SOMMARIO: 1. Premessa: l’evoluzione del contenzioso sui contratti pubblici nel sistema
francese e tedesco – Sezione prima - Il sistema francese – 1. Cenni sulla disciplina del contenzioso in materia di contratti pubblici nel sistema francese e inquadramento della questione affrontata nella ricerca – 2. La legittimazione a ricorrere dei “concurrents
évincés” contro gli atti di gara dal recours pour excés de pouvoir al référé précontractuel
- 2.1. Il ricorso del concurrent évincé contro il contratto 2.2. Il ricorso del terzo per contestare la validità del contratto (Les recours ouverts aux tiers) - 2.3. Il ricorso delle parti contro il contratto (Les recours ouverts aux contractants) - Sezione seconda - Il
sistema tedesco 1. Cenni sul contenzioso dei contratti dei contratti pubblici nel sistema
tedesco e inquadramento della questione affrontata nella ricerca- 2. La legittimazione a contestare le violazioni della disciplina sui contratti pubblici (Klagebefugnis).
1.PREMESSA: L’EVOLUZIONE DEL CONTENZIOSO SUI CONTRATTI PUBBLICI NEL SISTEMA FRANCESE E TEDESCO
Le riflessioni svolte nel precedente capitolo consentono di affermare che l’armonizzazione compiuta dalle “direttive ricorsi” non cancella le sfumature delle discipline processuali nazionali e che l’autonomia procedurale deve essere intesa come .
Induce in tal senso la circostanza, recentemente evidenziata anche dalla Commissione UE che le suddette direttive abbiano trovato una pressoché totale attuazione da parte degli Stati membri, ma permanga comunque una forte divergenza nella loro attuazione negli ordinamenti degli Stati membri94.
Del resto, mentre alcuni Stati hanno scelto, come noto, un “approccio minimalista”, strettamente limitando la portata delle direttive ricorsi ai contratti coperti dalle direttive contratti (sostanziali), altri ne hanno generalizzato l’applicazione a tutte le tipologie di contratti pubblici. Forti differenze nell’approccio emergono, proprio nel tema che qui interessa, ossia nelle diverse forme di attuazione che gli Stati membri hanno dato all’art. 1, par. 3, delle “direttive ricorsi” disciplinando in dissimili modi la legittimazione a ricorrere in giudizio per far valere le violazioni della normativa sui contratti pubblici.
94 Cfr. la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “concernente l'efficacia della direttiva 89/665/cee e della direttiva 92/13/cee, come modificate dalla direttiva 2007/66/ce, sulle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici”, COM (2017) 28 Final, pubblicata il 28 gennaio 2017, in eur- lex.europa.eu.
In alcuni Stati la legittimazione processuale viene attribuita oltre che ai concorrenti della gara, a organizzazioni e enti rappresentativi escludendola invece per per i cittadini-contribuenti e per i soggetti pubblici; altri attribuiscono invece speciali legittimazioni anche a soggetti pubblici statali (come il Prefetto in Francia) o ad Autorità amministrative indipendenti (come l’Autorità per i diritti dei consumatori in Danimarca e l’Autorità nazionale anticorruzione in Italia e per i profili che involgono anche la tutela della concorrenza l’Autorità garante per la concorrenza e per il mercato).
Come si preciserà meglio nei successivi capitoli, mentre l’Italia non ha inserito nel proprio ordinamento una specifica disposizione attuativa dell’art. 1, par. 3, delle direttive ricorsi, alcuni Stati membri (come Francia e Germania) hanno invece deciso, sulla scia di alcuni importanti interventi giurisprudenziali, di disciplinare specificatamente l’istituto.
Nei prossimi paragrafi ci si soffermerà su tali aspetti e, in particolare, sulla differente evoluzione del sistema del contenzioso sui contratti pubblici negli ordinamenti francese e tedesco.
L’analisi risulta di estremo interesse se si considera, come recentemente sottolineato da un autorevole studio, la profonda influenza dei due suddetti ordinamenti nella costruzione teorica del concetto di “condizioni dell’azione” nell’ordinamento italiano, e, in particolare, nell’introduzione dell’art. 100 c.p.c. (e - prima ancora, l’art. 36 del codice di procedura civile del 1865) – sulla scia della tradizione dottrinale e giurisprudenziale francese racchiusa nei celebri brocardi “pas d’intérêt pas d’action” o “l’intérêt est la mesure des actions”95.
Diversamente dall’ordinamento italiano, in quello francese, in cui la figura dell’interesse ad agire è storicamente sorta, la regola “pas d’intérêt pas d’action” ha tuttavia trovato una disposizione che la contemplasse in via generale solo nel 1975, con l’art. 31 del nouveau code
de procedure civil, (seppur dai più ritenuta “assai marginale”) secondo cui: «L’action est ouverte à tous ceux qui ont un intérêt légitime au succès ou au rejet d’une prétention».
La stessa autorevole dottrina ha evidenziato che si tratta di massime sulla cui formazione ha sicuramente influito una tendenza di matrice cartesiana, sono cioè “adagi” ispirati ad un “modello di quieta razionalità giansenista” sicchè “non è casuale che siano germinate nel
sistema processuale francese, ossia “in quella peculiare e singolarissima atmosfera culturale
95 M. MARINELLI, La clausola generale dell’art. 100 c.p.c. origini, metamorfosi e nuovi ruoli, in Quaderni dell’Università di Trento, Litotipografia Alcione, Trento, 2005, 22, richiamando A. PROTO PISANI, Dell’esercizio dell’azione, op. cit., 21. Sull’influenza dell’ordinamento francese nelle origini della scienza italiana del diritto amministrativo si v. A. SANDULLI, Vittorio Emanuele Orlando e il diritto amministrativo, in Rivista AIC, 2016, 3, 10.
e giusfilosofica di ispirazione cartesiana e giansenista – che caratterizza certi ambienti di “artigianato intellettuale della Francia nei tempi antecedenti le grandi codificazioni napoleoniche – fortemente contrassegnata dall’aspirazione alla ricerca della chiarezza e dell’ordine anche nell’ambito giuridico”.
La materia processuale non poteva rimanere impermeabile a questo milieu culturale e, viene ipotizzato, che presumibilmente proprio dalle suddette istanze prese concretamente vita l’esigenza di fare chiarezza e ordine nel processo, depurandolo da tutte le questioni che, già
prima facie, si presentavano del tutto irrilevanti o meramente astratte.
Era, dunque, a questo principio di ragione cui, come si analizzerà infra, si riferiva Redenti descrivendo l’art. 100 c.p.c. come un “criterio di ordine pratico”, svilendone la portata sistemica additandolo come “la quinta ruota del carro”.
La stessa dottrina ha tuttavia evidenziato che nell’ordinamento francese la massima “nessun
interesse nessuna azione” si risolse ben presto nell’affermazione del principio reciproco, ma
non coincidente: “appena vi ha un interesse vi ha un’azione” con la conseguenza che la regola “pas d’intérêt pas d’action”, da principio di ragione e di buon senso, divenne rapidamente “una
bandiera sotto la quale veleggiano le soluzioni più disparate”, fondante una confusione tra le
categorie, tra cui la legittimazione ad agire e il merito della causa.
Dunque, dopo poco tempo e nella stessa area che ne è stata la culla, la massima “pas d’intérêt
pas d’action” dismette le vesti del principio di ragione divenendo un unbestimmter Rechtsbegriff, e trovando anche nella più autorevole dottrina francese definizioni del tutto
vaghe: “ciò che l’attore ha principalmente di mira è un rimedio, un soccorso, una protezione.
Il rimedio presuppone un male, il soccorso un pericolo, la pace giudiziaria un problema. L’interesse, così come la causa, stabilisce un legame tra il passato ed il futuro. Ciò che ha di mira l’attore è la cessazione di un problema. Due elementi sono necessari: l’effettività di un male e la possibilità di un rimedio. Senza interesse (senza causa), può significare senza male o senza rimedio”.
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