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Le ulteriori questioni processuali sull’impugnazione del bando di gara e sulla legittimazione I temperamenti al principio di diritto suggeriti dalla Plenaria.

2.4. U NA SECONDA RIMESSIONE L ’A DUNANZA P LENARIA 7 APRILE 2011 N

2.4.1 Le questioni affrontate dall’Adunanza Plenaria

2.4.1.5. Le ulteriori questioni processuali sull’impugnazione del bando di gara e sulla legittimazione I temperamenti al principio di diritto suggeriti dalla Plenaria.

La seconda questione processuale di cui viene investita la Plenaria, sollevata ai sensi del comma quinto259 dell’art. 99 c.p.a, ha ad oggetto l’onere di impugnazione immediata del bando di gara e della legittimazione all’impugnazione del medesimo.

Secondo l’ordinanza ammesso l’esame prioritario del ricorso incidentale su quello principale un temperamento alla soluzione proposta potrebbe aversi quando l’impugnazione principale miri ad attaccare il bando di gara.

Tuttavia in siffatta evenienza, si pone l’ulteriore questione, che quindi si sottopone all’attenzione della Plenaria, in ordine all’ammissibilità o meno della legittimazione ad impugnare il bando in capo ad un’impresa che abbia scelto di non partecipare alla gara.

Emergono, secondo la Sesta sezione, due questioni fra loro connesse, concernenti sia l’impugnazione del bando che la legittimazione soggettiva.

258 Punto 46 della motivazione.

259 La questione non ha diretta rilevanza nella controversia in esame nella quale non vi è stata alcuna impugnazione del bando di gara, tuttavia, per la sua connessione con la prima questione, viene ritenuto opportuno sottoporla all’attenzione dell’Adunanza Plenaria ai fini dell’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge così come previsto dall’art. 99, co. 5, c.p.a., sia pure alla stregua di una sua “interpretazione estensiva”.

Sotto il primo aspetto si domanda se sia possibile un discostamento dalla giurisprudenza consolidata a seguito dell’indirizzo stabilito dalla Plenaria con la pronuncia del 23 gennaio 2003 n. 1 nella quale venne affermata l’impugnabilità immediata e necessaria delle sole clausole escludenti, con la conseguente impugnabilità degli altri profili del bando a procedimento concluso260.

Sotto il secondo aspetto sul fronte della legittimazione si chiede se sia corretto riconoscere la possibilità di impugnare il bando in capo a chi non abbia partecipato alla gara, in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale, ormai consolidato, arrivato ad affermare la necessità, salvo che in limitate eccezioni, di presentare domanda di partecipazione alla gara solo per poterne impugnare il bando.

Questa prospettata nuova soluzione sarebbe ispirata dal rispetto dei principi di buona fede e di affidamento, quali applicabili nelle trattative contrattuali fra privati261.

Naturalmente il risvolto della tesi proposta comporta consapevolmente il riconoscimento della legittimazione al ricorso contro il bando alle “imprese di settore” a condizione che abbiano i necessari requisiti di partecipazione.

L’adunanza pur accogliendo il rilievo che sussistano possibili temperamenti al principio di diritto affermato affrontando la prima questione non accoglie il sollecitato revirement giurisprudenziale sull’impugnazione delle clausole escludenti.

Secondo la Plenaria una prima prospettiva, tuttavia non accoglibile non trovando giustificazione sistematica, consiste nel seguire nell’esaminare le questioni l’ordine cronologico delle fasi di gara.

260 All’origine dell’orientamento vi è una volontà deflattiva del contenzioso (solo il non aggiudicatario avrà interesse ad impugnare), che si è dimostrata nei fatti del tutto fallace, a fronte di incontestabili costi aggiuntivi per la p.a. costretta a impegnativi e lunghi rinnovi procedimentali. Sul piano dei principi del processo amministrativo che la tesi lascia perplessi: se le clausole, escludenti o meno che siano, sono ritenute illegittime, non vi è giustificazione per superare i limiti temporali dell’azione di impugnazione, attesa comunque la loro lesività. 261 Può ricordarsi l’espresso richiamo fatto, a proposito delle trattative precontrattuali, a tale principio dall’art. 1337 c.c. e quello ancora più significativo contenuto nell’art. 1338 alla responsabilità di chi, “conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte”. In effetti, anche a non voler ricorrere a presunzioni di acquiescenza, sembra ovvio ritenere che quell’ “affidamento”, così spesso invocato a danno della p.a., debba valere anche a favore di quest’ultima, nel momento in cui un soggetto chiede e sia ammesso a partecipare ad un procedimento complesso e oneroso. Di questi principi di buona fede e affidamento appena menzionati è da ritenere espressione l’istituto dell’informativa preventiva in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale (art. 243-bis del codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs. n. 163/2006, introdotto dal D.lgs. n. 53/2010).Peraltro, l’assolvimento di detto obbligo non libera la parte, in caso di mancata risposta o risposta negativa dell’amministrazione, dall’onere di impugnare subito il bando, e comunque non costituisce un argomento contrario alla tesi fin qui sostenuta della inammissibilità dell’impugnazione da parte di chi partecipa alla gara pur ritenendo che il bando sia illegittimo.

La Plenaria considera non decisivo il “criterio temporale” in quanto non dirimente dato che come affermato in merito all’ordine delle questioni ciò che rileva è che il vizio vada a incidere sulla legittimazione a ricorrere o sul merito della pretesa262.

Nel caso in cui il ricorrente principale denunci l’illegittimità del bando nella parte riguardante i requisiti di ammissione qualora il controinteressato aggiudicatario contesti a sua volta la legittimità della mancata esclusione del primo, il ricorso incidentale risulta comunque prioritario ponendo pur sempre una questione che è preliminare all’esame del merito.

L’impugnazione del bando quindi, influisce sull’ordine di esame delle questioni solo qualora vi sia una questione sulla legittimazione, rimanendo irrilevante il fatto che con il ricorso principale si contestino ulteriori illegittimità dello stesso.

Infine sussistono dei casi in cui l’esame prioritario del ricorso incidentale può lasciare spazio all’applicazione del principio di economia processuale. Qualora infatti il ricorso principale sia

ictu oculi infondato, inammissibile, improcedibile o irricevibile il giudice può procedere alla

sua immediata delibazione. Questo non scalfisce l’impianto del sistema, ma lo rende senz’altro maggiormente flessibile alle esigenze di effettività della tutela e ragionevole durata del processo263.

Solo a fini di completezza bisogna aggiungere che l’ordinanza di rimessione della Sesta sezione chiedeva alla Plenaria di fornire un’interpretazione sulla modificabilità o meno “per riduzione” della compagine organizzativa di A.T.I. e consorzi in corso di gara e necessità o meno che le imprese del settore che impugnino gli atti di una procedura senza bando cui non hanno

262 Punto commentato da C. ALLEGRETTA nell’introduzione al seminario: La decisione della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4/2011: Il ricorso incidentale, la migliore difesa è l’attacco”, tenutosi presso Palazzo Diana, sede del T.A.R. Puglia, Bari, l’11 luglio 2011 disponibile su www.cameraamministrativa.it, in tale sede si rileva che il criterio della distinzione per fasi non viene trattato nella Plenaria per evitare un arretramento verso un sistema di giustizia oggettiva, mentre l’Adunanza vuole riaffermare primazia del processo tramite l’affermazione della necessità della verifica della legittimazione, il divieto di ultrapetizione, per cui il giudice non si deve far prendere da stimoli di giustizia oggettiva. Il ristabilire il sistema delle distinzioni tra le fasi ripristinerebbe infatti la funzione “didattica” del giudice amministrativo che sicuramente con il codice è venuta definitivamente meno essendo l’ingerenza del giudice nell’attività di amministrazione ammessa nei limiti della giurisdizione di merito. Cfr. anche R. CAPONIGRO op. ult. cit., che invece continua a sostenere che tale divisione sia la soluzione del problema. Afferma l’A che tale criterio “postula innanzitutto la verifica della fase procedimentale a cui afferiscono le censure proposte dal ricorrente principale, di cui è stata accertata l’illegittima ammissione in sede di esame del ricorso incidentale, vale a dire se le censure afferiscono alla fase preliminare di verifica dei requisiti di ammissione o comunque precedente l’attribuzione dei punteggi o a quella dello svolgimento della gara”. 263 Cfr. S. CALVETTI, Ordine di esame dei ricorsi: l’eccezione al principio affermato dall’Adunanza Plenaria, che annota un’applicazione di tale “eccezione” alla regola della Plenaria contenuta nella pronuncia del Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2012, n. 1516, in Urb. e App., 2012, 763. Tale pronuncia afferma che la necessità di contenere la sentenza nei limiti quantitativi imposti dall’articolo 120, comma 10 c.p.a. suggerisce di anteporre l’esame delle doglianze formulate in via principale rispetto a quelle oggetto del ricorso incidentale. Rileva l’A. che tale affermazione del principio della “ragion più liquida” di matrice processualcivilistica potrebbe sottendere una incoerenza laddove si interpretasse come un obbligo e non una facoltà della previa delibazione del ricorso principale onde appurarne la ricevibilità, fondatezza, procedibilità, ammissibilità.

partecipato, dimostrino il possesso dei requisiti di partecipazione a quella gara264. Questa terza questione che a differenza di quelle processuali viene sollevata ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a.,

264 Viene anche in rilievo nel giudizio, in relazione al motivo dei ricorsi proposti contro l’aggiudicataria relativo al difetto dei requisiti di qualificazione dell’impresa ausiliaria, un’ulteriore questione di diritto, che si sottopone all’esame della plenaria ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., delineandosi un contrasto che nella giurisprudenza si profila in parte già attuale e in parte potenziale. La questione concerne l’ammissibilità delle modifiche della figura soggettiva concorrente nel corso della gara o addirittura del giudizio. Nelle sue difese in giudizio l’aggiudicataria invocava la giurisprudenza che ammette deroghe al principio di “immodificabilità soggettiva del concorrente”, nel caso in cui venga meno un componente del raggruppamento o del consorzio, estensibile al caso di venir meno dell’impresa ausiliaria. L’aggiudicataria quindi sostiene di poter modificare la propria compagine organizzativa “per riduzione”. La giurisprudenza, rileva la sezione remittente, è tuttavia orientata ad un’interpretazione restrittiva del divieto di modificazione previsto dall’art. 37, co. 9, del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163/2006, in quanto il rigore di detta disposizione andrebbe temperato in ragione dello scopo che persegue, che è quello di consentire alla stazione appaltante, in primo luogo, di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara e, correlativamente, di precludere modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, e dunque, in grado di porre nel nulla le suddette verifiche. Le uniche modifiche soggettive elusive del dettato legislativo sarebbero dunque quelle che portano all'aggiunta o alla sostituzione delle imprese partecipanti e non anche quelle che conducono al recesso di una delle imprese del raggruppamento, in tal caso, infatti, le esigenze succitate non sarebbero frustrate poiché l'amministrazione, al momento del mutamento soggettivo, ha già provveduto a verificare i requisiti di capacità e di moralità dell'impresa o delle imprese che restano, sicché i rischi che il divieto mira ad impedire non possono verificarsi. Si osserva che la soluzione meno restrittiva può essere seguita solo a condizione che la modifica della compagine soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze organizzative proprie dell’a.t.i. o consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. che viene meno per effetto dell’operazione riduttiva. La configurazione con cui si è presentato non è un dato solo formale, dovendosi presumere che sia dovuta non ad alchimie concorrenziali ma alla oggettiva indispensabilità di tutti gli apporti. Pertanto sembrerebbe preferibile la più rigorosa soluzione secondo cui: a) il principio di par condicio dei concorrenti e il principio di celerità della gara esigono che il concorrente indichi, sin dal momento di presentazione della domanda di partecipazione e dell’offerta, i propri requisiti, e, in caso di raggruppamenti, consorzi, o ricorso all’avvalimento, la distribuzione dei requisiti tra i vari componenti; b) una volta indicata la distribuzione dei requisiti tra i vari componenti o tra concorrente e impresa ausiliaria, tale distribuzione resta cristallizzata e su di essa verte la verifica da parte della stazione appaltante; c) non sono ammissibili successivi aggiustamenti o redistribuzioni dei requisiti, modificativi rispetto alla originaria indicazione fatta in sede di domanda di partecipazione, perché si tratta di elementi essenziali per i quali una geometria variabile nuocerebbe sia alla par condicio dei concorrenti, sia alle esigenze di celerità della gara. La Sesta sezione ritiene quindi opportuno rimettere in discussione in radice il principio dell’ammissibilità di modifiche della compagine organizzativa del concorrente in corso di gara. La ratio sembra essere piuttosto quella di imporre il rispetto dell’impegno assunto da colui che manifesta la volontà di partecipare alla gara: Vero è che la giurisprudenza ha affermato che la vigente disciplina degli appalti pubblici non vieta ad imprese già selezionate nella fase di prequalificazione, e dunque già di per sé in possesso dei requisiti di partecipazione, di associarsi temporaneamente in vista della gara, e che pertanto un’a.t.i. sovradimensionata non è di per sé illecita. Tuttavia la circostanza che a.t.i. e consorzi siano frutto di negozi giuridici tipizzati non esclude la loro contrarietà al diritto antitrust, allorché risulti che la causa concreta degli stessi, intesa come concreta funzione socio-economica dell’affare, sia illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a norme imperative. Molteplici istituti civilistici sono infatti “neutri” ai fini antitrust dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali. Con peculiare riguardo al corretto utilizzo degli strumenti associativi in sede di gara, nella segnalazione AS 251 del 7 febbraio 2003, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha auspicato che le stazioni appaltanti, pur nel silenzio della legge, limitino la possibilità di associarsi in a.t.i. da parte di due o più imprese che singolarmente sarebbero in grado di soddisfare i requisiti finanziari e tecnici per poter partecipare alla gara. Ciò perché l’a.t.i., proprio in quanto strumento di collaborazione tra le imprese, può facilmente prestarsi ad un uso restrittivo della concorrenza, attuale o potenziale, tra le imprese stesse. In taluni casi concreti l’Autorità garante e la giurisprudenza ha ritenuto illecita, sul piano del diritto di concorrenza, la costituzione ex ante di a.t.i. a prescindere da ogni esigenza reale rispetto ai requisiti previsti dai bandi di gara, si inserisca in un più complesso contesto collusivo caratterizzato dall’esistenza di intese a monte rappresentate da accordi puntuali e “macroaggregazioni” aventi quale loro oggetto esplicito la disciplina del comportamento delle imprese per fini anticoncorrenziali più che per la finalità sinergica volta al miglioramento dell’offerta. Anche tale questione merita, ad avviso della Sezione, un approfondimento per valutare se sia il caso di pervenire ad un divieto generalizzato, pur in difetto di espressa previsione nell’art. 38 codice appalti, ovvero di riconoscere in capo alla stazione appaltante il potere di escludere dalla gara un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca

ma non viene tuttavia esaminata dalla Plenaria in quanto preclusa dall’accoglimento del ricorso incidentale di primo grado.

2.4.2. Riflessioni sul riacceso dibattito dottrinale: le obiezioni all’interpretazione

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