Abstract – Questo lavoro affronta il tema della circolazione e diffusione sui social media di informa- zioni false e fuorvianti, dette in gergo giornalistico ‘bufale’, con una particolare attenzione a quelle pro- dotte in ambito sanitario. Attenendosi ai risultati delle ricerche più recenti, sono illustrati i principali meccanismi della loro diffusione ed evidenziate alcune strategie utilizzabili per fronteggiare e limitare il fenomeno.
Keywords – misinformation, confirmation bias, omofilia, echo chambers, debunking. Introduzione
Con l’avvento di Internet e la diffusione dei social media abbiamo assistito a una progressiva rivoluzio- ne riguardante l’informazione; ciò non solo ha consentito a utenti di tutto il mondo di ottenere rapidamen- te le notizie più disparate, ma anche scambiarsi opinioni e dibattere tra loro.
Chiunque, con uno sforzo minimo, può accedere alla sconfinata mole di materiale presente in rete e chiunque può contribuire a incrementarla condividendo il proprio pensiero.
La mancanza di intermediazione, d’altra parte, ha reso possibile la proliferazione, accanto a notizie autentiche e affidabili, di informazioni false e fuorvianti.
Ciò ha aperto la strada alla cattiva informazione, tanto che nel 2013 il World Economic Forum ha in- dividuato nella diffusione massiva di informazioni infondate uno dei maggiori rischi per la nostra società1.
Se Internet è stato considerato da molti studiosi della comunicazione un mezzo per lo sviluppo di forme di intelligenza collettiva, oggi ci si comincia a domandare se non sarebbe più appropriato parlare di ignoranza collettiva. A questo proposito interviene Alessandro Vespignani, fisico e professore alla Nor- theastern University: «Sono due facce della stessa medaglia. L’intelligenza collettiva esiste. Può diventare ignoranza collettiva nel momento in cui la disinformazione si diffonde sulla rete, perciò è importante continuare a stabilire una scala di valori e in questo modo, ognuno di noi non deve farsi abbindolare dall’idea che l’informazione su Internet sia automaticamente accessibile e veritiera»2.
Che cos’è una bufala?
Negli ultimi anni, soprattutto grazie ai social network, sul web sono proliferate teorie false e invero- simili, quelle che in gergo sono definite bufale (in letteratura scientifica misinformation) riguardanti gli ambiti più svariati. Alcune di esse, diventate virali, hanno avuto una clamorosa risonanza.
Un esempio può essere la notizia di un anno fa sull’esercitazione militare negli Stati Uniti denominata Jade Helm 15 trasformata dalla rete in un colpo di Stato organizzato dal Presidente, oppure il post su Fa- cebook, comparso alla fine del 2012, in cui si affermava che un tale senatore Cirenga (inesistente) avesse preparato una proposta di legge per stanziare 134 miliardi di euro alla scopo di aiutare i parlamentari a trovare un lavoro in caso di non rielezione; il post sollevò un’ondata di sdegno che, sporadicamente, si protrae ancora oggi. O le diffusissime teorie complottiste tra cui quella delle cosiddette ‘scie chimiche’ ritenute sostanze tossiche liberate nell’atmosfera.
Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale, è convinto che tra le più diffuse vi siano quelle riguardanti la salute, come la promessa di cure o diete miracolose, consigli per non essere contagiati da malattie inesistenti. Tra le più famose, uno studio pubblicato nel 1998 sulla prestigiosa rivi- sta medica Lancet dove il dott. Wakefield sosteneva la correlazione nei bambini tra vaccino trivalente e la comparsa di autismo e di malattie intestinali.
Per quanto concerne la disinformazione sanitaria online può essere essenzialmente classificata in tre categorie:
1. informazioni approssimative, senza fini di lucro e in buona fede; 2. informazioni presentate in modo non accurato o volutamente parziale; 3. informazioni erronee e fuorvianti.
L’utilizzo di informazioni sanitarie inaffidabili o scorrette può essere causa di gravi danni alla salute del fruitore: sulla loro base può decidere se consultare o meno un medico, sospendere trattamenti che gli erano stati prescritti o sostituirli con altri che potrebbero nuocergli o essere semplicemente inefficaci, as- sumere farmaci non testati o contraffatti. Inoltre queste notizie potrebbero alimentare false speranze nel paziente, minando il suo equilibrio psichico ed emotivo3.
Come si diffonde la cattiva informazione in rete?
Nel 2009 David Lazer (professore alla Northeastern University) ha inaugurato un nuovo modo di fare ricerca su questi argomenti, dedicandosi a studi quantitativi sui social media, analizzando le tracce digi- tali lasciate dagli utenti (contenuti visualizzati, condivisi, commentati, ‘mi piace’…).
In Italia un team guidato da Walter Quattrociocchi, dell’Imt School for Advanced Studies di Lucca, sta portando avanti uno studio quantitativo sulla diffusione delle informazioni in rete. Svolgendo un’ap- profondita analisi dei contenuti pubblicati su Facebook ed esaminando il comportamento degli utenti, è arrivato alla conclusione che uno dei principali fattori che li orienta nella selezione e condivisione di notizie relative a determinate tematiche è il cosiddetto confirmation bias o pregiudizio di conferma, ossia la ricerca esclusiva di informazioni che confermino ciò di cui si è già convinti.
Si formano così gruppi focalizzati su argomenti particolari, chiamati echo chambers o camere di riso- nanza, perché si presentano come gruppi chiusi che condividono gli stessi interessi e tendono a ignorare tutte le opinioni di chi la pensa diversamente, consolidando e amplificando le proprie convinzioni.
L’appartenenza a gruppi opposti o ‘tribù’ rende quasi impossibile l’interazione e, quando avviene, spesso si conclude con aspri diverbi che incrementano la già forte polarizzazione.
Alla base della viralità delle notizie sembra esserci l’omofilia, ossia la tendenza a condividere informa- zioni con utenti che hanno profili simili al proprio.
È stato dimostrato che maggiori sono i ‘mi piace’ e le condivisioni di un certo tipo di narrativa, mag- giori risultano le possibilità di creare una rete virtuale di ‘amici’ con lo stesso profilo.
Inoltre al crescere dell’attività dell’utente, cementata la sua presenza nell’echo chamber, aumenta la sua predisposizione ad assimilare tutto ciò che gli viene offerto4.
Combattere la disinformazione dilagante, si può?
In seguito allo smisurato incremento di bufale pubblicate ogni giorno in rete, sono nati siti che svol- gono attività di debunking (coniato dall’espressione the bunk out of things ovvero ‘tirar fuori il falso dalle cose’) smontando e smascherando le notizie false e infondate.
Uno dei primi si chiama Snopes ed è nato nel 1996. Uno dei più recenti, ancora in fase di spe- rimentazione, è Emergent.info che scandaglia la rete in tempo quasi reale. Sono state anche create squadre di persone per scovare le falsità sul Web, come ad esempio Citizen evidence lab, il sito di Amnesty International che cerca di verificare l’autenticità dei video su YouTube.
Quattrociocchi e colleghi, a causa dei risultati dei loro studi, sono però convinti che riuscire ad arginare la diffusione della cattiva informazione, sia molto complicato. Sostengono che il de- bunking non si dimostri così incisivo in quanto le smentite non riescono a valicare le mura delle echo chamber e, talora ci riuscissero, otterrebbero l’effetto contrario, alimentando reazioni difensive negli utenti5.
Gli elaborati di Informatica Biomedica prodotti dagli studenti 53
Questi nuovi dati hanno avuto un notevole impatto, tanto che una giornalista del Washington Post ha recentemente chiuso la sua rubrica What was fake this week in cui si impegnava a confutare le frottole che popolano Internet6.
Nonostante ciò, l’attività di debunking rimane uno degli strumenti basilari nella caccia alle bufale. Anche in Italia sono attivi siti antibufala come Attivissimo.net, Hoax.it, Butac.it e Bufale.net.
Se questa attività di demolizione degli inganni non è sufficiente, è possibile rivolgersi alla Polizia postale, come ha fatto l’autore di Bufale.net, quando si è dovuto confrontare con notizie manipolate che potevano nuocere gravemente alla salute o incrementare la discriminazione e incitare alla violenza7.
Gli stessi social media si sono attivati per contrastare il fenomeno e Facebook ha reso possibile segnalare i contenuti sospetti; anche Google sta cercando un modo per mettere in risalto i siti più attendibili.
Ovviamente nessun tipo di iniziativa, a prescindere dall’efficacia, può giustificare un abbassamento della guardia da parte del navigatore. Dobbiamo essere pronti a verificare le fonti e la qualità delle infor- mazioni, non condividendo notizie senza averne prima verificato la loro veridicità.
Diviene perciò fondamentale educare chi accede alle informazioni per districarsi nella mole di noti- zie reperibili.
In ambito sanitario, un ruolo fondamentale dovrebbe essere svolto dal medico, guidando il paziente verso le informazioni di buona qualità, basate su evidenze scientifiche e provenienti da fonti affidabili3. Conclusioni
La diffusione di Internet e dei social media, modificando profondamente i nostri modi di informarci e comunicare, se da un lato ci ha aperto opportunità impensabili fino a qualche decennio fa, dall’altro ha reso estremamente difficile controllare la veridicità della grande quantità di informazioni immesse in rete, con il rischio di favorire la disinformazione.
Studi recenti hanno individuato nel confirmation bias (pregiudizio di conferma) e nell’omofilia (la tendenza a condividere informazioni con utenti che hanno profili simili) le principali dinamiche della selezione e della diffusione dei contenuti online.
Ciò conduce a ritenere che l’attività di debunking (smascheramento) delle cattive informazioni non sia una strategia sufficiente per arginare il fenomeno; in alcuni casi anzi è stato dimostrato che ha sortito l’effetto contrario.
Pertanto risulta necessario agire a più livelli, in ambito educativo. La scuola dovrebbe essere l’agenzia educativa deputata alla formazione negli studenti di atteggiamenti attivi e critici nei confronti delle infor- mazioni che circolano in rete. Specificatamente in ambito sanitario, il professionista del settore dovrebbe diventare consapevole del ruolo fondamentale che deve assumere nell’orientare i propri pazienti, indiriz- zandoli verso fonti affidabili.
Bibliografia
1 Global Risks Report 2013. World Economic Forum, <http://reports.weforum.org/global-risks-2013/> (ulti- mo accesso: 02/2019).
2 Come ti costruisco una bufala sul web. La Repubblica, <http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep- it/2015/01/08/news/come_ti_vendo_una_bufala_sul_web-103114905/> (ultimo accesso: 02/2019). 3 Masoni M., Guelfi M.R., Conti A., Gensini G.F. (2014) La qualità dell’informazione sanitaria in rete. L’infer-
miere 1, 12-21.
4 Del Vicario M., Bessi A., Zollo F., Petroni F., Scala A., Caldarelli G., Stanley H.E., Quattrociocchi W. (2016) The spreading of misinformation online. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America. PNAS 3, 554-559.
6 What was fake on the Internet this week: Why this is the final column. The Washington Post, <https://www. washingtonpost.com/news/the-intersect/wp/2015/12/18/what-was-fake-on-the-internet-this-week-why- this-is-the-final-column/> (ultimo accesso: 02/2019).
7 Bufale, la denuncia: “C’è rete siti web che guadagna su notizie false omofobe e razziste. Smentire non basta più”. Il Fatto Quotidiano, <http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/03/bufale-online-la-denuncia-siti- guadagnano-su-notizie-false-omofobe-e-razziste-smentire-non-basta-piu/2091998/> ((ultimo accesso: 02/2019).
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