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Nella governance urbana: l’impresa sociale e le politiche di riuso urbano

2.3 L’impresa sociale in Europa

2.4.1 Nella governance urbana: l’impresa sociale e le politiche di riuso urbano

L’impresa sociale sembra avere la capacità di adattarsi alle necessità di contesto mutando nei propri processi e nella capacità di offrire risposte innovative. Le esperienze di riuso di beni pubblici inutilizzati e la sovente gestione affidata a soggetti dell’economia sociale sembra essere una delle pratiche più ricorrenti in tema di politiche pubbliche in ambito urbano.

61 Il bisogno collettivo di intervenire sui beni dismessi, che in Italia risultano essere numerosi, sembra essere un’opportunità per coniugare i bisogni dell’impresa sociale e le esigenze di rigenerazione urbana (Cottino e Zandonai, 2012).

Fareri (2010) sostiene che le politiche urbane definiscono un campo di azione collocato al:

“punto di incontro di percorsi paralleli sviluppati nell’ambito di diverse politiche di settore che presentano sostanziali analogie sul piano della domanda di innovazione. Sono queste analogie a consentire di declinare un ‘problema urbano’ (che, è bene sottolinearlo ha il carattere di costrutto strategico, esito delle percezioni e della mobilitazione di un ampio campo di attori) come un problema il cui trattamento non è assicurato dalle politiche esistenti (…). La messa a punto di politiche per il trattamento di questi problemi parte da tre parole chiave – locale, trasversale, dal basso - che evidenziano l’esigenza della costituzione ‘urbana’ di un nuovo campo di interventi su problemi sociali” (Fareri 2010).

Molto spesso i temi utilizzati per parlare di impresa sociale richiamano l’insieme di significati che accomunano altri campi quali quelli dell’innovazione sociale, della rigenerazione urbana, della governance e più in generale delle politiche pubbliche. Già il solo fatto che tutti questi termini hanno a che fare con l’interesse pubblico, i beni pubblici e che sono caratterizzate da una pluralità di attori nella medesima arena apre la strada alla facile deduzione che questi campi dell’agire siano in qualche modo correlati se non addirittura aspetti del medesimo processo di riconfigurazione della società in relazione ai problemi collettivi.

Nel dibattito scientifico internazionale ricorre frequentemente la sovrapposizione concettuale tra Innovazione sociale e Impresa sociale, basta fare riferimento alle posizioni della Commissione Europea per averne conferma (Social Business Initiative) o agli studiosi della “Social Innovation School”.

Tuttavia, Carlo Borzaga (2016) suggerisce che per una reale comprensione delle attuali trasformazioni dei rapporti tra Stato, Mercato e società civile, nell’ambito dell’economia sociale e civile, è bene tenere i due concetti separati. Le ragioni di una simile precauzione sono da individuare, in primis, nella definizione stessa di Innovazione sociale. Essa può

62 manifestarsi non solo nei corsi di azione di un’amministrazione pubblica o privata, ma anche in quelli di un gruppo informale di cittadini.

Per cui la capacità di inventare nuovi prodotti e servizi e di attivare nuove reti e processi non necessariamente appartiene all’impresa sociale. In secundis, la natura dell’impresa sociale non coincide con il carattere necessariamente innovativo delle proprie attività. Si possono dare risposte a bisogni sociali insoddisfatti anche secondo metodi già adottati da altre imprese.

L’innovazione, inoltre, non è soltanto prerogativa dell’impresa poiché essa affonda le proprie radici nelle relazioni formali e informali che si vengono ad instaurare tra i diversi attori del network.

Il legame con il territorio risulta essere un altro degli aspetti che connota l’impresa sociale in modo particolare. Come si evince del primo Rapporto “Coesione è Competizione” curato da Fondazione Symbola e Unioncamere nel 2014 vi è una forte correlazione tra performance economica, coesione e benessere del territorio (Symbola, Unioncamere, 2014):

“la coesione sociale e il legame con il territorio hanno inoltre un effetto di ammortizzatore e di perequazione, una sorta di rete di protezione contro la crisi” (Gallerini e Lenzi, 2016).

La capacità di dare risposte in maniera efficace ai bisogni del territorio dipende da come il territorio lo si osserva. Noi ci occuperemo di periferie e del “riscatto di questi luoghi nell’equilibrio urbano” (Cottino e Zandonai, 2012).

Per Cottino e Zandonai (2012) il territorio della periferia può essere trattato come se fosse un “dato”, poiché descrive l’insieme delle informazioni che segnalano la differenza con il “centro” sul piano dei bisogni; ma anche come un “progetto” in quanto insieme di interventi di un’azione collettiva localizzata.

In tale contesto l’impresa sociale gioca un ruolo importante nell’intercettare i bisogni che insistono nella faglia tra centro e periferia, ma allo stesso tempo può perimetrare il proprio apporto e concentrare i propri interventi in uno spazio definito di attori, risorse, obiettivi. Rigenerare la città significa ripristinare la sua urbanità intervenendo sulla qualità della vita e sulle relazioni sociali (Vicari e Moulaert, 2019).

63 “Il bisogno di rigenerazione sociale, che fino ad ora ha interessato

prevalentemente le esigenze di particolari gruppi di individui, tocca i territori e le loro comunità in maniera diffusa” (Sacchetti 2016).

Destano particolare interesse le iniziative socialmente innovative derivanti da progetti d’impresa sociale, sintesi della convergenza e della collaborazione tra gli interessi pubblici, quelli privati e quelli del Terzo settore (Borzaga e Fazzi 2011) volte a incidere sulle comunità a partire dal recupero e dalla valorizzazione di beni e proprietà immobiliari.

Tuttavia, c’è da chiedersi in che modo i modelli di governance che vengono ad instaurarsi tra attori, risorse e interessi e come si configurino e mantengano salda la propria legittimità in contesti periferici all’interno dei quali si attivano forme di rigenerazione urbana a partire dal coinvolgimento di imprese sociali nel network urbano. Facciamo nostra la definzione di rigenerazione urbana di Lucio Iaccarino (2003) che considera la rigenerazione urbana:

“un processo decisionale che opera in almeno tre dimensioni: a) bonifica dei suoli interessati da dismissione e riqualificazione urbana; b) salvaguardia dei legami sociali danneggiati della dismissione e del vuoto urbano; c) ricostruzione della sfera pubblica (negoziazione tra interessi pubblici e privati)”.

A partire da questa definizione possiamo dire che l’impresa sociale interviene nel network pubblico-privato di negoziazione degli interessi al fine di ricostruire la sfera pubblica danneggiata da fenomeni di dismissione e dai vuoti urbani.

Evans e Shaw (2004) in “The contribution of culture to regeneration in the UK: a review of evidence” sostengono che la rigenerazione urbana sia trasformazione di un luogo (residenziale, industriale o spazio aperto) che mostra sintomi di declino ambientale (fisico) sociale e/o economico. O meglio come l’infusione di una nuova vitalità a comunità, industrie e luoghi in declino porta miglioramenti sostenibili e a lungo termine alla qualità della vita locale, incluse esigenze economiche, sociali, ambientali.

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