteva dimostrare che il lobbying non era uno degli scopi principali per cui quell’ente aveva ricevuto il denaro im- piegato (e paradossalmente, più l’ente era grande più la cosa era facile da dimo- strare); i contatti avuti con i collaboratori dei membri del Congresso, anziché con questi ultimi direttamente; i tentativi di influenzare le attività del Congresso diverse dall’approvazione o meno di una legge; l’indirect lobbying, cioè tutti i tentativi di influenzare i parlamentari diversi da una diretta comunicazione con loro.

Tutte queste lacune concorsero a rendere sostanzialmente fallimentare il bilan- cio dell’applicazione dell’FRLA, e a convincere molte persone, dentro e fuori dal Congresso, della necessità di aggiornarlo, aumentando le restrizioni e chiudendo le molte scappatoie: come si è visto, queste furono le premesse che portarono, nel 1995, all’approvazione dell’LDA.

S’impone infine un’importante precisazione: il beneficiario degli obblighi di di-

sclosure per Harriss non è tanto il pubblico dei cittadini americani, bensì il legisla-

tore. È nel permettere al legislatore di sapere «chi viene assunto, chi sta mettendo avanti il denaro, e quanto»20 che la Corte ravvisa un interesse costituzionalmente

rilevante di importanza tale da giustificare la possibile restrizione alla libera espres- sione delle proprie idee che pur potrebbe indirettamente derivare dagli obblighi di

disclosure.

Ciò fa sì che Harriss, benché sia ancora un precedente vincolante e sia certa- mente imprescindibile nel valutare eventuali profili di incostituzionalità dell’LDA (pur essendo riferito all’abrogato FRLA), non sia più forse il principale caso cui guardare nel valutare la legittimità degli obblighi di disclosure posti in capo ai lobbisti e alle lobbying firms dall’LDA. Rimane infatti centrale la sua definitiva affermazione della legittimità costituzionale degli obblighi di disclosure in materia, pur con gli importanti limiti esaminati, ma, come accennavo più in alto, sembra essere ancor più rilevante la giurisprudenza costituzionale in tema di finanziamento elettorale (che verrà considerata al § 5 di questo Capitolo).

Infatti, la ratio delle disposizioni che impongono obblighi di disclosure in quest’ultimo ambito è quella di garantire al pubblico – e non al legislatore – la maggior trasparenza e quantità di informazioni possibili, e proprio questa è la ratio anche degli attuali obblighi di disclosure recati dall’LDA, come emerge in modo chiaro dai findings del Congresso, contenuti nella Section 2 della legge (2 USC 1601)21.

20 347 U.S. 625.

21 Queste considerazioni sono espresse da E. Garrett, R.M. Levin, The LDA and First

Amendment Political Freedoms, sez. 7-2 del cap. 7 di The Lobbying

4.2. Il diritto di rivolgere petizioni al governo è tutelato anche se esercita-

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