Il lobbying nelle definizioni normative (e non)
2. La definizione normativa di lobbying negli Stati Unit
Limitandosi dunque al dato giuridico, è molto approfondita la ricostruzione del significato di lobbying effettuata dalla United States Court of Appeals per il District
of Columbia Circuit nella sentenza Rumely v. U.S.5, un caso che verteva proprio
sulla definizione da dare all’espressione “lobbying activities”: si trattava infatti di stabilire se il Comitato della House of Representatives istituito per vigilare sulle
lobbying activities avesse o meno il potere di imporre al signor Rumely, ammini-
stratore di un ente che faceva attività di pressione sull’opinione pubblica e cercava così di influenzare indirettamente i membri del Congresso, con cui solo occasio- nalmente aveva rapporti diretti, concretantisi principalmente nell’invio di libri e pamphlet.
Rumely, convocato dal Select Committee on lobbying activities, si era rifiutato di rivelare l’identità di una donna che aveva finanziato la distribuzione, da parte dell’organizzazione del signor Rumely, di 4.000 copie di un libro a insegnanti e religiosi della città dove abitava la donatrice; per via di questo suo rifiuto, Rumely era stato condannato per “contempt of Congress”. Merita riportare qui per intero l’analisi della Corte d’Appello, svolta ripercorrendo una serie di precedenti pronun- ce giurisprudenziali:
“Lobbying” è un termine di significato comune. Il verbo “lobby” significa, secondo l’Oxford English Dictionary, 1933, “influenzare [i membri di una camera parlamentare] nell’eserci- zio delle loro funzioni legislative frequentando la lobby. Anche, ottenere l’approvazione di [un provvedimento] attraverso il Congresso per mezzo di tale influenza”. Altri dizionari 4 Ad esempio, riportiamo la definizione che l’enciclopedia Treccani dà non di lobbying ma di lobby, identificata come «gruppo di interesse che opera prevalentemente nelle sedi istituzionali di decisione politica attraverso propri incaricati d’affari o apposite agenzie allo scopo di influenzare e persuadere il personale politico a tenere conto degli interessi dei propri clienti nell’emanazione di provvedimenti normativi». Quanto alla letteratura anglo- sassone, il Webster’s Dictionary, definisce il verbo “to lobby” come «indirizzare o solle- citare membri di un corpo legislativo nella lobby o altrove, con lo scopo di influenzare il loro voto; in senso lato, provare a influenzare chi prende le decisioni in ogni circostanza» (Webster’s Revised Unabridged Dictionary (1913), to lobby). Similmente, il Black’s Law
Dictionary propone le seguenti accezioni: «1. Parlare con o ingraziarsi i favori del legislato-
re, di norma ripetutamente e di frequente, nel tentativo di influenzare il voto del legislatore. 2. Supportare o opporsi a (una misura) lavorando per influenzare il voto del legislatore. 3. Provare a influenzare (chi prende le decisioni)» (Black’s Law Dictionary (20099), lobby).
5 90 U.S. App. D.C. 382, 197 F.2d 166 (1952). È il fondamentale caso deciso in via defini- tiva dalla Corte Suprema con la sentenza analizzata infra, al Capitolo III, § 4.6..
danno significati simili. La Corte Suprema si occupò di un contratto per un lobby service in Trist v. Child e usò il termine “sollecitazione personale” per descriverlo. “Un lobbista”, disse la Circuit Court in Burke v. Wood, “si definisce come una persona che frequenta la lobby o le adiacenze di un’assemblea parlamentare o di altre assemblee deliberative con la visione di influenzare la visione dei suoi membri”. Nel passato una differenza tra lobbying e “servizi puramente professionali” nel rendere edotta un’assemblea parlamentare dei meriti o demeriti di un provvedimento fu riconosciuta per legge. La Corte Suprema la affrontò in Trist v. Child [...], e in Marshall v. Baltimore & Ohio R.R., entrambi casi discussi in
Oscanyan v. W. R. Arms Co.. Un’analoga riflessione appare in Lucas v. Wofford, Ewing v. National Airport Corporation, e Noonan v. Gilbert. [...] Al più, le parole “lobbying activi- ties” descrivono nulla più che le allegazioni fatte direttamente al Congresso, ai suoi mem-
bri, o alle sue commissioni6.
In quella pronuncia, poi oggetto di un appello alla Corte Suprema, i giudici annullarono la condanna del signor Rumely, ritenendo che l’attività svolta dal suo gruppo non rientrasse nella nozione di lobbying, che di conseguenza il Select
Committee non avesse giurisdizione su di essa, e quindi non avesse titolo a chie-
dergli quelle informazioni, che egli aveva dunque legittimamente tenuto riservate. Questa distinzione tra generica attività di pressione sull’opinione pubblica e attività di persuasione dei pubblici decisori rimarrà fondamentale, ed in effetti è unicamente del lobbying professionale che si occupa anche la principale disciplina federale americana in argomento, il Lobbying Disclosure Act (LDA)7.
Questa legge, di cui come detto si esamineranno più avanti i contenuti essen- ziali, non dà una definizione di lobbying, tuttavia stabilisce alla Section 3 (2 USC 1602) che le “lobbying activities” sono i
contatti di lobbying e gli sforzi a sostegno di tali contatti, inclusa la preparazione e la pia- nificazione di attività, la ricerca e altro lavoro di base che è volto, nel momento in cui è realizzato, ad essere utilizzato nei contatti, e congiuntamente alle attività di lobbying di altri.
A sua volta, come lobbying contact va intesa
qualunque comunicazione orale o scritta (inclusa una comunicazione elettronica) a un fun- zionario dell’esecutivo o del legislativo tra quelli cui si applica la disciplina, che sia fatta per conto di un cliente con riferimento a: (i) la formulazione, modifica, o adozione di legi- 6 197 F.2d 174-175 (1952). Questi i riferimenti dei casi richiamati: Trist v Child, 88 U.S. 441 (1875); Burke v. Wood (Circuit Court, S.D. Alabama), 162 F. 533 (1908); Marshall v.
Baltimore & Ohio R.R., 57 U.S. 314 (1853); Oscanyan v. W. R. Arms Co., 103 U.S. 261
(1881); Lucas v. Wofford (Circuit Court of Appeals, Fifth Circuit), 49 F.2d 1027; Ewing
v. National Airport Corporation (Circuit Court of Appeals, Fifth Circuit), 115 F.2d 859
(1940), (U.S. Supreme Court), 312 U.S. 705 (1941); Noonan v. Gilbert (Court of Appeals of
the District of Columbia), 68 F.2d 775 (1934).
slazione federale (incluse proposte di legge); (ii) la formulazione, modifica o adozione di una regola o regolamento federale, di un Executive order, o di qualunque altro programma,
policy, o posizione del governo degli Stati Uniti; (iii) l’amministrazione o esecuzione di un
programma o di una policy federali (inclusa la negoziazione, attribuzione, o amministrazio- ne di un contratto, un’elargizione, un prestito, un permesso o una licenza federali); o (iv) la nomina o conferma di una persona per una posizione soggetta alla conferma da parte del Senato8.
L’LDA (sempre Section 3, 2 USC 1602) chiarisce poi anche, per relationem, chi debba essere considerato lobbista, e lo fa utilizzando un criterio quantitativo: esso infatti stabilisce che
Il termine “lobbyist” (lobbista) significa qualunque individuo che sia impiegato o ingaggia- to da un cliente dietro compenso finanziario o di altro tipo per servizi che includono più di un lobbying contact, a meno che si tratti di un individuo le cui attività di lobbying costitui- scano meno del 20 per cento del tempo impiegato nei servizi erogati da tale individuo a quel cliente in un periodo di 3 mesi.
In altri termini, è lobbista negli Stati Uniti chi, in un periodo di tre mesi9, dedichi
almeno il 20% del tempo impiegato per un cliente ad attività di lobbying (e queste attività includano più di un contatto). La soglia del 20% è stata criticata come ar- bitraria e difficile da misurare e pertanto abbastanza agevolmente aggirabile10, ma
essa rimane ad oggi il criterio cui fare riferimento.