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sul lobbying (e sul finanziamento elettorale)

Alla luce di tutto quanto osservato nel paragrafo precedente, non dovrebbe quin- di sorprendere che, nel tentativo di regolamentare il lobbying, sia a livello federale che a livello statale, lo sforzo maggiore del legislatore americano si sia focalizzato non tanto sul limitare il fenomeno in sé, quanto piuttosto sul renderlo il più traspa- rente possibile, dando la possibilità al cittadino-elettore di giudicare l’operato dei suoi rappresentanti.

In effetti la trasparenza (disclosure) è l’unica restrizione ammessa in via generale 8 Cfr. l’approfonditissima analisi in K.M. Sullivan, N. Feldman, First Amendment Law, West, St Paul, MN, 2013.

9 G. Bognetti, Lo spirito del costituzionalismo americano: breve profilo del diritto costitu-

dalla giurisprudenza costituzionale americana sia al lobbying sia al finanziamento elettorale. La convinzione, condivisa dalla gran parte della dottrina e della giurispru- denza, è che essa non costituisca in effetti una restrizione, ovvero non sia idonea a limitare la facoltà di svolgere questa pratica con la massima libertà possibile.

Vi sono per la verità voci discordanti, su tutte quella del giudice della Corte Suprema Clarence Thomas, che ad esempio nel suo dissent sul punto in Citizens

United o in Doe v. Reed ha osservato che anche gli obblighi di disclosure possono

fungere da deterrente all’esercizio di una determinata pratica per chi teme ritorsioni dalla diffusione pubblica di informazioni al riguardo. In altri termini, il fatto che tutti vengano informati sull’impegno profuso in attività di lobbying, o sul denaro destinato a sostenere un dato candidato, potrebbe comportare delle ripercussioni negative su chi fa lobbying o finanzia una campagna elettorale, e per evitarle po- trebbe scegliere di astenersi dal compiere queste attività costituzionalmente pro- tette. Anche la disclosure, quindi, secondo Thomas, restringe indebitamente tali attività, e va pertanto ritenuta un limite eccessivo.

La posizione di Thomas rimane però essenzialmente isolata nella Corte Suprema, e pertanto gli obblighi di disclosure sono sempre stati ritenuti costituzionalmente legittimi dalla giurisprudenza costituzionale americana, sia in materia di lobbying sia di finanziamento elettorale.

Se questo è vero, è vero però altresì che il modo in cui questi obblighi vengo- no discussi dalla Corte Suprema conferma quanto dicevo al paragrafo precedente circa l’antitesi lobbying-democrazia propria del diritto costituzionale americano. In effetti, gli obblighi di disclosure vengono sistematicamente ritenuti compatibili con il Primo Emendamento, salve rare eccezioni10, ma essi vengono pur sempre in-

terpretati come espressione di un’esigenza della democrazia di fare luce sul proprio funzionamento.

Nel bilanciamento con la libertà di lobbying, i giudici americani ritengono in larga maggioranza che la trasparenza sia un limite tollerabile, ma è pur sempre un limite. Infatti è già di per sé significativo che la questione della sua legittimità, benché poi alfine respinta, venga posta all’attenzione dei giudici, e venga posta appunto in que- sti termini. E i giudici è da questa prospettiva quindi che guardano alla trasparenza, concludendo (salvo Thomas) che sia legittima, ma non mettendo in discussione la premessa argomentativa dei ricorrenti, ovvero che la trasparenza, in quanto funzio- nale alla democrazia, limita la libertà di lobbying e quindi il Primo Emendamento.

Fermo restando questo, la disclosure rimane comunque ampiamente legittima, e quindi è ad essa che si ispira fin dal nome la legge americana di disciplina del lob-

bying, così come la spina dorsale delle regole in materia di finanziamento elettora-

le. A questo proposito, non si può non citare in chiusura il celeberrimo passaggio in cui il futuro giudice della Corte Suprema federale Louis Brandeis, in un articolo del 10 V. come esempio particolarmente significativo il citato caso NAACP v. Alabama, 357 US 449 (1958).

1913 sull’Harper’s Weekly intitolato What Publicity Can Do11, coniò la celeberrima

espressione «Sunlight is said to be the best of disinfectants», generalmente citata in forma abbreviata come «Sunlight is the best of disinfectants», ovvero «la luce del sole è (detta essere) il migliore dei disinfettanti».

La posizione fatta propria da Brandeis, così come da tutti coloro che da allora sino ad oggi si sono richiamati alla sua impostazione, è che la trasparenza sia es- senziale a gettare luce su pratiche come quella del lobbying e del finanziamento elettorale, viste secondo questa impostazione come fonte di possibile corruzione (in senso atecnico) del processo democratico, e quindi da sottoporre necessariamente al “disinfettante” dell’attenzione dell’opinione pubblica.

Ma quale che sia l’opinione a riguardo di questo orientamento, molto diffuso nel discorso pubblico in materia di lobbying sia nella politica sia nei think-tank e nei media, sul piano analitico rimane fermo che, anche secondo i fautori di tale im- postazione, il lobbying rimane un diritto individuale fondamentale, su cui la Corte Suprema non cambierebbe mai giurisprudenza, almeno nel prevedibile futuro, an- che nell’ipotesi, che mentre scrivo, dopo la morte di Scalia, è uno scenario alquan- to probabile, di mutamento di maggioranza ideologica al suo interno: qualunque progetto di legge negli Usa, per quanto fortemente orientato a limitare fenomeni come il lobbying e il finanziamento elettorale, per via delle asserite perversioni che possono determinare nel processo democratico, farà sempre necessariamente i con- ti con la per ora irrevocabile conclusione della giurisprudenza costituzionale che il

lobbying e (se pur in misura minore) la possibilità di esprimersi tramite il finanzia-

mento o la spesa elettorale sono diritti individuali fondamentali, non comprimibili oltre una certa misura minima.

E ciò, con una piccola ulteriore precisazione: la Corte Suprema è giunta in anni recenti, soprattutto con Citizens United, ad estendere la nozione di diritto indi- viduale al finanziamento elettorale anche alle persone giuridiche, ritenendo che i singoli non debbano veder affievolita la protezione dei propri diritti fondamentali per il mero fatto di esercitarli in forma aggregata, come accade per l’appunto con gli enti, che in definitiva non sono altro che raggruppamenti di persone. Questa estensione è assai più contestata, ma anche qualora dovesse venire revocata, per via di un mutamento di giurisprudenza (su questo assai più probabile nel prefigurato caso di ribaltamento ideologico alla Corte) o di un ipotetico emendamento costitu- zionale, comunque il nocciolo duro dell’impostazione costituzionale americana sul

lobbying non sembra destinato a mutare in un prevedibile futuro, quali che siano

gli sviluppi delle appassionanti vicende ideologiche della Corte Suprema federale.

11 Il termine sunlight è da allora diventato di uso corrente da parte dei sostenitori del- la necessità di una maggior trasparenza nell’amministrazione; cfr. sul tema Sunlight Foundation, Brandeis And The History Of Transparency, http://sunlightfoundation.com/ blog/2009/05/26/brandeis-and-the-history-of-transparency/ (2009).

La disciplina del lobbying a livello europeo (UE e Consiglio

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