La spettatorialità digitale dagli Audience Studies alla sociologia del cinema
3.8 Gli Audience Studies e la teoria sociologica della spettatorialità
3.8.3 Spettatori, società e media digital
Dei cinque approcci accennati, utilizzeremo, nel corso della nostra ricerca, prevalentemente il quinto, con una importante precisazione: l’“industria culturale”, nella nostra impostazione teorico-metodologica, è “non solo pensata come istituzione”, ma anche come “luogo sociale in cui si è dispiegata un’azione sociale multiforme” (Frezza 2015b: 5). In questa accezione, pur non raggiungendo una dimensione socioculturale così aperta verso i contributi dal basso come quella esibita dalle industrie creative verso le culture grassroots, l’industria culturale cinematografica viene letta nella plasticità dei rapporti che intrattiene con i pubblici con cui co-crea e modella i processi sociali.
L’approccio sociologico ci consente di:
1) impostare i dati della ricerca collocandoli nel quadro della vasta azione sociale e culturale che si dispiega con e nei media digitali e nelle reti telematiche. In tale prospettiva, i nuovi media e le reti digitali “ricostruiscono e definiscono la società stessa in modo capillare ed esteso” (Frezza 2013: 134), obbligando la sociologia a costruire una “epistemologia del cyberspazio” (135): compito, questo, di radicale importarza per valorizzare, nella ricerca teorica ed empirica, le dimensioni compiutamente performative della spettatorialità postcinematografica, in quanto essa è uno dei luoghi elettivi in cui “sono emerse le qualità di uno spazio di progettazione e produzione individuale, molecolare, in grado di aprire orizzonti diversi (...) alle pratiche di senso della comunicazione tecnologica” (134);
2) di misurare nella logica di competizione e integrazione tra vecchi e nuovi media (Bolter, Grusin 2002), la sopravvivenza delle culture filmiche nelle pratiche e nelle esperienze di consumo attuali, attraverso una ricognizione delle tipologie di oggetti mediali legati alle culture del mashup e del remix. Lo spettatore è dunque colto come un
agente sociale complesso, la cui relazione con le immagini in movimento non solo è parte di un flusso ininterrotto di interazioni con altri media e tecnologie (Fanchi 2014), ma va collocato nell’alveo delle attività con cui si elaborano, collettivamente e individualmente, il senso del mondo, i valori socialmente condivisi, l’emergenza di culture marginali. Sebbene, infatti, il cinema non abbia più, come fino all’avvento della televisione e oltre, quel ruolo centrale di costruzione di miti, simboli e significati sociali ampiamente diffusi in vari strati della società, il passaggio da un pubblico di massa alla massa di pubblici non cancella questa capacità dei film di costruzione dell’immaginario, ma la disperde in diversi rivoli, in diversi luoghi di negoziazione comunitaria e micro-sociale (come avviene, per esempio, nelle comunità cinefile online o tra i gruppi di fan di una serie televisiva);
3) di inserire parte della nostra ricerca in una linea di riflessione sociomediologica che ha sottolineato “la crisi della nozione di autore e di quella di opera, a fronte della centralità della nozione di pubblico/pubblici” (Frezza 2013: 139): se questo processo è già noto e analizzato in epoca pre-digitale, con l’emersione definitiva delle audience creative la questione dell’authorship cinematografica deve fare i conti con uno spazio dialettico vitalissimo tra produzione e consumo, in cui sono lavorati i materiali simbolici;
4) di rivendicare la necessità di un impianto teorico che tenga insieme sia le riflessioni mediologiche sia gli Audience Studies sia i contributi di taglio squisitamente sociologico. Se già il cinema è un oggetto ibrido per la cui comprensione bisogna chiamare in causa più campi delle scienze umane e sociali, tanto più questo approccio inter e trans-disciplinare è imprescindibile allorché si passa ad indagarne la spettatorialità, nel momento in cui questa si espande oltre il recinto dei frame abituali, per diventare esperienza mediale diffusa ed estesa, dentro e fuori le reti;
5) infine, di concepire la spettatorialità attuale come il portato di processi sociali, estetici e culturali di lunga portata; da un lato, come più volte ribadito (Manovich 2001), il cinema ha fornito l’intelaiatura percettiva alle interfacce del computer, ma dall’altro, come argomenta Frezza (2015b: 4)
il cinema è stato il medium che, primo fa altri, ha incorporato dentro di sé gli effetti della rivoluzione digitale (a partire dai tardi anni Settanta). Con il risultato che ben presto le concezioni foto-realistiche dell’immagine sonora sono state messe alla prova da una vasta serie di possibilità inedite consentite dalle simulazioni audiovisive al computer, oggi in grado di conquistare una soglia di credibilità e verosimiglianza storico-ambientale da matrici puramente culturali, smentendo qualsiasi referenzialità documentaristica.La lenta penetrazione delle tecnologie digitali nel film analogico costituisce, pertanto, un “mediashock” diluito nel tempo, che alimenta quella modalità operativa del medium che abbiamo definito come paradigma della continuità della rottura. Ma, dall’altro lato, il cinema, inteso come forma
culturale, modella anche le dimensioni dell’esperienza spettatoriale, preparandole in quel decisivo trentennio della storia moderna che va dal 1960 al 1990 – agli assetti futuri dei pubblici della Social Network Society:
Complessivamente, in quel trentennio si sperimentano lungimiranti sviluppi della civiltà che sistaglia nel periodo successivo, fino a oggi, ossia quella dei media interattivi; in altre parole siprepara la qualità delle forme di ricezione, di partecipazione e condivisione diretta deiconsumatori – ossia la loro qualità positiva, attiva e sistematica – che definisce l’epoca dellecomunicazioni di rete. Nell’era delle reti, il cinema è mutato essenzialmente. Quasi “dissolto”, se pensiamo alle strutture che lo hanno definito fino solo a venti anni fa. Si è riformulato imprevedibilmente, divenendo un modello di mutazione interna e ad ampio raggio dei regimicoesistenti fra pratiche di consumo e stadi di definizione delle immagini sonore, un modello cheha permeato l’intero sistema culturale dei media. Tutte le piattaforme espressive oggi (a iniziare dalla televisione) ne hanno ereditato le strategie, sia quelle con cui arredare lo spaziotempo delle interfacce audiovisive sia quelle con cui si forma l’idea di mondo da condividere eda praticare fra l’individuo e gli altri. E tutto ciò per un pubblico definitivamente globalizzato, nel contempo settorializzatonei diversi segmenti soggettivi che compongono gli universi vissuti nelle reti (Frezza 2015b: 5).