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Il landmark case Buckley v Valeo (1976), tra libertà di finanziamen to e obblighi di disclosure

La giurisprudenza americana in materia di lobbying (e finanziamento elettorale)

5. I principi fondamentali sul finanziamento elettorale

5.1. Il landmark case Buckley v Valeo (1976), tra libertà di finanziamen to e obblighi di disclosure

Qualunque sentenza costituzionale sul finanziamento elettorale ha ancora oggi come punto di riferimento imprescindibile la pronuncia Buckley v. Valeo, del 197681

(nonostante si tratti di una per curiam opinion, cioè di un’opinione non firmata, tipi- camente riservata a casi minori). Il caso era molto semplice ed era stato sollevato da una serie di ricorrenti, tra cui candidati federali, political committees, un potenziale donatore, gruppi d’interesse di vario tipo, etc. Essi contestavano la legittimità della gran parte delle nuove disposizioni introdotte dal FECA nel 1971, come già modifi- cate nel 1974 coi Federal Election Campaign Act Amendments. In questa sentenza, la Corte ebbe quindi modo di chiarire qual è il dettato costituzionale riguardo ai principali aspetti della materia, e come detto ciò che affermò rimane ancor oggi on

the books, non essendo mai stato intaccato nella sostanza da pronunce successive

che pure hanno determinato grossi stravolgimenti nella disciplina vigente.

In primo luogo, Buckley affronta le facial challenges rivolte alle disposizioni su contributi e spese. La Corte esordisce con un passo molto spesso citato:

I limiti ai contributi e alle spese previsti dal [FECA] operano in un’area di attività protette dal Primo Emendamento tra le più fondamentali. La discussione di questioni pubbliche e il dibattito sulla qualificazione dei candidati sono essenziali al funzionamento del sistema di 81 424 U.S. 1 (1976).

governo stabilito dalla nostra Costituzione. Il Primo Emendamento garantisce la più ampia protezione a tale manifestazione del pensiero in ambito politico al fine di “assicurare [il] libero scambio di idee per la realizzazione dei cambiamenti politici e sociali desiderati dal popolo”82. [...] Ciò non fa che riflettere il nostro “profondo impegno nazionale al princip-

io per cui il dibattito sulle questioni pubbliche dev’essere senza freni, vigoroso e aperto [uninhibited, robust, and wide-open, NdR]”83. In una repubblica dove il popolo è sovrano,

la capacità dei cittadini di fare scelte informate tra i candidati a una carica è essenziale, perché l’identità di chi viene eletto influenzerà inevitabilmente il cammino che seguiamo come nazione.

La Corte prosegue con alcune osservazioni molto rappresentative del suo tipico modo di argomentare, specie in materia di Primo Emendamento, a cui facevo rife- rimento nell’Introduzione:

Una restrizione della quantità di denaro che una persona o un gruppo può spendere per co- municazioni di carattere politico durante una campagna riduce inevitabilmente la quantità di pensiero che viene espressa [the quantity of expression, NdR], riducendo il numero di questioni discusse, la profondità della loro indagine, e la misura del pubblico raggiunto. Ciò è dovuto al fatto che virtualmente qualunque mezzo di comunicazione di idee nell’odierna società di massa necessita di un esborso di denaro. La distribuzione del più umile dei volan- tini o dépliant implica costi di stampa, carta e diffusione. Discorsi e comizi generalmente richiedono l’affitto di una sala e la pubblicizzazione dell’evento. La dipendenza crescente dell’elettorato da televisione, radio e altri mass media per notizie e informazioni ha reso questi costosi modi di comunicazione strumenti indispensabili di un’efficace manifestazio- ne di pensiero in ambito politico [political speech, NdR]. I limiti di spesa contenuti nella legge costituiscono rilevanti e non meramente teoriche restrizioni alla quantità e varietà della manifestazione di pensiero in ambito politico.

Questo passo e quelli che approfondiscono tale concetto sono stati spesso sinte- tizzati nell’affermazione che “money is speech”, cioè che la possibilità di spendere denaro a sostegno delle proprie idee è in quanto tale una forma di speech, cioè di manifestazione del pensiero, in quanto tale costituzionalmente protetta e quindi non regolabile. In realtà, la Corte non ha mai detto esattamente questo, per cui tale sintetizzazione è sostanzialmente impropria: ciò che la Corte ha riconosciuto è che i limiti alla possibilità di spendere denaro limitano indirettamente la possibilità di esprimere il proprio pensiero, per via del fatto che spendere denaro è spesso neces- sario a creare le condizioni per poter far ascoltare da altri il proprio pensiero. Ma la Corte, in Buckley come in altre pronunce, non ha mai equiparato di per sé la possi- bilità di spendere denaro alla possibilità di esprimere a parole il proprio pensiero; ciò non toglie, naturalmente, che tale equiparazione sia perfettamente sostenibile e 82 La frase citata tra virgolette è tratta da Roth. v. U.S., 354 U.S. 476, 484.

sia in effetti sostenuta da diverse parti, ma non corrisponde in modo fedele a quanto stabilito dalla Corte in Buckley84.

La Corte considera i limiti che le norme su spese e contributi determinano sulla libertà di associazione, e anche questo ragionamento merita di essere considerato con attenzione: «fare un contributo, come iscriversi a un partito politico, serve ad associare una persona a un candidato. In più, permette a persone che la pensano in modo simile di unire le proprie risorse per perseguire scopi politici comuni. I tetti ai contributi limitano perciò un importante mezzo di associarsi con un candidato o un committee, ma lasciano colui che vuole contribuire libero di diventare mem- bro di qualunque associazione politica e di collaborare personalmente negli sforzi dell’associazione nell’interesse dei candidati. E i limiti della legge ai contributi per- mettono alle associazioni e ai candidati di raccogliere grandi somme di denaro per promuovere un’effettiva opera di convincimento (advocacy). Al contrario, il limite [...] della legge alle independent expenditures “relative a un candidato chiaramente identificato” impedisce a molte associazioni di amplificare in modo efficace la voce dei loro iscritti85».

Da queste premesse, che poi la Corte approfondisce ampiamente, anche se non vi è modo in questa sede di soffermarsi oltre, si ricava secondo i giudici che, «anche se i limiti della legge ai contributi e alle spese coinvolgono entrambi fondamentali interessi relativi al Primo Emendamento, i suoi tetti di spesa impongono restrizioni significativamente più gravi sulle libertà costituzionalmente protette di espressione del pensiero e associazione in ambito politico di quanto non facciano le sue limita- zioni ai contributi in denaro»: pertanto, i limiti ai contributi diretti a un candidato sono fatti salvi, mentre quelli alle spese sono dichiarati illegittimi. In particolare, vengono dichiarati contrari al Primo Emendamento il tetto alle independent expen-

ditures, il limite alle spese dei candidati dai propri fondi personali (o della sua

famiglia) e i tetti alle spese complessive per una campagna.

S’impone una precisazione con riferimento alle spese relative a un candidato chiaramente identificato (relative to a clearly identified candidate): la Corte os- serva che la legge non definisce cosa debba intendersi per “relative to”, e che ciò rischia di rendere la disposizione illegittima per vagueness. Buckley compie quindi un’interpretazione costituzionalmente orientata, affermando che l’unico modo per evitare che la disposizione incorra in tale censura è interpretarla come limitata alle comunicazioni «che includono parole esplicite di sostegno (advocacy) dell’elezio- ne o della sconfitta di un candidato», o in altri termini che «in termini espressi invi- tano (advocate) ad eleggere o a sconfiggere un candidato chiaramente identificato ad una carica federale».

84 V. approfonditamente su questi temi B. Smith, Unfree Speech: the Folly of Campaign

Finance Reform, Princeton University Press, Princeton, NJ, Usa, 2001, capitolo 6, Money and Speech, 109-121.

Queste ultime sono le c.d. comunicazioni di express advocacy, di cui, in una nota della sentenza86, vengono forniti i seguenti esempi: «“vota per”, “eleggi”, “so-

stieni”, “esprimi il tuo voto per”, “Smith al Congresso”, “vota contro”, “sconfig- gi”, “respingi”). In questo modo, la Corte inaugurò così la distinzione tra express

advocacy (le comunicazioni ora descritte) e issue advocacy (le altre), che, almeno

a livello teorico, è tuttora fondamentale (nella pratica, come ammetteva la stessa

Buckley, il discrimine può essere molto difficile da tracciare).

In ogni caso, anche se, con questa interpretazione restrittiva, il limite alle inde-

pendent expenditures si salva dalla censura di vagueness, la disposizione in questio-

ne fu ritenuta comunque contraria al Primo Emendamento, e come detto i principi e le distinzioni affermate dalla Corte al riguardo rimasero valide e influenzarono tutti gli sviluppi successivi, anche sul piano normativo.

Venendo al tema della disclosure, che, come ho anticipato, è di grande rilevanza ai fini della nostra indagine, la Corte in Buckley riassunse e fissò definitivamente alcuni principi divenuti punto di riferimento per qualunque riflessione sulla legitti- mità degli obblighi di pubblicità e trasparenza di qualunque tipo, non solo in ambito elettorale.

La Corte, infatti, osservò che,

a differenza dei limiti generali a contributi e spese, gli obblighi di disclosure non impongo- no alcun tetto alle attività legate alla campagna elettorale. Tuttavia, abbiamo ripetutamente affermato87 che una disclosure forzata, in quanto tale, può gravemente limitare il diritto alla

riservatezza nell’esercizio della libertà di associazione e di manifestazione del pensiero, diritto costituzionalmente protetto. [...] Abbiamo a lungo riconosciuto che invasioni signi- ficative dei diritti garantiti dal Primo Emendamento come quelle imposte da una disclosure obbligata non possono essere giustificati da una mera dimostrazione di qualche legitimate governmental interest. Da NAACP v. Alabama abbiamo richiesto che i prevalenti interessi pubblici superassero il test di un exacting scrutiny. Abbiamo anche insistito sulla necessità che ci fosse una “correlazione rilevante” o una “significativa relazione” tra gli interessi pubblici e l’informazione che si chiede di rendere pubblica. [...] Questo tipo di scrutiny è necessario anche se un qualunque effetto deterrente per l’esercizio dei diritti del Primo Emendamento nasce non tramite una diretta azione pubblica, ma indirettamente, come un risultato non voluto ma inevitabile della condotta dei pubblici poteri nel richiedere la disclo- sure88. [...] Lo strict test stabilito da NAACP v. Alabama è necessario perché la disclosure

obbligata interferisce in modo potenzialmente significativo con l’esercizio dei diritti del Primo Emendamento. Tuttavia, abbiamo riconosciuto che ci sono interessi pubblici suffi- cientemente importanti da prevalere sulla possibilità di interferenza, in particolare quando

86 La numero 52.

87 La Corte qui fa un’approfondita rassegna dei propri precedenti sul punto, tra i quali compare anche in questo caso NAACP.

viene in questione il “libero funzionamento delle nostre istituzioni nazionali”89.

Su questa base, la Corte conclude così affermando che gli interessi pubblici che il legislatore aveva cercato di tutelare con le disposizioni sulla disclosure im- pugnate erano di tale entità, e pertanto queste disposizioni andavano considerate legittime: «gli obblighi di disclosure, in generale, perseguono rilevanti interessi pubblici. Nel determinare se questi interessi sono sufficienti a giustificare le pre- stazioni richieste, dobbiamo guardare all’entità del peso che impongono sui diritti individuali. È indubbiamente vero che la pubblicazione dei contributi ai candidati e ai partiti politici scoraggerà alcuni individui che altrimenti potrebbero contribuire. In alcuni casi, la disclosure potrebbe persino esporre chi contribuisce a molestie e ritorsioni. Questi non sono oneri trascurabili sui diritti individuali, e devono essere confrontati con cautela con gli interessi che il Congresso ha cercato di promuovere con questa legislazione». Ebbene, a seguito di una dettagliata analisi, la Corte ri- tiene che l’interesse alla trasparenza del processo politico e soprattutto l’esigenza di evitarne la corruzione e le sue manifestazioni (anche qui la Corte fa leva sulla

anti-corruption rationale) siano tali da rendere costituzionalmente legittima la di-

sciplina adottata dal legislatore.

5.2. La libertà di finanziamento nei principali casi precedenti a Citizens

United: Beaumont (2003), McConnell (2003), WRTL II (2007)

Buckley rimane il leading-case per quanto riguarda il finanziamento elettora-

le. Molte delle sue conclusioni sono però state precisate, approfondite, corrette o confermate in una lunga serie di casi successivi90: vediamo i principali, incomin-

ciando dalle pronunce che hanno chiarito i contorni della libertà di finanziamento elettorale.

Dopo alcune pronunce che negli anni successivi a Buckley ne consolidarono l’impianto91, in anni più recenti la Corte Suprema è tornata in effetti ad occuparsi

con sempre maggior frequenza di regole in materia di finanziamento elettorale. 89 Il richiamo è a Communist Party v. Subversive Activities Control Bd., 367 U.S. 1, 97 (1961).

90 Un’analisi molto completa, cui questo paragrafo è ampiamente debitrice, è quella di L. Paige Whitaker, The Constitutionality of Campaign Finance Regulation: Buckley v. Valeo

and Its Supreme Court Progeny, CRS Report for Congress, aggiornato al 18 novembre

2008, disponibile su http://www.fas.org/sgp/crs/misc/RL30669.pdf.

91 Esula dagli scopi del presente lavoro esaminarle in dettaglio. Mi limito quindi a citarle:

First National Bank of Boston v. Bellotti (1978), 435 U.S. 765 (1978); FEC v. National Right to Work Committee (NRWC), 459 U.S. 197 (1982); FEC v. Massachussetts Citizens for Life (MCFL), 479 U.S. 238 (1986); Austin v. Michigan Chamber of Commerce (1990),

La prima pronuncia da ricordare è FEC v. Beaumont92. Qui una advocacy cor-

poration senza scopo di lucro contestava la legittimità delle disposizioni del FECA

e delle relative disposizioni di attuazione che vietavano alle corporations di dare contributi elettorali diretti o fare spese collegate a una precisa elezione a una carica federale (usando fondi del proprio patrimonio generale), nella misura in cui tale divieto si applicava (as applied) anche alle nonprofit advocacy corporations come quella in questione.

La Corte respinse però queste censure, fondandosi sulla propria giurispruden- za consolidatasi da Buckley in avanti93, e quindi facendo leva sulla necessità di

combattere la corruzione e sui particolari rischi asseritamente posti all’integrità del processo politico da un ente organizzato in forma di corporation: la Corte concluse dunque che il divieto oggetto di censura non era contrario al Primo Emendamento neppure as applied alle advocacy corporations senza scopo di lucro.

Tale orientamento fu ribadito pochi mesi dopo in McConnell v. FEC94, che sul

punto, che qui ci interessa, del finanziamento da parte di corporations e sindacati, pronunciò due holding. In primo luogo, stabilì appunto la legittimità della disposi- zione del Bipartisan Campaign Reform Act del 2002 (BCRA) che aveva esteso alle

nonprofit corporations il divieto di usare fondi del proprio patrimonio generale per

pagare electioneering communications (Section 204), ma solo per le corporations che non rientrassero in una categoria per cui una sentenza precedente aveva creato un’eccezione95.

In secondo luogo, McConnell affermò la piena legittimità della Section 203 del BCRA, che aveva esteso il divieto, per corporations e unions, di usare fondi del proprio patrimonio per spese elettorali a tutte le electioneering communications. La Corte ritenne infatti che gli issue ads trasmessi nei 30 o 60 giorni rispettivamente prima delle primarie e delle elezioni generali che nominavano un candidato fossero equiparabili ad una express advocacy («are the functional equivalent of express

advocacy») di quel candidato, e che quindi fosse legittimo estendere ad essi i limiti

appunto previsti per la express advocacy: la censura on its face di questa disposi- zione andava quindi respinta.

Successivamente, però, nel 2007, intervenne una prima avvisaglia di un cambia- mento di giurisprudenza. In FEC v. Wisconsin Right to Life (WRTL II)96, la Corte

affrontò un nuovo caso in cui una non profit ideological advocacy corporation vo- leva impiegare “corporate money”, cioè denaro del proprio patrimonio, per pagare delle pubblicità elettorali durante il periodo protetto.

92 539 U.S. 146 (2003). 93 V. supra, nota 91. 94 540 U.S. 93 (2003).

95 FEC v. Massachussetts Citizens for Life (MCFL), 479 U.S. 238 (1986), appena citata. 96 551 U.S. 449 (2007).

L’associazione Wisconsin Right to Life sosteneva l’illegittimità delle restrizio- ni in materia di electioneering communications introdotte dalla Section 203 del BCRA con una censura non più facial ma soltanto as applied alle pubblicità (ads) che essa intendeva realizzare, e che affermava essere degli autentici (genuine) issue

ads; la FEC, invece, riteneva che, pur non facendo questi ads riferimento esplicito

a un candidato, si trattasse di sham issue ads, cioè di fatto di un caso di express

advocacy mascherata, vietata dalla legislazione che si è vista.

Ebbene la Corte, dopo aver chiarito, in un primo caso, Wisconsin Right to Life

v. FEC (WRTL I)97, che McConnell non impediva di sollevare censure as applied

della disposizione che aveva giudicato legittima on its face, accolse la censura as

applied di WRTL, affermando che il divieto di electioneering communications con-

tenuto nella Section 203 del BCRA era costituzionalmente illegittimo as applied a pubblicità che non avessero come unico scopo, espresso o implicito, il sostegno o l’opposizione a un candidato, e fossero quindi da considerarsi genuine issue ads, e non express advocacy o il suo functional equivalent alla luce di McConnell. Nessun

compelling interest, infatti, giustificava le restrizioni imposte dal BCRA ad ads

come questi.

Con WRTL, la Corte aprì un’importante breccia nel quadro delle restrizioni di- segnato dal Congresso; ma tale pronuncia fu soltanto la premessa di un’altra ben più importante, che ha avuto una grandissima risonanza, al punto da raggiungere e occupare per qualche giorno gli stessi media italiani ed europei98: si tratta della

fondamentale pronuncia nel caso Citizens United v. FEC99, di cui mi occuperò tra

un momento, al § 5.4..

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