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Rigenerazione urbana in Italia e in Scozia

Scozia

La Scozia vanta non solo una lunga tradizione nel campo della rigenerazione urbana, ma la sua storia ha seguito un proprio peculiare percorso nel processo evolutivo della politica del Regno Unito in tema di pianificazione in una prima fase e di rigenerazione urbana in quella attuale.

Gli anni di governo conservatore sotto la guida di Margaret Thatcher furono caratterizzati da politiche urbane ispirate al contesto politico generale volto alla privatizzazione di numerosi segmenti pubblici.

L’approccio seguito in relazione alle trasformazioni urbane fu quello dello Urban Development Corporation e della Enterprise Zones per guidare e attrarre nuovi investimenti.

91 Tra gli interventi proposti dal Governo conservatore della Thatcher, considerando lo spirito ambientalista emerso a partire dagli anni Ottanta, una serie di politiche sono state attuate in osservanza ai principi di salvaguardia dell’ambiente. A livello di politiche pubbliche questo imprinting è stato tradotto con l’adozione di una serie di interventi ispirati al nature-based approach (Punter 2011, Cullingworth, Nadine 1964):

- Local Government, Planning and Land Act (1980); - National Heritage Act (1983);

- The Estate Action (1985); - Inner Task Force (1986-1987); - The Housing Action Trust (1987);

- Local Government and Housing Act (1989); - City Challenge (1991);

- English Partnership (1993);

- Housing, Grants, Construction and Regeneration Act (1996).

La differenza sostanziale che rende peculiare l’esperienza scozzese rispetto a quella inglese in generale è che in Scozia si è data maggiore importanza agli interevtni legati alla trasformazione fisica delle aree oggetto di intervento trascurando tutti gli altri aspetti di una comunità.

Il focus sugli interventi fisici ha generato un’area di interessi, soprattutto professionali, nell’urban policy subsystem, incentrata prevalentemente sul concetto di proprietà privata vedendo coinvolti in prima linea architetti, ingegneri civili, costruttori edili, progettisti e agenti immobiliari.

Il campo di azione principale fu l’Housing e la caratteristica principale del modello scozzese rispetto a quello inglese fu che si venne a produrre un’alta domanda più che di residenze pubbliche, di proprietà del Comune nello specifico, di quelle private, che erano più piccole e meno costose. Molto probabilmente questo risultato fu il frutto di politiche che hanno incentivato il coinvolgimento di attori privati nei processi di pianificazione delle aree destinate all’Housing.

Il network degli interessi professionali che sottostava all’arena di policy fu a lungo sostenuto dai finanziamenti del Governo centrale e da una burocrazia molto influente e gli interventi che riportiamo qui di seguito lo confermano:

92 - Scottish Special Housing Association (SSHA) del 1937;

- Housing Corporation in Scotland 1964; - Scottish Homes in 1989;

- Communities Scotland 2001.

Gli aspetti economici e sociali della rigenerazione urbana in Scozia sono stati a lungo tenuti separati dai processi rigenerativi meramente fisici e infrastrutturali.

Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un cambio di paradigma: la prevalenza delle degli interventi di policy di riqualificazione esclusivamente fisica formulate a livello locale sono state sostituite da policy formulate a livello nazionale che hanno assegnato priorità agli aspetti socio-economici della rigenerazione urbana scozzese.

In tale contesto, il modello manageriale ha caratterizzato tutti i livelli di policy e in particolare quello locale, l’istituto della partnership ha determinato lo strumento di applicazione principale all’interno delle politiche urbane. Una maggiore attenzione agli outcome piuttosto che ai contenuti degli interventi. L’obiettivo principale è quello, così come in passato, di ridurre ulteriormente i livelli di povertà in tutto il paese.

Nel 2003 venne introdotto e giuridicamente definito all’interno dello Scotland Act l’istituto del Community Planning. Esso prescrive un approccio che mette insieme lo Scottish Office e la Convention of Scottish Local Authorities (COSLA).

Il quadro politico all’interno del quale vengono a svilupparsi queste innovazioni è caratterizzato dalla vittoria della Labour Liberal Coalition nel primo Parlamento scozzese del 1999 (Rogers et al., 2000).

I governi successivi hanno costruito i principali interventi su questo modello. Quello del Community Planning è un modello che nasce in risposta al lungo periodo di politiche congestionate sotto i governi conservatori del Regno Unito. Un altro driver alla base dell’approccio del Community Planning coincise con il tema dominante della linea di governo New Labour sulla la giustizia sociale, si parlò in quella fase di Urban Reinassance.

In “Social Justice: A Scotland where everyone matters?” (Scottish Executive, 2006) si sostenne che le strategie per affrontare il problema della povertà e dell’ingiustizia in passato si sono concentrate sui luoghi piuttosto che sulle persone. Si legge nel rapporto che la priorità va assegnata al raggiungimento dei targets prefissati piuttosto che al quanto si spende, insomma ci si propone di migliorare il come si spende per organizzare il

93 cambiamento (pag. 7 del rapporto governativo). Un altro report governativo segnò il cambio di approccio ed era denominato “People and Place” adottato lo stesso anno del precedente, che ha privilegiato interventi che puntassero alla creazione delle opportunità economiche nel promuovere la rigenerazione piuttosto che il porre enfasi sulla soddisfazione di bisogni (McCarthy, 2007).

La rigenerazione viene considerata da questo momento in poi un modo per attivare la crescita e la prosperità economica e incoraggiare partnership con attori privati per la realizzazione degli interventi (Rae 2011).

Furono due gli strumenti principali attraverso i quali si tentò di perseguire questi obiettivi: il City Growth Fund e le Urban Regeneration Companies (URCs).

Quest’ultime rappresentano il braccio operativo delle politiche pubbliche scozzesi nell’ambito della rigenerazione fisica, economica e sociale. Si tratta di un ente volto alla valorizzazione di determinate aree che risulta essere caratterizzato da un modello aziendale pubblico-privato e da una propria autonomia e separazione nel business rispetto all’attore privato (Sheil and Smith-Milne, 2007).

Venne introdotto un modello che pone al centro degli interventi un private property-led approach alla rigenerazione che implica investimenti pubblici su terreni, sviluppo di capitale e includendo alcuni investimenti complementari sul social housing al fine di stimolare gli investimenti privati.

Con l’introduzione del Single Outcome Agreement (SOA) il ridisegno della strategia di pianificazione del governo locale raggiunse un alto grado di completamento. I governi locali parteciparono alla definizione dei 15 obiettivi strategici riportati all’interno del National Performance Framework (Scottish Government, 2007).

Mediante un concordato con COSLA diretto alla gestione delle attività per perseguire gli obiettivi strategici del Governo senza intaccare la fiscalità locale, le autorità locali sono in questo quadro libere di determinare le proprie priorità e di fissare dei limiti all’uso dei propri budget.

Italia

In Italia a partire dagli anni Ottanta si verifica nell’ambito delle politiche urbane un cambio di paradigma che è chiamato a fare i conti con l’inadeguatezza degli interventi tradizionali di individuazione di soluzioni a problemi ed esigenze della società differenti rispetto al passato e all’introduzione dei nuovi modelli manageriali nei campi di azione dell’attore pubblico.

94 Gli anni Ottanta in Italia segnano la fine dell’epoca dell’espanzione e il passaggio alla fase di trasformazione (Lingua 2007).

“I probelmi della città sono definiti più come questioni di ristrutturazione e di riorganizzazione che come problemi di crescita urbana. Il piano regolatore tradizionale ed i suoi meccanismi attuativi sembrano incapaci di affrontare operazioni complesse di trasformaione urbana, determinando tempi biblici nei procedimenti, separazione e contrapposizione tra pubblico e privato, incomunicabilità tra urbanistica e mercato immobiliare” (ibidem).

Negli anni Novanta l’influenza esercitata dal livello europeo sul settore urbanistico italiano porta all’affermazione di una serie di pratiche di piano che introducono il paradigma basato sullo sviluppo locale superando quello basato sulla regolazione. All’attore pibblico viene chiesto di sviluppare capacità imprenditoriali nella gestione dei progetti e nel governo del territorio. La pianificazione in quesli anni è volta a gettare le basi per percorsi di sviluppo locale (Calvaresi 1998).

“I primi programmi degli anni Novanta (Programmi integrati di intervento, Programmi di recupero urbano, Programmi di riqualificazione urbana) contengono già nella denominazione gli elementi di novità che li caratterizzano: la configurazione di programmi, il carattere integrato e la finalità del rinnovo urbano” (Lingua, 2007).

Negli anni Duemila il Partenariato diviene lo strumento più adatto al nuovo paradigma legato allo sviluppo di programmi caratterizzati da dimensioni multilivello; dall’entrata del Terzo settore nel ventaglio degli attori fondamentali per l’attivazione di interventi di rigenerazione; dal coinvolgimento dei residenti e users delle aree oggetto di interventi attraverso l’attivazione di processi partecipativi.

Nonostante, l’introduzione dello strumento collaborativo partenariale le pratiche rilevano la predominanza di interventi volti a modificare l’ambiente fisico a scapito di interventi di tipo sociale (ibidem).

A questo tipo di impostazione si affianca un tema in particolare quello della sicurezza che nel primo decennio degli anni Duemila risulta essere una issue presente nel dibattito politico e in quasi tutti i programmi elettorali19.

19 “Rinnoviamo l’Italia insieme”, il programma dell’Ulivo per il governo 2001/2006 e “Contratto con gli italiani”, programma del governo Berlusconi 2001/2006.

95 Tuttavia, da un rapporto di Cittalia del 2009 emerge come l’aumento dei reati in area urbana si tese a manifestare solo in tre grandi città: Genova, Milano e Torino. Tutte le altre città presentarono valori negativi soprattutto tre città: Palermo, Roma e Venezia20. Vengono introdotti tra il 2006 e il 2009 i c.d. 40 “Patti Locali” da prefetture ed Enti Locali. Nel 2009 si introduce un provedimento relativo alla sicurezza partecipata che trova applicazione attraverso le c.d. “ronde” (L. 94 art. 36, comma del 2009).

Nell’ultimo decennio guardando alle iniziative che mobilitano fondi pubblici che hanno ad oggetto interventi di tipo urbano troviamo:

- il Piano per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate;

- il Fondo per l’attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie;

- le Urban Innovation Actions.

Le prime due iniziative fanno parte del panorama italiano e sono espressione di un quadro di interventi non proprio assimilabili alla terza iniziativa, quella europea. Per Calvaresi (2016) queste iniziative:

“Parlano linguaggi differenti: il testo europeo insiste su parole come innovazione, sperimentazione, misurabilità (dei risultati), partecipazione, partenariato, trasferibilità, scalabilità”.

Invece le prime due puntano su termini tipo qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, riqualificazione, potenziamento, adeguamento.

Inoltre, l’autore nota la scarsa capacità di discernimento, che nel settore della rigenerazione urbana godono di propria autonomia, tra i termini riqualificazione e rigenerazione, manutenzione, decoro, riuso, rifunzionalizzazione, sicurezza territoriale, resilienza urbana, welfare metropolitano.

Tuttavia, una delle differenze principali, a parte le questioni terminologiche, tra i due tipi di politiche, nazionali ed europee, risiede nel fatto che i due testi italiani partono da questioni chiave quali le condizioni di degrado, la marginalizzazione e l’insicurezza in cui si troverebbero le periferie del nostro Paese; mentre le linee guida europee esprimono

96 la necessità di partire dall’osservazione del contesto entro il quale l’iniziativa si colloca e dalla logica con cui è stata costruita.

Lo scenario attuale a livello governativo centrale in Italia, quindi, è dominato prevalentemente dal “Programma Straordinario di interventi per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di Provincia” il c.d. “Bando Periferie” volto alla “realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate”.

Il ruolo di primo piano rivestito da questo Programma nel dibattito politico italiano attuale gli è attribuito a causa nel blocco delle procedure in seguito alla firma da parte dei Comuni di accettazione del finanziamento di 24 Comuni e della conseguente convocazione dei restanti 96 Comuni italiani, che in seguito ad una fase supplementare sono rientrati tra i progetti vincitori in seguito ad un ulteriore stanziamento di risorse da parte del Governo Renzi nel 2017.

Tuttavia, la fase di stallo, considerando le ingenti spese impegnate dai Comuni in vista dell’ottenimento del finanziamento in seguito bloccato, ha visto il Governo attuale fare un passo indietro e sbloccare le risorse nella Legge di Bilancio 2019. L’art. 68 contiene la sintesi dell’accordo raggiunto in Conferenza unificata.

Questo scenario non rappresenta una novità nel panorama dell’introduzione di una vera e propria Agenda urbana italiana e allo stesso tempo si allontana dall’Agenda europea che punta a stimolare soluzioni innovative volte a supportare lo sviluppo urbano sostenibile. Nel contesto italiano la rigenerazione urbana è stato un modo alternativo per spiegare la riqualificazione urbana quindi rappresentando l’insieme degli interventi di carattere prettamente fisico che hanno riguardato la città o porzioni di essa.

Solo di recente la rigenerazione viene considerata a livello politico come un fenomeno che riguarda anche le altre sfere dell’agire sociale.

Nel dibattito accademico italiano la rigenerazione urbana è un fenomeno composito che comprende interpretazioni eterogenee e considera la città come un ambiente fluido non determinato esclusivamente da confini geografici.

Di recente è stato stimato che gli interventi di rigenerazione del patrimonio esistente italiano, che contribuiscono ad arrestare il consumo di suolo, valgono circa 328 miliardi di euro. Questo è ciò che viene sostenuto all’interno del “Primo Rapporto sulla

97 Rigenerazione Urbana in Italia” dal Centro Studi Sogeea21, nel corso di un convegno sul tema organizzato in Senato.

Sogeea ha considerato la rigenerazione urbana all’italiana, ossia tenendo in considerazione i seguenti obiettivi:

- contenimento del consumo di suolo;

- interventi sul patrimonio edilizio esistente in regime di trasformazione (demolizione, costruzione)

- il recupero e la riqualificazione delle aree dismesse, di edifici abbandonati o inutilizzati

- riutilizzo dei vuoti urbani.

Lo studio appena citato non tiene conto dell’indotto generato dalle attività che vengono ad essere realizzate all’interno degli spazi recuperati e nemmeno gli impatti generabili sui contesti all’interno dei quali tali pratiche si sviluppano.