• Non ci sono risultati.

Actor Network Theory e la distribuzione del potere sociale

L’esperienza spettatoriale postcinematografica Teorie e pratiche

4.1 Prima sezione Breve introduzione alla sociologia dell’esperienza mediale

4.1.3 L’esperienza mediale

4.1.3.3 Actor Network Theory e la distribuzione del potere sociale

L’Actor Network Theory (ANT) è un’importante teoria elaborata inizialmente nell’ambito della sociologia francese, formalizzata principalmente da Bruno Latour (1995, 2000, 2005) e da John Law e John Hassard (1999). L’ANT è stata sviluppata nell’ambito della sociologia della scienza per indagare l’ordine sociale non attraverso le tradizionali nozioni essenzialistiche del “sociale”, ma attraverso i network di connessioni tra esseri umani, tecnologie e oggetti. Le entità (umane o non-umane) dentro questi network acquistano potere grazie al loro numero, all’estensione e alla stabilità delle connessioni, che sono contingenti e storicamente determinate. Il successo delle connessioni assicura ai network la capacità di apparire come una forza naturale, nascondendo il processo di costruzione che lo ha determinato (i network diventano black-boxed).

Sulla scorta di questi assunti, l’ANT può contribuire a generare una teoria del ruolo dei media nelle società contemporanee, poiché anche essi sono storicamente determinati ma hanno acquisito le sembianze di componenti naturali, nell’ambiente odierno totalmente mediatizzato. Nick Couldry (2008) ha sviluppato questo percorso teorico di collegamento tra ANT e media theory, chiedendosi quale potesse essere il contributo dell’ANT alla

riflessione sulle connettività sociali attivate dai media.

Uno dei punti fermi dell’ANT è la messa in crisi dell’opposizione binaria tra idea e materia, che emerge sin dal primo studio di Latour e Woolgar (1979) sulla vita in laboratorio: l’intento dei due sociologi della scienza è mettere in rilievo la costruzione sociale delle teorie e delle scoperte scientifiche (criticando così l’implicito idealismo della sociologia della conoscenza che considerava le idee in maniera indipendente dal radicamento materiale della loro produzione). L’altra opposizione radicalmente rifiutata da Latour in Non siamo mai stati moderni (1995) è quella tra un assoluto “sociale” e un assoluto “naturale”, poiché, per lui, ogni cosa comprende un ibrido dei due. Couldry (2008: 98) fa notare allora che, se l’ANT può essere considerata “sociologia”, lo è in un senso paradossale in quanto “it challenges the existence of sociology’s apparent object: society or the social”. Naturalmente Latour non nega la dimensione sociale dell’esistenza ma pensa che il sociale sia già tecnico (o tecnologico), esattamente come il tecnico (o la tecnologia) è già sociale. Anche la differenziazione heideggeriana tra tecnico e tecnologico per Latour non sussiste, in quanto, come nota Campagnolo (2010), secondo il sociologo francese non siamo mai stati moderni precisamente perché la differenza tra la tecnica degli antichi (poiesis) e la tecnologia moderna (téchne) sta semplicemente nel fatto che quest’ultima è in grado di costruire network più estesi e performanti (com’è noto, Heidegger riteneva invece che la distinzione stesse nel fatto che la tecnica antica univa componenti tecniche e sociali, mentre la tecnologia esibiva una maggiore autonomia del sociale). Lo scetticismo espresso da Latour verso gli assoluti (società vs. tecnologia, idea vs. materia) rappresenta una risorsa importante per la teoria dei media, in quanto contrasta il funzionalismo di molte delle teorie mediali contemporanee. L’insistenza della teoria attore-network sulla natura ibrida delle relazioni sociali resta un antidoto valido alle molte teorie che pensano i media come naturali canali della vita e dell’interazione sociale, trascurando quanto essi, invece, siano “highly specific and institutionally focused means for representing social life and channeling social participation” (Couldry 2008: 96). L’anti- idealismo di Latour è opposto a varie astrazioni, apparentemente confortevoli: non solo le visioni essenzialistiche di società e cultura, ma anche la concezione mitologica dei media come società. Infatti la tendenza a rendere invisibile la mediazione (intesa in senso generale come il processo di costruzione degli ibridi tecnologico-sociali) è, secondo il sociologo francese, il tratto essenziale del framework della modernità che egli vuole contestare. Così, la mistificazione della funzione sociale dei media, altrove definita da

Couldry (2003) “the myth of the mediated centre”, può essere intesa come parte di un più vasto processo di occultamento della tecnologia integrata nel sociale, portato avanti dalla modernità. Tale mistificazione è una costante nell’ambito degli studi sociologici dei media (Couldry propone l’esempio di Gabriel Tarde). Quello che si perde in questa mistificazione è il potere delle asimmetrie coinvolte nel processo di mediatizzazione del sociale (Thompson 1998). È qui che lo scetticismo dell’ANT assicura una necessaria distanza critica. Infatti Callon e Latour (1981: 285-286) dichiarano che nell’ANT l’attenzione è rivolta non al sociale, ma ai processi attraverso i quali un attante (termine volutamente neutro, mutuato dalla semiotica greimasiana, che non distingue tra entità umane e non-umane) crea durature asimmetrie. Questa intuizione offre un’interessante prospettiva d’analisi per la teoria dei media. Le istituzioni mediali, al di là della pervasività della loro portata e della reattività dei loro pubblici, rimangono, per Couldry (2008: 99), i beneficiari di massicce e durature asimmetrie nella distribuzione delle risorse simboliche. Il potere dei media è stato indagato in maniera tormentata a causa della natura biunivoca delle interazioni tra le istituzioni mediali e il mondo sociale (sia in termini di input sociali alla produzione mediale sia in termini di contributi delle produzioni mediali all’esperienza sociale). In quest’ottica, la teoria attore-network rifornisce la teoria dei media di un linguaggio più preciso per formulare in che modo questo flusso complesso rappresenta una forma di potere. Le istituzioni mediali, infatti, rimangono, nella concezione di Callon e Latour (1981: 287), punti di passaggio obbligati in molti dei circuiti della comunicazione. Questa constatazione ci consente di concentrare l’attenzione sulla materialità dei flussi che, in qualche modo, attraversano le istituzioni mediali. Couldry conclude la sua lettura dell’ANT affermando che, senza dubbio, la teoria attore- network può fungere da ispirazione per la teoria dei media, fornendo indicazione su quali approcci selezionare e quali approcci scartare. Ma Coudlry fa anche un passo successivo, chiedendosi se l’ANT possa essere la base per una teoria dei media più onnicomprensiva in tutte le sue dimensioni. La risposta del sociologo inglese è negativa, a causa di alcuni limiti della teoria di Latour:

1) l’ANT è una teoria che pone grande attenzione alla dimensione spaziale del potere, anche per effetto dell’influenza delle teorie di Michel Foucault e di Pierre Bordieu, ma poco a quella temporale;

2) più precisamente, l’ANT si concentra solo su alcune dinamiche temporali (quelle implicate nella costituzione dei network) e poco o nulla su altre: in altri termini, essendo

più interessata a osservare l’istituzione dei network che la loro evoluzione, l’ANT descrive unicamente i processi temporali attraverso cui i network sono fondati come normali, regolari e, gradualmente, “naturali”. L’ANT non analizza cosa accade dopo questo processo di costituzione dei network e come essi cambiano soprattutto in relazione alla distribuzione del potere sociale. L’ANT, come abbiamo visto, stabilisce che i network acquisiscono una certa stabilità, si “naturalizzano”, allorché la rete delle connessioni diventa più estesa. Ma in un determinato network i vari nodi non possono godere di un’eguale distribuzione del potere, poiché gli attanti (umani o non umani) che, come le istituzioni mediali, rappresentano punti di passaggio obbligati dell’interazione hanno il potere e, in quanti più network ciò è vero, tanto più potere gestiscono. Come effetto di questo fenomeno, vi è il rafforzamento delle capacità di un attante di operare su larga scala. Su questa base, qui l’ANT avrebbe potuto offrire una base per un resoconto funzionale delle modalità con cui le istituzioni mediali hanno gradualmente acquisito potere su larga scala inserendosi a poco a poco in una rete sempre più grande di circuiti della comunicazione. Ma poiché l’ANT non è interessato strettamente all’agire umano, se non per la sua interrelazione con la tecnologia, ne deriva che manca una sufficiente attenzione sia al differenziale di potere tra agenti umani e non-umani, sia alle forme di contestazione che mettono in discussione il network. Quindi, essendo i media la più importante dimensione delle strutture di potere contemporanee e, nello stesso tempo, aree di intensa contestazione, i limiti dell’applicazione dell’ANT alla teoria dei media sono evidenti;

3) il terzo limite discende dal secondo e concerne la mancata contemplazione della possibilità che i network, dopo il loro insediamento, siano reinterpretati. Si tratta di un problema particolarmente rilevante per quei network che producono oggetti il cui principale scopo è di generare interpretazioni (come i media). Siamo qui in presenza della limitazione più rilevante per la fondazione di una teoria sociale dell’esperienza mediale centrata sull’ANT. Infatti, come spiega Couldry (2008: 102), la teoria agente-network “tells us little about the life of objects, such as texts, that are produced to be interpreted, nor about how other objects, as they circulate beyond their original context, remain to various degrees open to reinterpretation by uses, consumers, and audiences”. A questo punto Couldry (2008: 102-103) fa la mossa decisiva accennando direttamente a come l’ANT può essere la base operativa per una sociologia dell’esperienza mediale: non possiamo dire che

we can learn nothing from ANT about how music lovers or film lovers understand what they do, but rather that ANT’s insights must be extended from a sociology of networks into (...) a sociology of action and interpretation. We need, in other words, to think about (..) how people’s cognitive and emotive frameworks are shaped by the underlying features of the networks in which they are situated.

Se formulata in questi termini, l’ANT potrebbe fornire alla teoria sociale dell’esperienza mediale un grande contributo, soprattutto rispetto alla comprensione delle pratiche quotidiane che ruotano intorno ai media. Per Couldry, il punto di partenza è considerare un medium, come per esempio la televisione (ma il discorso vale anche per il cinema) come un enorme spazio interconesso, caratterizzato da una fondamentale divisione tra i produttori di significato (come le istituzioni mediali) e i consumatori di significato (le audience). Naturalmente ciò non significa che le audience non siano anche produttrici di significato, ma che lo spazio del medium è organizzato in maniera tale che solo al manifestarsi di specifiche e controllate condizioni i significati delle audience sono trasmessi dalle istituzioni mediali in modo da funzionare come produzione di significato, e, anche allora, essi sono subordinati alle produzioni delle istituzioni mediali. Se, dunque, consideriamo i media come un processo sociale che collega produttori e audience in un insieme di relazioni per la produzione e il consumo di significati, l’organizzazione di queste relazioni, e in particolare la loro asimmetria, ha delle conseguenze sul modo in cui istituzioni mediali e pubblici considerano le loro possibilità di azione. Per chiarire meglio quest’impostazione teorica, Couldry ricorre al caso della liveness, che introduce nuove forme di connessione non collegate a centri di produzione mediale. Infatti, egli distingue una online liveness, estensione della liveness tradizionale (definibile come la co-presenza sociale in varie scale, dai piccoli gruppi partecipanti ad un forum, all’audience globale dei siti web di prestigiosi media internazionali) e una group liveness, che prevede la co- presenza dei membri di un gruppo sociale (non un’audience dispersa), la cui continua mediazione avviene attraverso la condivisione di una infrastruttura comunicativa con punti d’accesso mobili e permanentemente aperti. L’esempio offerto da Couldry è quello di un gruppo di amici in contatto continuo tramite cellulari (chiamate, sms, chat). La group

liveness determina così una trasformazione dello spazio sociale, anche se offre alle

compagnie mediatiche di telefonia mobile un nuovo spazio commerciale centralizzato per la distribuzione di contenuti. Per il sociologico britannico il dato veramente interessante è che un unico spazio comunicativo può essere il veicolo sia per un network centralizzato (per flussi di pubblicità, news e altri contenuti prodotti dalle istituzioni mediali), sia per

uno person-to-person, entrambi centrati sulla liveness.

Pur non essendo direttamente spendibile per inquadrare la natura dell’esperienza mediale, l’ANT, come dimostra Nick Couldry, rappresenta quindi una fonte d’ispirazione e uno strumento concettuale utile. Evitando il rischio del funzionalismo presente in molte teorie dei media, l’ANT offre l’opportunità di riconsiderare il ruolo che i pubblici svolgono nei network di cui fanno parte, soprattutto alla luce delle asimmetrie nella distribuzione del potere rispetto alle istituzioni mediali.

4.1.4 Conclusioni

Abbiamo sintetizzato nelle pagine precedenti tre teorie dell’esperienza mediale, che considerano questo topic da tre prospettive differenti (semiotica, tecno-antropologica e sociologica). L’obiettivo di questo percorso teorico è focalizzare l’attenzione su quanto sia complesso lo scenario in cui va a situarsi la riformulazione dell’esperienza dello spettatore cinematografico quando esce dagli assetti tradizionali previsti dalla forma culturale del cinema (essa stessa, come abbiamo visto nel cap. 1, soggetta a vari assestamenti per adattarsi ad altrettanti mediashock). L’approccio semiotico di Eugeni rappresenta il tentativo più rigoroso di inquadrare la complessità del rapporto tra il soggetto dell’esperienza mediale e il mondo circostante, attraverso i media. Nella sua teoria generale dell’esperienza filmica, emergono sia le qualità dell’esperienza mediale (pluralità, relazionalità, corporeità), sia le azioni conscie e stratificate che il soggetto mette in campo e che coinvolgono i suoi sensi (sensory scanning), i suoi processi cognitivi ed ermeneutici (narrative sorting), la sua dimensione sociale (relational tuning).

Il contributo della Hayles serve a determinare meglio il ruolo dello sviluppo tecnologico. Nozioni come tecnogenesi, framework ipervigile, hyper attention e deep attention sono eccellenti tool concettuali per comprendere la struttura antropologica dell’esperienza mediale. Questra struttura corrisponde alla coevoluzione tra esseri umani e tecnologie. La spettatorialità postcinematografica – che si sostanzia in una serie di esperienze mediali – può essere vista come campo di straordinaria applicazione delle coevoluzioni tra esseri umani, media e tecnologie. In quest’ottica, infatti, possiamo comprendere più a fondo tanto la straordinaria capacità del postcinema (e prima ancora del cinema tout court) di impattare il sensorio umano e influenzarne l’assetto percettivo, quanto la capacità dei pubblici e delle industrie mediali di indirizzare in certe direzioni piuttosto che in altre l’evoluzione della tecnologia che media l’esperienza postcinematografica (non solo quella della sala, ma anche quella di altri apparati verso cui si estende quella che prima era

definita esperienza filmica). Ci sembra fondamentale rivendicare in questa sede le intuizioni di una certa sociologia della comunicazione italiana, sviluppata intorno all’attività di Alberto Abruzzese, che, attraverso una serie di studi27, aveva già evidenziato

tanto il ruolo della tecnologia quanto quello dei pubblici nel ridefinire confini e modi dell’esperienza prima filmica e poi postcinematografica (o, più correttamente, mediale). Appare quanto mai essenziale sottolineare quest’operazione di collocare l’esperienza del film, in seguito trasformata con i media digitali e il social Web in esperienza di vari oggetti ed eventi mediali, dentro i processi sociali e culturali che presiedono alla dialettica coevolutiva tra tecnologie e pubblici.

Nick Couldry si muove in una direzione affine (ma diversa) quando, valutando i possibili apporti della Action-Network Theory (ANT) ad una teoria dei media, si concentra sulle asimmetrie nella distribuzione del potere sociale tra le istituzioni mediali e le audience. Il principale merito della lettura di Couldry dell’ANT è la valorizzazione della sua capacità di incardinare le dinamiche sociali mediate dentro strutture materiali, agglomerati di entità umane e non-umane e oggetti. Applicando al medium la nozione di network dell’ANT, Couldry afferma che un medium può essere inteso come un esteso spazio interconnesso, composto da attanti, umani e non-umani, suddivisi tra produttori e consumatori di significati. Questa formulazione, a nostro avviso, andrebbe riformata rompendo l’eccessiva rigidità della dicotomia produttori/distributori senza, però, trascurare le evidenti asimmetrie nella distribuzione del potere. Possiamo quindi, ispirandoci all’anti- idealismo e all’anti-funzionalismo dell’ANT, considerare un medium come un processo sociale radicato in uno spazio interconnesso in cui entità di diversa natura producono e consumano significati, in una dialettica inesausta in cui i ruoli iniziali possono essere scambiati mettendo in gioco le quote di potere disponibili, che sono, a loro volta, dipendenti dalla capacità di stabilire maggiori connessioni. Una definizione di questo tipo ci sembra rispondere meglio al potenziale delle audience di costruire vasti network socio- tecno-culturali, nei quali esse possono negoziare la propria quota di potere nella gestione e distribuzione del potere sociale con le istituzioni mediali.

Concepita nella complessità delle dimensioni sistemiche, tecnologiche e sociali che la strutturano, l’esperienza mediale deve essere ora inquadrata attraverso le numerose e variegate pratiche della spettatorialità postcinematografica, indagate, nella seconda sezione di questo capitolo, attraverso il metodo dell’osservazione fenomenologica.

27 Cfr. Abruzzese 1973, 2006, 2007, Frezza 1996, 2006, 2013, 2015, Brancato 2001, 2003, 2010, Amendola

Outline

Documenti correlati