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Avatar: tecnologia 3D e ridefinizione della spettatorialità

L’esperienza spettatoriale postcinematografica Teorie e pratiche

4.2 Seconda sezione Pratiche della spettatorialità postcinematografica

4.2.2 Le forme del consumo postcinematografico

4.2.2.2 La proiezione digitale e la socializzazione della programmazione

4.2.2.3.2 Avatar: tecnologia 3D e ridefinizione della spettatorialità

Prima dell’uscita di Avatar (2009), in diverse occasioni pubbliche James Cameron aveva promosso l’adozione della proiezione digitale e della tridimensionalità, parlando di una rivoluzione dell’esperienza spettatoriale paragonabile a quella maturata con l’introduzione del sonoro o del colore. L’intero progetto di Avatar si può considerare come la concretizzazione di questa concezione del 3D come tecnologia in grado di ristrutturare radicalmente l’apparato percettivo-sensoriale dello spettatore cinematografico. Infatti, dal marketing del film all’universo finzionale rappresentato, l’idea della rivoluzione esperienziale apportata dal 3D digitale è sostenuta da:

1) i trailer, qui intesi non come puri oggetti promozionali, ma come artefatti culturali capaci di fornire delle chiavi di accesso e di interpretazione del film, come risorse simboliche attraverso cui le audience si auto-percepiscono (Kernan 2004) e come parte dell’universo narrativo del film (Ellis 1982). In questa prospettiva, i trailer di Avatar, oltre ad introdurre i temi e lo stile di Cameron, sono tutti fondati sull’idea che il film garantirà allo spettatore un’esperienza sensoriale (audiovisiva e tattile) incomparabile a tutto ciò che ha visto/esperito in precedenza;

2) le apparizioni pubbliche e le interviste di Cameron;

3) la creazione di un parco a tema, dedicato al film, al Disney’s Animal Kingdom, fortemente voluta dal regista e da lui concepita come un’estensione dell’esperienza, attiva e immersiva, della visione in sala;

4) altri materiali paratestuali, come l’enciclopedia online Pandorapedia48, contenente

informazioni molto dettagliate sulla vita sul pianeta Pandora, o il volume pubblicato dalla Twentieth Century Fox, Avatar: A Confidential Report on the Biological and Social

History of Pandora, sorta di finto dossier dell’Amministrazione incaricata, nel film, di

valutare rischi e opportunità di una colonizzazione di Pandora. Questi artefatti, nel loro insieme, celebrano lo sforzo con cui la tecnologia digitale 3D riesce a “scrivere” un mondo finzionale perfettamente strutturato e credibile;

5) la trama del film. L’enfasi sul 3D come dimensione esperienziale unica è espressa, metaforicamente, anche dalla trama del film. L’avatar è un clone artificiale di un abitante del pianeta Pandora, ottenuto grazie all’ingegneria genetica. Il marine Jake Skully, costretto su una sedie a rotelle, ha l’opportunità di vivere completamente l’esperienza corporea dell’ominide pandoriano, mentre il suo corpo, addormentato e come sospeso,

giace in una sorta di capsula. Jake acquisendo la corporeità di un’altra specie supera i suoi limiti organici, ancora una volta mediante i ritrovati tecnologici che gli consentono di separare il proprio corpo dalla propria soggettività. Scisso tra queste due entità, Jake approda su Pandora, dove inizia ad interagire con gli altri abitanti del pianeta, chiamati Na’vi. Ben presto il marine si trova di fronte ad un dilemma etico: scegliere di restare dalla parte della civiltà colonizzatrice, che distrugge Pandora per saccheggiarne le risorse minerarie, oppure aderire pienamente alla comunità dei Na’vi, energeticamente interconnessa a tutte le forme di vita del pianeta (animali e vegetali). Nel finale il corpo reale di Jake, liberato dalla capsula, matura finalmente il contatto fisico con Neytiri, la donna Na’vi di cui si è innamorato, sotto le sembianze del corpo alieno che il marine ha abitato. Il contatto fa sì che il corpo di Jake e quello del Na’vi in cui ha vissuto fino a poco prima si fondano in un’entità nuova. Il portato metaforico di questa narrazione è tutto diretto a simboleggiare una nuova era della spettatorialità cinematografica tridimensionale, come spiega Gino Frezza (2013: 129):

L’Avatar, ora, è compiuta metafora del corpo dello spettatore nella fase del cinema 3D, che proietta su una soglia nuova l’identità di partenza. Come Jake che muta nel suo avatar, aprendosi a un’estasi di inedite percezioni, lo spettatore di Avatar possiede lo stadio cognitivo- affettivo di un bambino-Cosa, pronto a crescere (saper “vedere” in ogni senso e nella fusione fra singolo e comunità, Corpo e Pianeta). Nella chiave metaforica del cinema digitale, l’orizzonte dell’avatar delinea i contorni del Nuovo Mondo del cinema, il percorso percettivo, simbolico, narrativo della cupola sensoriale-cognitiva-emozionale del 3D.

6) la costruzione culturale di Cameron come “autore tecnologico”, nel senso di “someone who not only makes movies with a distinct artistic signature but also builds the tools and technologies that shape future motion picture production” (Tryon 2013: 77). Tale costruzione è cementata dalle interviste e dalle conferenze del regista, dai press book diffusi dall’ufficio stampa della produzione, dagli extra di DVD e Blu-Ray, dalle biografie del regista (Keegan 2009) e dai saggi critici (Caronia, Tursi 2010, Kapell, McVeigh 2011, Clarke 2014).

Avatar è diventato in un breve periodo il film più visto della storia del cinema con un

incasso globale di quasi tre miliardi di dollari al box office49. Quindi il peso delle retoriche

della rivoluzione tecnologica sostenute dal progetto cinematografico nella sua interezza è tale da generare effetti a catena. In primo luogo, gli spettatori sembrano aver elaborato positivamente l’effetto 3D, alimentando, attraverso il passaparola, le recensioni e i

commenti online la diffusa convinzione che il vero senso della visione di Avatar risiedesse nel regime visivo tridimensionale. L’opera di Cameron prepara così il terreno culturale per la diffusione massiccia di altri film in 3D. In secondo luogo, gli esercenti, registrati gli incassi stratosferici, propendono quasi tutti per la rapida riconversione delle sale, nella convinzione che l’esperienza filmica tridimensionale, così stimolante a livello sensoriale, convincesse gli spettatori a sostenere un maggiore esborso economico rispetto alle proiezioni in 2D. In terzo luogo, gli effetti si riverberano sulla trasformazione tecnologica degli apparecchi televisivi. In più occasioni Cameron, con toni simili a quelli utilizzati per la trasformazione tridimensionale dell’esperienza in sala, sostiene che la tv deve accedere al 3D se vuole valorizzare il suo potenziale di medium spettacolare per la riproduzione di show e, soprattutto, di eventi live. Il discorso cameroniano è così convincente che nel volgere di poco tempo, per effetto degli accordi tra i broadcaster e i produttori di tv, il mercato degli apparecchi televisivi è dominato da televisori 3D. Il registro retorico utilizzato nei commercial di questi dispositivi è molto vicino a quello usato per il marketing di Avatar, del 3D e prima ancora della proiezione digitale: marchi concorrenti come Samsung e Philips pubblicizzano in maniera simile i propri televisori50, producendo

discorsi sulla “nuova dimensione” della tv o dell’home video. La penetrazione sul mercato domestico della tv 3D è inizialmente favorita dallo svolgimento dei Mondiali di calcio in Sudafrica (2010) e dai successi di film 3D al botteghino. Sebbene si diffondano resoconti di esperienze di visione incredibili per la resa della profondità di campo, la definizione dell’immagine e, soprattutto, per l’immersività e l’immediatezza del nuovo regime televisivo stereoscopico, le televisioni 3D si scontrano con alcuni ostacoli oggettivi, che impediscono di considerarle un accettabile surrogato domestico della tridimensionalità in sala: primo, il costo degli apparecchi e, soprattutto, degli occhialini 3D; secondo, il ridotto numero di trasmissioni live appositamente predisposte per la tridimensionalità; terzo, le caratteristiche tecniche del dispositivo, che per una visione ottimale richiede una distanza di alcuni metri, limitando di fatto l’inserimento negli spazi più piccoli. Il miglioramento tecnologico delle tv 3D, con il varo dei primi apparecchi che non necessitano degli appositi occhiali, non cambia sostanzialmente il quadro del mercato.

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