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Henry Jenkins, la convergenza e la cultura partecipativa

Teorie mediologiche della spettatorialità digitale

2.3 La spettatorialità cinematografica nelle teorie mediologiche

2.3.4 Henry Jenkins, la convergenza e la cultura partecipativa

Henry Jenkins, autodefinitosi “aca-fan” (ossia “academic fan”), in Textual Poachers (1992: 1), prova ad emancipare la figura del fan dal ghetto culturale in cui era confinata dalle rappresentazioni diffuse, offrendo “an ethnographic account of a particular group of

media fans, its social institutions and cultural practices, and its troubled relationship to the mass media and consumer capitalism”. In Cultura convergente (2006) il percorso teorico di Jenkins si approfondisce e definisce tre principi paradigmatici:

1) il paradigma della convergenza, definita come “il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione fra più settori dell’industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento (...) una parola che tenta di descrivere i cambiamenti sociali, culturali, industriali e tecnologici portati da chi comunica e da ciò che pensa di quello di cui parla” (Jenkins 2007: xxv). Il concetto di convergenza ha una sua storia nei Media Studies, ed è stato interpretato in diverse accezioni: come convergenza tecnologica (la concentrazione di diverse funzioni mediali in un unico dispositivo), come convergenza industriale (la formazione di conglomerati mediali che assommano gruppi editoriali, broadcaster televisivi e radiofonici, società di produzione e distribuzione cinematografica, Internet provider e altre aziende del comparto dell’ICT), come convergenza di reti (l’interoperabilità fra protocolli e infrastrutture alla base del World Wide Web) (Dwyer 2010: 1-23, Staiger, Hake 2009). Bolter e Grusin (2002: 258-261), per esempio, ritenevano la “convergenza” un altro modo possibile di designare la “rimediazione”. Rispetto a queste formulazioni, Jenkins lavora ad un concetto di convergenza culturale, che vede protagonisti i consumatori “stimolati a ricevere nuove informazioni e ad attivare connessioni tra contenuti mediatici differenti”:

La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media (...) ma nei cervelli dei singoli consumatori nonché nelle loro reciproche interazioni sociali (...) Visto che abbiamo a disposizione, su qualsiasi tema, più dati di quelli che ognuno di noi può immagazzinare da solo, siamo maggiormente incentivati a parlare tra di noi dei media che fruiamo (Jenkins 2007: xxv-xxvi).

2) questo concetto di “convergenza” non solo rende merito al dinamismo del singolo consumatore, in grado di spaziare tra diverse piattaforme per soddisfare le proprie esigenze culturali, ma valorizza lo spazio socialmente condiviso del fandom, come comunità in grado di produrre cultura coralmente. Jenkins rinvigorisce così il concetto di “intelligenza collettiva” di Pierre Levy, definendola “una fonte alternativa di potere mediatico”: “Il consumo si trasforma in un processo collettivo: questo è ciò che (..) si intende per ‘intelligenza collettiva’ (...) Nessuno di noi sa tutto, ognuno di noi sa qualcosa; possiamo mettere insieme i pezzi se uniamo le nostre conoscenze e capacità” (xxvi); 3) il terzo principio fondamentale dell’intera riflessione di Jenkins è il concetto di cultura

partecipativa, ovvero una cultura con:

1. relatively low barriers to artistic expression and civic engagement; 2. strong support for creating and sharing creations with others; 3. some type of informal mentorship whereby what is knownby the most experienced is passed along to novices; 4. members who believe that their contributions matter, and 5. members who feel some degree of social connection with one another (at the least, they care what other people think about what they have created (Jenkins 2009: 5-6).

Da questi tre principi Jenkins disegna un quadro mediale in cui media vecchi e nuovi collidono, cercando nuovi spazi sociali d’azione attraverso tattiche e strategie innovative. In questo scenario i consumatori dei media – tra cui ovviamente gli spettatori cinematografici – sono consapevoli del potere derivante dalla loro aggregazione, che ha luogo in spazi fisici così come nelle community online, attraverso una massiccia interazione che può dar luogo al consenso verso alcuni culti mediali (consensus cultures

or agreement-based), alla creazione, condivisione e commento di artefatti in ambienti

regolati (creative cultures), al dibattito su argomenti di interesse personale o professionale (discussion cultures) (Jenkins 2013). Sfruttando l’intelligenza collettiva e il potere mediatico che ne deriva, i fan, forti della risonanza mediale e sociale delle proprie azioni, possono negoziare con le industrie culturali. È nel riconoscimento di questa dialettica tra produzioni mainstream e grassroots, tra industria e fandom, che risiede il portato euristico della riflessione jenkinsiana. Nella capacità creatrice delle fan cultures (fanfiction,

fanvideo, ecc.) si dispiega tutta la loro complessità, tale da imporre “la necessità di

ridefinire le politiche della lettura, per considerare la proprietà testuale non in quanto dominio esclusivo di chi produce il testo, bensì aperta alla riappropriazione da parte di chi consuma quel testo” (Jenkins 2008: 58).

L’attivismo dei fan, dunque, porta a ripensare i processi di progettazione della produzione, il marketing e la distribuzione e conferisce alla cultura contemporanea quella vitalità rigenerante garantita dall’investimento emotivo e passionale di chi se ne nutre quotidianamente nell’era digitale. Sebbene più recentemente (Jenkins, Ford, Green 2013), lo studioso americano abbia temperato gli entusiasmi, giudicando più una “riforma” che una “rivoluzione” il protagonismo delle audience nella società contemporanea, il senso di una frattura negli schemi consolidati di relazione tra produttori e consumatori sembra indiscutibile: infatti, “i linguaggi digitali pervadono l’orizzonte della co-evoluzione fra sistema dei media (...) e società; innescano un cambiamento socio-antropologico in direzione postumana che riguarda la ‘forma persona’, elaborano il senso che presiede alle

dinamiche relazionali e neo-tribali” (Boccia Artieri 2008: 7). Alle pratiche con cui gli spettatori/fan “abitano” e “arredano” l’immaginario cinematografico, in termini di appropriazione, condivisione simbolica, interpretazione comunitaria e produzione culturale grassroots, sarà dedicato uno spazio ad hoc nelle pagine successive.

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