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I primi atti ufficiali sulla rappresentanza di interess

bying nell’Unione europea

3.1. I primi atti ufficiali sulla rappresentanza di interess

Le istituzioni europee incominciarono ad occuparsi di lobbying piuttosto tardi rispetto alla loro nascita, ovvero soltanto all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Nel programma di lavoro per il 1992, la Commissione Delors affermò: le relazioni fra le istituzioni comunitarie e i gruppi d’interesse, per quanto utili, richiedono una migliore definizione. La Commissione rifletterà in merito alla creazione di un codice di buona condotta inteso a disciplinare le sue relazioni con coloro che, nell’esercizio della propria professione, agiscono come interlocutori. Ciò non intende naturalmente mettere in discussione né la libera attività dei gruppi professionali, né la necessità di fare proseguire il dialogo con i comitati istituzionali.

Prima che la Commissione si occupasse effettivamente dell’argomento, il 3 ot- tobre 1992 il Parlamento Europeo, con la sua commissione per il regolamento, 50 Una ricostruzione in parte coincidente di questa evoluzione si trova anche in M.C. Antonucci, Rappresentanza degli interessi oggi, cit.

emanò una raccomandazione rivolta all’ufficio di presidenza allargato in cui pro- poneva l’istituzione di un registro dei rappresentanti dei gruppi di interesse presso il Parlamento Europeo, cui legare un codice di condotta da rispettare ma anche una serie di diritti per quanti si registravano (tra cui l’accesso ai locali e ai documenti di questa istituzione).

La Commissione riprese poi tale raccomandazione nel suo primo documento ufficiale che si è occupato di lobbying, risalente al 2 dicembre 1992 ma pubblica- to sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 5 marzo 199351, ovvero il

policy paper Un dialogo aperto e strutturato tra la Commissione e i gruppi d’inte-

resse52. Questo documento fece una prima ricognizione del fenomeno e sin dal suo

incipit emerge l’approccio che sarà proprio delle istituzioni europee nei confronti

del lobbying. Il paper, infatti, esordisce così:

La Commissione si è sempre dimostrata aperta agli apporti esterni, nella convinzione che tale processo sia fondamentale per lo sviluppo delle sue politiche. Il dialogo, infatti, si è dimostrato proficuo tanto per l’istituzione che per le parti esterne interessate, e i funzionari della Commissione, consapevoli dell’utilità di tali apporti, guardano ad essi con favore. La Commissione, in particolare, è nota per la sua accessibilità ai gruppi d’interesse, una caratteristica che, senza dubbio, deve essere conservata. È nel suo stesso interesse, infatti, comportarsi in tal modo, poiché i gruppi d’interesse possono fornire ai servizi informazioni tecniche e consigli costruttivi53.

Sin dalla prima occasione in cui ebbe a pronunciarsi in argomento, quindi, la Commissione impostò il discorso sul lobbying (chiamato spesso espressamente così in questo documento, tanto nella versione italiana quanto in quella inglese) come un’attività utile allo svolgimento delle sue funzioni, in virtù dell’apporto co- noscitivo che i gruppi d’interesse, nel praticarla, erano in grado di fornire ai suoi funzionari.

Il paper del 1992 fa poi un’osservazione interessante: «L’Atto unico europeo, insieme ai progressi del programma del Libro bianco, ha stimolato un netto au- mento dell’attività lobbistica a livello comunitario». Ciò conferma l’aumento di di- mensioni e importanza del fenomeno del lobbying con il crescere delle competenze comunitarie, un dato in realtà di valenza più generale, che trascende sicuramente il 51 GU n. C 63 del 5 marzo 1993, pag. 2 (93/C 63/02).

52 Esso richiama a propria volta altri documenti che si pongono in generale il tema della trasparenza nelle istituzioni europee, su cui non mi soffermerò poiché non riguar- dano direttamente i gruppi d’interesse, ma che merita quanto meno citare: si tratta della Comunicazione della Commissione immediatamente seguente (93/C 63/03) su una Maggior

trasparenza nei lavori della Commissione, nonché della Dichiarazione relativa al diritto di accesso all’informazione, allegata al TUE, e della Dichiarazione di Birmingham, adottata

dal Consiglio Europeo di Birmingham del 16 ottobre 1992. 53 Corsivo aggiunto.

contesto europeo.

Dopo di che, rilevato che non esistevano norme specifiche sui rapporti tra Commissione e gruppi di pressione, la Comunicazione in esame chiarisce che la linea generale della Commissione [...] consiste nel non concedere privilegi a gruppi d’in- teresse, come il rilascio di permessi d’ingresso e accesso preferenziale alle informazioni, né fornire loro un riconoscimento ufficiale con lo status di consulenti. La Commissione, infatti, ha sempre desiderato mantenere un dialogo che sia il più aperto possibile con tutte le parti interessate, senza dover imporre un sistema di accreditamento.

A questo punto, il documento passa poi ad enunciare i principi guida cui dovrà ispirarsi secondo la Commissione un’eventuale disciplina dei suoi rapporti con i gruppi di interesse, ovvero:

Le relazioni fra la Commissione e i gruppi d’interesse devono restare aperte, in conformità al principio di un’amministrazione aperta [...]. La Commissione [...] è tenuta a garantire un uguale trattamento a tutti i gruppi d’interesse, affinché ogni parte interessata, indipenden- temente dalle dimensioni o dal sostegno finanziario, abbia l’opportunità di essere ascoltata. Nel trattare con i rappresentanti di gruppi d’interesse, i funzionari della Commissione do- vrebbero sapere con esattezza chi sono le persone che hanno di fronte e conoscere le loro attività.

Nello specifico, poi, la Commissione raccomandava l’adozione di alcune mi- sure. In primo luogo, auspicava un “inventario” dei gruppi di interesse, suddiviso tra enti senza e con scopo di lucro. Per quanto riguarda i primi, si precisava che l’inventario, che la Commissione immaginava di redigere essa stessa, sarebbe stato «utile tanto per i funzionari della Commissione quanto per gli esterni», a conferma della natura enunciata del lobbying e delle sue regole in Europa come funzionali al decisore pubblico54; inoltre, veniva chiarito che «l’inserimento nell’inventario non

comporterà alcun riconoscimento ufficiale da parte della Commissione, né garantirà la concessione di privilegi come l’accesso speciale a informazioni, edifici, funzio- nari, ecc.». Per quanto riguarda l’inventario degli enti commerciali, l’impostazione era quella di un registro volontario, che gli enti stessi avrebbero dovuto redigere. In 54 Tale impostazione viene confermata anche dalla Comunicazione “Maggior trasparenza

nei lavori della Commissione” (v. supra, nota 52). In essa, si legge sì che i gruppi di interes-

se «trarrebbero grandi vantaggi dal rafforzamento della politica della Commissione in ma- teria di trasparenza» (il che sembra inclinare verso una concezione delle regole sul lobbying come utili in primo luogo ai gruppi d’interesse), ma poi si aggiunge che «una maggiore partecipazione pubblica ai lavori della Commissione favorisce una gestione più aperta e può quindi ispirare maggiore fiducia all’opinione pubblica», e soprattutto che «dovrebbero venire adottate le misure necessarie per garantire che tutti i gruppi interessati ad una deter- minata questione abbiano la possibilità di esprimere le proprie opinioni. La Commissione

entrambi i casi, l’auspicio formulato era quello ad un lavoro di ricognizione il più possibile congiunto all’analogo sforzo del Parlamento Europeo.

Interessante era poi l’impostazione seguita con riferimento agli auspicati co- dici di condotta, che venivano immaginati come un insieme di regole che sono i settori stessi a dover redigere su base volontaria, se pur tenendo conto di una serie di requisiti minimi elencati in un allegato del paper, riferiti in particolare al modo di presentarsi al pubblico e ad una serie di regole di comportamento considera- te come imprescindibili. In definitiva, per la Commissione i gruppi di interesse devono «aver modo di organizzarsi liberamente e senza interferenze da parte del settore pubblico», il che sembra aprire in qualche misura ad una sorta di libertà di

lobbying all’americana, pur con la comprensibile precisazione che la Commissione

«si riserva il diritto di controllare la situazione, soprattutto per quanto riguarda le organizzazioni a scopo di lucro».

Infine, la Comunicazione del 1992 prendeva in esame i “diritti e obblighi del personale della Commissione”, ovvero le regole contenute nello Statuto dei funzio- nari che avevano una particolare rilevanza in relazione alle lobby, ovvero quelle sui doni, sulle attività esterne, sugli impieghi successivi alla cessazione dalla carica, sulla riservatezza delle informazioni gestite e sui conflitti d’interesse (sullo Statuto dei funzionari oggi, v. infra, § 5.6.).

Il paper del 1992 non ebbe però particolare seguito. Dopo la sua pubblicazio- ne a marzo 1993, esso cadde abbastanza nel dimenticatoio. Nel maggio 1994, la Commissione invitò i gruppi di interesse a scopo non lucrativo a scriverle per farsi includere in un repertorio che li elencasse tutti, con una serie di informazioni rile- vanti relative a ciascuno55. Ciò portò alla pubblicazione il 30 settembre 1996 di una

Directory of Interest Groups, comprensiva di gruppi a scopo di lucro e non, poi di

tanto in tanto aggiornata nello sforzo di essere maggiormente completa.

Dal canto suo, come ricordava l’allegato I alla Comunicazione del 1992, «il Parlamento Europeo, in quanto istituzione comunitaria direttamente eletta, è parti- colarmente interessato a mantenere relazioni aperte con il pubblico e, in particolare, con le lobby. Il Parlamento europeo ha rilasciato in passato ai lobbisti dei lascia- passare che permettevano l’accesso agli edifici. L’aumento del numero di lobbisti, tuttavia, e l’abuso di tale privilegio lo hanno però indotto a riconsiderare la propria politica al riguardo».

In particolare, con la crescita delle funzioni di questo organo, cresceva anche l’intensità del lobbying di cui esso veniva fatto oggetto: più diventava un soggetto centrale nel processo legislativo, più diventava oggetto di attenzione e pressioni da parte dei lobbisti56, per cui avvertì la necessità di disciplinare in modo più sistema-

55 Raccolta di dati sui gruppi di interesse «a scopo non lucrativo», GUCE N. C 126/8 del 7 maggio 1994 (94/C, 126/06).

56 W. Lehmann, L. Bosche, Lobbying in the European Union: Current Rules and

tico le relazioni tra questi ultimi e i suoi Membri.

A tale esigenza il Parlamento Europeo diede seguito nel 1996, con l’introduzio- ne nel suo Regolamento57 di una disposizione (l’allora articolo 9, paragrafi (1) e

(2)) che prevedeva un sistema di lasciapassare nominativi della durata massima di un anno da rilasciarsi a quanti desideravano accedere frequentemente ai locali del Parlamento per fornire informazioni ai Membri nell’interesse proprio o di terzi. In cambio, coloro che richiedevano il lasciapassare erano tenuti al rispetto di un co- dice di condotta58 e ad iscriversi in un apposito registro tenuto dai questori e reso

disponibile al pubblico.

Tale sistema di lasciapassare è tuttora previsto dal Regolamento, se pur in una diversa collocazione, per cui lo esaminerò più in dettaglio più avanti, al § 5.2, dove considererò le regole attualmente vigenti.

In ogni caso, anche questi passaggi, compiuti separatamente da Commissione e Parlamento Europeo, non ebbero conseguenze pratiche di rilievo, e anzi trascorsero alcuni anni prima che il tema della regolamentazione del lobbying tornasse sull’a- genda delle istituzioni europee. Piuttosto interessante è un’interrogazione scritta alla Commissione presentata dall’Onorevole Glyn Ford nel marzo 199959, in cui si

chiedeva: «Può la Commissione far sapere se intende chiedere alle società operanti nell’Unione europea di inserire nelle loro relazioni annuali informazioni dettagliate in merito agli ambienti sui quali esse esercitano pressioni e sulle risorse destinate a tale attività, dal momento che un siffatto approccio allineerebbe la normativa dell’Unione europea alla legge federale statunitense che disciplina i gruppi di pres- sione (US Federal Regulation of Lobbying Act)?».

La risposta, fornita dal PresidenteSanter il 1 aprile 1999, è degna di nota: L’obbligo imposto alle imprese americane di dichiarare le loro attività di pressione, com- prese le somme spese in tale contesto, deriva dal sistema di registrazione che viene appli- cato a qualsiasi organizzazione che esercita attività di pressione presso le istanze federali americane.

Questo sistema di registrazione non corrisponde però all’approccio della Commissione, che si basa sull’apertura a tutti i gruppi d’interesse garantendo una parità di trattamento e raccomandando un sistema d’autoregolazione.

La Commissione non prevede pertanto di adottare misure che richiederebbero un cambia- mento fondamentale nella sua politica.

workingdocparl.pdf, 33.

57 Il testo attuale è disponibile su http://www.europarl.europa.eu/sides/getLastRules. do?language=IT&reference=TOC.

58 Tale codice era contenuto all’articolo 3 dell’Allegato X al Regolamento.

59 Interrogazione scritta n. 440/99 dell’on. Glyn FORD Regolamentazione concernente i gruppi di pressione, Gazzetta ufficiale n. C 348 del 03/12/1999 pag. 0069.

A fine anni ‘90, quindi, il quadro era quello di una Commissione che confermava la propria predilezione per una regolamentazione non vincolante o meglio ancora un’autoregolazione da parte dei gruppi d’interesse, marcando così con convinzione la propria differenza rispetto all’ordinamento statunitense; quanto al Parlamento Europeo, esso aveva proceduto in maniera autonoma, istituendo un registro che consentiva agli iscritti di accedere fisicamente ai locali del Parlamento, e comunque anch’esso di natura essenzialmente volontaria.

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