Teorie mediologiche della spettatorialità digitale
2.3 La spettatorialità cinematografica nelle teorie mediologiche
2.3.3 L’intelligenza collettiva (Lévy), l’intelligenza connettiva (de Kerckhove) e le tribù
nomadiche (Maffesoli)
Nei fondativi L’intelligenza collettiva (1994) e Il virtuale (1995) il filosofo Pierre Lévy tocca diverse questioni centrali per le configurazioni della spettatorialità cinematografica, pur non affrontando mai direttamente il rapporto tra il cinema e il “virtuale”. A Lévy preme primariamente studiare il passaggio dalla società industriale moderna alla società
postmoderna, utilizzando i concetti-chiave di “ominazione”, ossia l’insieme di attività con cui l’uomo attualizza un processo di auto-creazione servendosi delle tecnologie, e di “virtualizzazione”. Le tecnologie attraverso le quali l’uomo si autocrea producono costantemente virtualizzazione dell’esperienza: il linguaggio virtualizza il tempo; la tecnica virtualizza le azioni e il contratto virtualizza la violenza relazionale. La virtualizzazione va intesa “come il movimento contrario all’attualizzazione [che] (...) consiste nel passaggio dall’attuale al virtuale, nell’elevare a potenza l’entità considerata” (Lévy 1996: 7). Secondo Lévy, la virtualizzazione non corrisponde ad una derealizzazione, ma uno spostamento ontologico dell’entità, che non si definisce più attraverso l’attuale, ma attraverso “un campo problematico”. È la nozione di realtà ad essere così completamente ridefinita. In questo quadro, Lévy spiega il passaggio dai media classici monodirezionali (molari: scambio da uno a molti) ai media interattivi (molecolari: comunicazione da molti a molti), in cui l’utente può controllare il processo comunicativo. In questo passaggio, Lévy individua tutto il trauma del passaggio spettatoriale dai circuiti classici di produzione culturale (i media di massa), in cui l’utente, lungi dall’essere passivo, si relazionava ai prodotti culturali tramite varie forme di interazione, alle cangianti strutture mediali della contemporaneità interattiva, in cui il pubblico si frammenta in una messe di pubblici, tutti potenzialmente partecipi dei processi di creazione, distribuzione e consumo della cultura e di scambi comunicativi interattivi. Non a caso Lévy traccia anche le traiettorie di una possibile utopia collettiva. Secondo l’intellettuale transalpino, l’intelligenza collettiva può essere definita come “un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze” (Lévy 1996: 34). Quella a cui pensa Lévy è un’intelligenza diffusa e distribuita, che vive grazie alla natura reticolare del Web, con un preciso obiettivo di democratizzazione del sapere: “il fondamento e il fine dell’intelligenza collettiva sono il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone (…) Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità” (34). L’intelligenza collettiva supera i vincoli fisici, agevola la comunicazione e, soprattutto, si sostanzia nella formazione di comunità virtuali. La comunità virtuale è concepita come una comunità organizzata intorno a centri di interesse, i cui membri esibiscono le stesse idee o le stesse competenze, perché condividono dei progetti (Lévy 1999). Quest’idea di collettività intelligente, in grado di produrre conoscenza più della somma dei suoi componenti, si adatta particolarmente bene a
descrivere il tessuto socio-culturale delle comunità di pratica che si sviluppano online intorno agli archivi (i collettivi di fansubbing) e alle memorie online (i gruppi di vidder che rielaborano le immagini filmiche e gli audiovisivi). Come argomenteremo nel prosieguo della tesi, queste comunità garantiscono ai membri un percorso di formazione e autoformazione professionale a base cooperativa e, nello stesso tempo, offrono un servizio agli utenti globali che possono accedere ad artefatti digitali inediti (i sottotitoli o i
fanvideo). Siamo in presenza di comunità culturali che arricchiscono la condizione
spettatoriale, attraverso un’azione proattiva di produzione e distribuzione di contenuti. Da una tale concezione dell’intelligenza collettiva e della comunità virtuale, segnata comunque da numerosi limiti12, Derrick de Kerckhove (2001) sviluppa il concetto di
“intelligenza connettiva”, che evidenzia il valore di connessione, circuitazione e interrelazione delle intelligenze. Come sottolinea Parisi (2003: 291-292) “se l’intelligenza collettiva è il quadro di riferimento del pensiero umano, (...) l’intelligenza connettiva ne è la parte ‘in movimento’ (...) [che] si affida alla ‘moltiplicazione’ delle intelligenze (favorita dalla connessione) piuttosto che alla loro somma (situata nel ‘collettivo’)”. De Kerckhove elabora, dunque, una concezione dinamica, mobile, esperienzale dell’intelligenza connettiva. Essa è concepita come un campo di indagine specifico, applicativo nel più ampio ambito dell’intelligenza collettiva, di cui rappresenta una delimitazione. La significatività del pensiero di de Kerckhove ai fini della nostra indagine è dovuta al fatto che caratterizza la pratica dell’intelligenza connettiva come un processo socioculturale in grado di favorire “la creatività attraverso l’utilizzo concreto e collettivo delle conoscenze preesistenti” (Parisi 2003: 292). L’una addirittura concepita prima della progettazione delle stesse infrastrutture informatiche dei social media (Lévy), l’altra agli albori della loro apparizione (de Kerckhove), le teorie dell’intelligenza collettiva e dell’intelligenza connettiva mostrano al lettore attuale una serie di incongruenze, ingenuità ed entusiasmi oggi facilmente criticabili. Tuttavia il loro valore resta integro, se ci si limita a coglierne le intuizioni con cui avevano già preconizzato il fervore, l’effervescenza e la produttività delle comunità in rete, tra cui figurano le citate comunità di pratica (fansubber, vidder, ecc.) e le stesse comunità di pratica oggetto di riflessione più avanti in questo nostro
12 Già Tomás Maldonado (1998) aveva compreso il rischio, sottolineato ed amplificato da numerosi studi
successivi, che l’eccessiva affinità elettiva dei membri di una comunità virtuale – il fatto, cioè, che i suoi membri, nella maggioranza dei casi, condividono le stesse idee e le stesse posizioni – riduce la dialettica interna e acuisce gli scontri con gruppi e collettività di diverso orientamento. Pur se in termini diversi, quest’obiezione è stata avanzata anche a proposito di numerose collettività digitali, compresi forum e gruppi Facebook.
studio.
Un altro intellettuale dedicatosi all’analisi delle forme di sentire comunitario è Michel Maffesoli. Nel momento dal passaggio dalla società moderna (i cui valori erano l’individualismo, il razionalismo e il progressismo) alla società postmoderna, in una serie di lavori (Maffesoli 2000, 2004, 2005) il sociologo francese analizza eventi e fenomeni che rimandano a un modello premoderno, arcaico, di socializzazione. Gli individui isolati e atomizzati cercano nuove spinte aggregatrici, in micro-comunità, contrassegnate da un comune sentire di tipo empatico, prossemico, orgiastico, virale. In queste aggregazioni il fantastico, l’onirico, il dionisiaco prevalgono sulla normatività del comportamento sociale codificato dai sistemi istituzionali. Gli individui, inoltre, prediligono micro-aggregazioni localistiche. L’aspetto più interessante del pensiero di Maffesoli è che i legami comunitari si stabiliscono a partire dall’estetica, da un’emozione culturale, dall’affiorare di sentimenti comuni verso determinate forme di esperienza mediale. Sebbene Maffesoli non si occupi esplicitamente di gruppi di spettatori cinematografici, la sua analisi appare un riferimento produttivo per comprendere le aggregazioni, effimere o durature, che si organizzano intorno a eventi di natura cultuale (come il recentissimo Star Wars: Il risveglio della forza, Star Wars: The Force Awakens, 2015), oppure intorno alla passione per autori, generi, cinematografie nazionali. Le tribù postmoderne trovano il loro fondamento nel provare/sentire collettivo, agevolato anche dall’opportunità di fruire delle tecnologie digitali che contribuiscono a un nuovo “reincantamento” del mondo. La comunicazione si declina, così, come “comunione”, una comunione che, oltretutto, si costituisce a partire da una precisa modalità di concepire ed esperire il tempo: alla progettazione di vita fondata sul tempo progressivo del pensiero razionalista e progressista, si sostituisce l’attimo presente, l’accettazione dell’hic et nunc, come unico orizzonte esperienziale vivibile e fruibile. Le connessioni, inoltre, proprio perché fondate sull’opportunità di accendere passioni effimere e transeunti, producono comunità nomadiche, che, nondimeno, garantiscono un’effervescenza delle passioni del cui nutrimento l’immagine cinematografica e postcinematografica, come vedremo più avanti, è benzina simbolica essenziale.