A MMINISTRAZIONE : CENNI AL DIBATTITO SULL ’ ESTENSIONE DEGLI “ INTERESSI LEGITTIMI ” TUTELATI DALL ’ ART 24 DELLA C OSTITUZIONE
4. I L RAPPORTO TRA INTERESSE ( SOSTANZIALE ) E LEGITTIMAZIONE ( PROCESSUALE )
Come visto, secondo la concezione ampiamente diffusa in dottrina ed accolta dalla giurisprudenza amministrativa, le condizioni dell’azione sono essenzialmente rappresentate: i) dalla possibilità giuridica di ottenere il provvedimento richiesto; ii) dalla legitimatio ad causam;
iii) dall’interesse ad agire151.
L’apparente schematicità delle condizioni e dei relativi concetti si scontra, tuttavia, con la peculiare natura della situazione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo tutelato nel processo amministrativo di legittimità. Nello specifico, tale circostanza rende estremamente complessa l’individuazione del concetto di legittimazione ad agire come situazione autonoma rispetto al primo152. A ben guardare non si fatica a comprendere la ragione di questa confusione, che facilmente si scorge nella nozione di interesse legittimo. È infatti di tutta evidenza come l’aderenza all’impostazione diffusa nel passato, secondo cui l’interesse legittimo esprime una posizione soprattutto “processuale” (il cui contenuto è essenzialmente dato dalla possibilità che esso offre di insorgere in giudizio), conduce ad una confusione tra la titolarità di una simile posizione - vale a dire la legittimazione – e l’interesse processuale ad azionarla. In altri termini, fintantoché la posizione giuridica sostanziale mostra come suo principale contenuto quello della
149 A. M. SANDULLI, Il giudizio, op. cit., 210.
150 A. M. SANDULLI, op. cit., 211; C. CUDIA, op. cit., 144.
151 A. M. SANDULLI, Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato ed ai giudici sotto ordinati, Napoli, 1963, 210, il quale precisa che l’uso dell’espressione “condizioni dell’azione” nella dottrina italiana risale a Chiovenda (Istituzioni di diritto processuale civile, 4, rist. della 2. Ed., Napoli, 1950, p. 57).
“legittimazione” a promuovere il giudizio, non solo riesce confusa la distinzione tra interesse legittimo e legittimazione, ma ne viene annebbiata anche quella che discrimina questi dall’interesse ad agire, divenendo i due interessi e la legittimazione quasi un tutt’uno nel momento in cui questi si disvelano nel rapporto giuridico processuale. Infatti, tanto più la posizione sostanziale si aziona essenzialmente nel momento in cui viene affermata insorgendo in giudizio, tanto più la titolarità di essa – vale a dire la legittimazione – e l’interesse processuale tendono a coincidere con l’interesse legittimo in azione153.
In termini generali, si rileva che nell’ambito del processo civile la legittimazione ad agire si determina sulla base della domanda e consiste nella semplice coincidenza tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che nella domanda si afferma titolare del diritto154. Affinché
il giudice provveda nel merito non basta che la domanda gli sia proposta, ma occorre che gli sia presentata proprio da quella persona che la legge considera come particolarmente idonea a stimolare, in quel caso concreto, la funzione giurisdizionale. L’appartenenza del diritto di azione coincide con la titolarità dell’interesse sostanziale che si assume leso e quindi, in linea generale, legittimato ad agire è colui che “afferma” di aver subito la lesione di quell’interesse. Tuttavia, in relazione a tale profilo è ampiamente condivisa la consapevolezza di un disallineamento tra il sistema processuale civile e quello amministrativo.
La commistione di nozioni di diritto sostanziale con nozioni di diritto processuale, come rilevato dalla dottrina, nasce dal fatto che il processo amministrativo è derivato da una differenziazione dei procedimenti amministrativi contenziosi155. In questi il “diritto di ricorso” costituisce la proiezione dello stesso interesse sostanziale, perché è volto ad ottenere la realizzazione di quell’interesse invocando, sia pure sotto forma di decisione contenziosa, un provvedimento (amministrativo) dalla controparte del rapporto sostanziale, cioè dall’amministrazione. Quando l’organo contenzioso ha assunto natura giurisdizionale, e si è conseguentemente distaccato dalla controparte del rapporto sostanziale, è avvenuta la scissione del diritto di azione il quale - a differenza del diritto al ricorso amministrativo che costituiva l’emanazione diretta della situazione sostanziale tutelata – è autonomo dalla situazione sostanziale dell’interesse legittimo ed esprime un diritto ad ottenere dal giudice un provvedimento per l’attuazione della volontà astratta della legge nei confronti della controparte del rapporto sostanziale156.
153 L. PERFETTI, op. cit., p. 140.
154 In tema di legittimazione nel processo civile, si v. E. GARBAGNATI, La sostituzione processuale, Milano, 1942, p. 136 e ss;.
155 E. FOLLIERI, op. e loc. ult. cit.. 156 V. CAIANIELLO, op. cit., p. 597.
In conformità a questa impostazione è stato precisato che la legittimazione consiste nella titolarità della situazione giuridica lesa e fatta valere con il ricorso157. Tuttavia, secondo la posizione autorevolmente sostenuta dal Sandulli e da altri autori, solo “l’effettiva appartenenza
al ricorrente della posizione soggettiva della quale egli lamenta la lesione, è condizione per la sua legittimazione ad ottenere una pronuncia nel merito del ricorso158. Occorre distinguere,
pertanto, tra l’affermazione di essere titolare dell’interesse sostanziale, costituente il requisito per la proponibilità del ricorso, e l’effettiva appartenenza di tale interesse al ricorrente, che determina la legittimazione ad ottenere una pronuncia nel merito159.
Emerge, pertanto, un’evidente disallineamento rispetto al giudizio civile nell’ambito del quale, come accennato, ai fini del riconoscimento della legittimazione è sufficiente l’affermazione della titolarità del diritto soggettivo, mentre la verifica della sua esattezza sarà analizzata nella fase di merito. A tal proposito è stato precisato che il “rapporto tra diritto e processo” va costruito sulla base non già dell’esistenza del diritto o rapporto giuridico sostanziale dedotto – che costituisce il risultato, solo eventuale, dell’attività giurisdizionale -, ma “della mera
ipoteticità del diritto affermato dall’attore e posto a oggetto dell’accertamento del giudice”160. In tale prospettiva, pertanto, l’azione si collega all’esercizio della funzione giurisdizionale e non al risultato di tale esercizio, che invece è “fuori” dall’esplicazione del diritto di azione161. Al contrario, nel processo amministrativo, è indispensabile l’effettiva titolarità della posizione
157 La legittimazione consiste nella “titolarità del potere di ricorso”. R. VILLATA, Legittimazione processuale (diritto processuale amministrativo), op. cit., 1. Si v., altresì, A. GLEIJESES, “Profili sostanziali del processo amministrativo”, Napoli, 1962, p. 111. P. DEL PRETE, L’interesse a ricorrere nel processo amministrativo, in Rass. Dir. Pubb., 1951, p. 69, legittimazione significa: “se è veramente lui il soggetto, singulus de popolo, cui l’ordinamento conferisce il potere di ottenere, mediante la decisione, l’annullamento o la revoca del provvedimento”.
158 A. M. SANDULLI, op. e loc. ult. cit.
159A.M. SANDULLI, op. e loc. cit.,: “Mentre l’affermazione di essere stato leso da un provvedimento amministrativo in un interesse legittimo (o nei casi di giurisdizione esclusiva, in un diritto soggettivo) determina la legittimazione del soggetto alla proposizione del ricorso, e mentre il rientrare l’atto impugnato tra quelli operanti nel campo delle posizioni soggettive protette dalla giurisdizione condiziona la sussistenza della giurisdizione di questo caso specifico, l’effettiva appartenenza al ricorrente della posizione soggettiva della quale egli lamenta la lesione, è condizione per la sua legittimazione ad ottenere una pronuncia nel merito del ricorso, restando poi l’esito del giudizio (di volta in volta sfavorevole o favorevole al ricorrente) condizionato dalla fondatezza della lagnanza, e cioè dal fatto della immunità o meno dai vizi (di volta in volta di legittimità o anche di merito) del provvedimento amministrativo impugnato, che abbia inciso nella sfera degli interessi sostanziali posti a base della legittimazione”.
160 C. CUDIA, op. cit., p. 140, la quale nella nota n. 31 cita L. MONTESANO, G. ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, ed anche E. BETTI, Diritto processuale civile italiano, Roma, 1936, p. 159: il controllo sulla legittimazione “si deve fare in astratto e in ipotesi, stando a quanto afferma l’attore nella domanda, e con riguardo esclusivo alle affermazioni enunciate, non già alla loro fondatezza in fatto, alla loro veridicità, che rimane da indagare e che va ammessa solo per un momento provvisoriamente, giacché la questione, di ordine preliminare, è per ora vedere soltanto se – ammesso per un momento quanto si affermi nella domanda – chi si è fatto attore o chi è stato convenuto abbia o non abbia veste o qualità per sostenere la . ragione che fa valere o rispettivamente per contestarla o riconoscerla: se risultasse che non l’ha, sarebbe inutile ogni ulteriore discussione di merito”.
giuridica sostanziale162. La differenza rispetto al processo civile, come peraltro recentemente ribadito anche dal giudice amministrativo163, deriverebbe dal fatto che là il riconoscimento della titolarità del diritto coincide con la verifica della fondatezza della domanda, mentre nel giudizio amministrativo l’esito non è determinato dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale, ma dall’illegittimità del provvedimento impugnato. Ciò tuttavia non significa eliminare dalla legittimazione l’aspetto ipotetico, ma spostarlo sul carattere “contra ius” della lesione subita dall’interesse materiale. In altre parole, l’elemento che rimane sul piano dell’affermazione in sede di verifica della legittimazione non è la titolarità della situazione protetta, ma l’illegittimità del provvedimento impugnato, che determina la fondatezza della lagnanza, poiché solo il provvedimento illegittimo concreta la lesione di quella situazione. Secondo questa impostazione, non esente da critiche mosse da una parte della dottrina164, la differenza rispetto
162 In tale prospettiva, R. FERRARA, op. cit., p. 471, precisa che: “nel processo amministrativo si avrebbe sempre, infatti, la coincidenza dell’interesse protetto con titolarità della legittimazione all’impugnazione, perché protetto è solo quella posizione di vantaggio la quale risulti normativamente qualificata, in quanto riconducibile ad una norma di riferimento che si configura come il presupposto logico-giuridico della tutela giudiziale accordata al titolare della posizione di vantaggio medesima”. Sul punto anche P. VIRGA, Diritto amministrativo, II, Atti e ricorsi, Giuffrè, Milano, 1999, p. 285 il quale definisce la legitimatio ad causam come “l’identità del ricorrente con il titolare della posizione giuridica fatta valere”. Ancora C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2007, p. 82 e N. SAITTA, Sistema di giustizia amministrativa, Giuffrè, Milano, 2011, p. 65. 163 Cons. St., sez. VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681: (…) È certamente vero che nel processo amministrativo, il concetto di legittimazione al ricorso ha tradizionalmente un contenuto diverso rispetto all’omologa nozione di legittimazione ad agire sviluppatasi in ambito processualcivilistico. Nel processo civile, infatti, la legittimazione ad agire si determina sulla base della domanda e consiste nella semplice coincidenza tra il soggetto che propone la domanda e il soggetto che nella domanda si afferma titolare del diritto. Per essere legittimati, nel processo civile, basta, quindi, che l’attore si autodichiari titolare del diritto che fa valere in giudizio attraverso la domanda. L’attore sconterà, infatti, l’eventuale non verità della sua autodichiarazione con la soccombenza nel merito, cui andrà incontro inevitabilmente se il diritto di cui si è affermato titolare non gli appartiene. Nel processo amministrativo, al contrario, la giurisprudenza e la dottrina hanno ormai da tempo recepito una nozione più marcatamente sostanziale del concetto di legittimazione al ricorso: non basta che il ricorrente si autodichiari titolare dell’interesse che fa valere, ma occorre andare a verificare se ne sia effettivamente titolare, se cioè egli sia realmente titolare di una posizione giuridica differenziata e normativamente qualificata (fermo restando che, ai fini della giurisdizione, rileva la indubitabile titolarità di un interesse legittimo, correlativa alla lesione cagionata dagli atti autoritativi impugnati). Ciò perché nel processo amministrativo, a differenza di quanto accade nel processo civile, il ricorso potrebbe in teoria essere fondato (nel senso che l’atto impugnato potrebbe essere illegittimo) anche se colui che lo propone non è titolare di alcun interesse a ricorrere. Per questo, si impone un concetto “sostanziale” di legittimazione al ricorso, al fine di evitare che il processo amministrativo si trasformi in una giurisdizione di diritto oggettivo. Ecco allora che condizionare la sopravvivenza della titolarità di posizione di interesse a ricorrere (e, quindi, della legittimazione al ricorso) alla fondatezza del ricorso principale verso l’atto di esclusione o all’infondatezza di quello incidentale avverso l’atto di ammissione, finisce per contraddire appunto la tradizionale affermazione che vede nell’interesse una situazione giuridica a ‘soddisfazione non garantita’, che esiste anche se chi ne è titolare ha torto.
164 C. CUDIA, op. cit., p. 149: “L’indicata insistenza sull’effettiva titolarità di una situazione giuridica rilevante e sulla illegittimità del provvedimento come filtri per l’accesso al processo si traducono, tuttavia, in un limite all’effettività della tutela, poiché mettono in giuoco la stessa possibilità di garanzia giudiziale (…) Posto che il diritto di azione non può confondersi con la titolarità di una posizione sostanziale, si rivela allora necessario anche nel processo amministrativo andare alla ricerca di un criterio che consenta di cogliere, nel momento dell’esercizio di quel diritto, un “riflesso” del diritto sostanziale. Verificare, in altri termini, come può articolarsi nel processo amministrativo la conclusione già vista a proposito del processo civile: che, cioè, si può sempre affermare di essere titolari di qualcosa ma ciò che dovrebbe rilevare, ai fini dell’accesso alla tutela, è solo la possibilità di quella titolarità”.
al processo civile deriverebbe, dunque, dal fatto che là il riconoscimento della titolarità del diritto coincide con la verifica della fondatezza della domanda, mentre nel giudizio amministrativo “l’esito” non è determinato dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale, sebbene dall’illegittimità del provvedimento impugnato165.
La giurisprudenza si è interrogata sulle ipotesi di trasmissione del diritto – che costituisce il momento di collegamento con la fattispecie amministrativa – da un soggetto all’altro (es: la vendita di immobile che abilita un soggetto alla impugnativa di una norma urbanistica o di un permesso di costruire, oppure la vendita dell’immobile durante una procedura espropriativa), ponendosi in questi casi il problema di stabilire chi sia il soggetto legittimato ad agire166.