I DIRITTI DI CREDITO COME OGGETTO DEI DIRITTI DI GARANZIA
2. I crediti dell’impresa nella loro funzione d’oggetto di garanzia: il modello nordamericano
2.2. Pignorabilità e cedibilità dei beni intangibil
2.2.1. La pignorabilità dei beni intangibili. La necessità di un corpus fisicamente possedibile
Dopo le fasi attraverso le quali si abbandonò lo schema del pledge ed addirittura quello della chattel mortgage al fine di costruire una garanzia efficace sulle merci, sembrava che i “vecchi” istituti fossero destinati a restare nei testi accademici, perdendo con il tempo la loro importanza pratica. Per contro, né il modello del pledge né lo schema della chattel mortgage furono completamenti trascurati dagli operatori economici. Così, mentre la chattel mortgage trovò il suo inquadramento nell’ambito del finanziamento sulla base dei beni durevoli e statici delle imprese, l’elasticità del pledge fu messa a dura prova con quei beni i quali, visto il loro carattere intangibile, non erano suscettibili dello spossessamento che il modello pignoratizio richiedeva. Il dibattito su quali fossero i beni effettivamente pignorabili, in specie quando si trattava di beni intangibili, era presente nella storia di tutti gli ordinamenti giuridici e gli Stati Uniti non potevano essere un’eccezione.280
In questo contesto, la discussione riguardo alla pignorabilità dei beni intangibili poteva essere ricondotta sulla loro possedibilità. Se il bene era trasmissibile o cedibile bisognava poi verificare se era possibile compiere con il requisito dello spossessamento inerente al pledge.
Il pledge veniva fin dall’inizio limitato così, ai beni fisicamente possedibili. I beni intangibili sarebbero stati suscettibili di conformarne l’oggetto solo se fossero stati incorporati in un documento che lo permettesse. In altre parole, “pignorabile” era per gli americani sinonimo di “fisicamente possedibile”, cosicché il vero problema da risolvere
280
Può risultare illustrativo questo brano estratto dalla causa Wilson v. Little “…it has been doubted
whether incorporeal things like debts, Money in stocks &c., which cannot be manually delivered, were the proper subjects of a pledge. It is now held that they are so; and there seems to be no reason why any legal or equitable interest whatever in personal property may not be pledged; provided the interest can be put, by actual delivery or by written transfer, into the hands or within the power of the pledge, so as to be made available to him for the satisfaction of the debt. Goods at sea may be passed in pledge by a transfer of the muniments of title, as by a written assignment of the bill of lading. This is equivalent to actual possession, because it is a delivery of the means of obtaining possession. And debts and choses in action are capable, by means of a written assignment, of being conveyed in pledge.” Wilson v. Little, 2 N.Y. p. 443, p. 446 (1849). È GILMORE a commentare nel suo trattato questa decisione e ad affermare
che “if it ever was true that only tangible chattels could be pledged, it is well over a century since that
riguardo al pledge era, invece, quello di determinare quali fossero i documenti la cui consegna potesse produrre la creazione di un diritto di pegno sui beni da essi rappresentati.281
I titoli rappresentativi delle merci come il bill of lading o il warehouse receipt erano strumenti essenzialmente pignorabili tramite la consegna del documento.282 La stessa affermazione valeva per le polizze d’assicurazione e per i valori negoziabili (securities), anche se il creditore pignoratizio necessitasse, in alcuni casi, dell’iscrizione nel registro dell’entità di emissione per far valere i suoi diritti.283 Per contro, restavano fuori dalla categoria dei beni pignorabili quei crediti sorti, ad esempio, da contratti di costruzione, produzione e vendita o dalla fornitura di servizi che non venissero rappresentati da documenti la cui consegna (sommata in alcuni casi all’intestazione) non fosse considerata metodo effettivo per il loro trasferimento. S’intendeva che la consegna del contratto era irrilevante ai fini della costitituzione del pledge ed alle cessioni di questi diritti con finalità di garanzia erano applicate le norme della common law relative alla cessione di crediti (assignment). A questo riguardo, la dottrina soleva distinguere, all’interno della categoria dei beni intangibili, quelli che erano pignorabili (pleadgeable
intangibles) da quelli che non lo erano (non-pleadgeable intangibles).284
Il punto di partenza della fattispecie e la sua evoluzione coincideva con quella sperimentata nell’ambito degli ordinamenti giuridici di tradizione continentale, nel senso che, partendosi dal pegno con spossessamento, il suo sviluppo si scontrava con la necessaria corporeità dei beni richiesta per il pacifico operare del meccanismo. A questo punto, però, le linee evolutive d’entrambi i sistemi si separarono e, mentre che il Diritto americano abbandonava il modello del pegno per la realizzazione della funzione di
281 “Our discussion at this point is restricted to what types of intangibles can be pledged, using the term
“pledge” to mean that possession of some writing by the creditor will give him an interest in the rights rperesented by it which cannot be defeated by any interest subsequently created by the pledgor”. (vid.
GILMORE, Grant, Security interests in personal property, cit. p. 12).
282
Vid. supra Capitolo II.4.1. “La strada verso la garanzia...” dove riportiamo la cosiddetta “documentary pledge”. Oggi è l’articolo 7 U.C.C a disciplinare la negoziabilità e la pignorabilità di questi documenti.
283
Vid. GILMORE, Grant, “The comnercial doctrine of good faith purchase”, Yale Law Journal, 1954, p.p. 1057 e s.s , in speciale, p.p. 1062-1093.
garanzia sui beni incorporali, i sistemi continentali rimanevano legati al suo schema e configurarono con grande sforzo dogmatico la fattispecie del “pegno di crediti”.285
2.2.2. La proibizione della cessione dei crediti nelle radici del common law
Nello sviluppo del Diritto inglese ci fu un tempo in cui i beni intangibili (choses in
action)286 non potevano nemmeno essere trasmessi. In questo modo, non solo il pledge vedeva limitata la sua portata ai beni tangibili o materialmente possedibili, ma anche la trasmissione di qualsiasi diritto sui beni immateriali presupponeva la loro visibilità o tangibilità. Le spiegazioni che la dottrina ci propone ad una siffatta regola sono ben diverse. Si è suggerito, per esempio, che gli antichi erano incapaci di concepire la trasmissione dei diritti su beni che non godessero di materialità.287 Ci sono spiegazioni più soddisfacenti come quella di GILMORE, nell’AMES-HOLDSWORTH approach,288 dove pone la causa dell’evoluzione della teoria del contratto. Secondo tale dottrina, visto il vincolo eminentemente personale creato tra le parti in un contratto privato, i diritti contrattuali sorti da esso non potrebbero essere trasmessi ad un terzo, alieno da questa privacità.289 Infine, c’era chi vedeva nascoste dietro di tale proibizione ragioni di politica giuridica, come quando più recentemente è stata vietata la cessione dei crediti salariali.290
La crescente importanza economica dei diritti di credito portò i soggetti privati ad ideare meccanismi al fine di evadere tale limitazione giuridica. Il metodo più ricorrente fu
285 Vid. supra 1.3. “Il diritto reale di garanzia...”.
286 Il concetto “chose in action” è stato tradizionalmente definito come “all personal rights of property
which can only be claimed or enforced by action, and not by taking physical possession”. I diritti di
credito di origine contrattuale (contract rights) sono pertanto choses in action. (cfr. SHEARS, Peter, STEPHENSON, Graham, James’ Introduction to English Law, London-Dublin-Edimburgh, 1996, p. 267).
287 “Historically, all assignments of choses in action were unenforceable .... because of the materialism of
courts precluded recognition of conceptual transfer of rights.” (vid. “Contract rights as commercial
security: present and future intangibles”, Yale Law Journal, p.p. 847 e s.s., p. 851).
288 Cfr. GILMORE, Grant: Security interests in personal property,cit. p. 201.
289 Su questa teoria, vid. HOLDSWORTH, William S., “The Treatment of Choses in Action by the
Common Law”, Harvard Law Review, 1920, p.p. 997 e s.s.
290 Era di questo parere, GLENN, Gerrard, “The assignment of Choses in Action: Rights of Bona Fide
quello di permettere al preteso cessionario di procedere alla riscossione del credito tramite richiesta in nome del cedente sulla base del “power of attorney” (potere di rappresentazione) che questo gli avrebbe precedentemente conferito. In questo modo, anche se il titolare di un credito non avrebbe potuto trasmetterlo ad un terzo alieno al “rapporto di privacità” esistente tra creditore e debitore, gli sarebbe stato permesso di nominare un rappresentante (agent o attorney) al fine di riscuoterlo nel suo nome. Si trattava, in definitiva, della simulazione di un contratto d’agenzia che sarebbe diventato irrevocabile con la notificazione al debitore ceduto (obligor) perdendo il cedente qualsiasi diritto di interferire nei diritti del cessionario.291
In definitiva, anche se la dottrina del common law proclamava l’invalidità delle cessioni di crediti, la pratica si muoveva comunque verso la loro effettività. In questo senso, si possono individuare le seguenti tappe nell’evoluzione storica del trattamento della cessione di crediti nel diritto inglese: in un primo momento, mentre che le common law
courts negavano l’efficacia delle cessioni, le equity courts rifiutavano la regola
dell’intrasmissibilità e cominciavano a riconoscerle; in un secondo momento, le law
courts flessibilizzarono la loro posizione, approvandole tramite l’anzidetto potere di
rappresentazione irrevocabile conferito da cedente a cessionario; tutto ciò sfociava in una pratica confusa secondo cui i crediti continuavano ad essere teoricamente intrasmissibili secondo il Diritto (law) ma in pratica trasmissibili secondo l’equity.292