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Schermologia Un approccio media-archeologico agli schermi digital

L’esperienza spettatoriale postcinematografica Teorie e pratiche

4.2 Seconda sezione Pratiche della spettatorialità postcinematografica

4.2.2 Le forme del consumo postcinematografico

4.2.2.3 Schermologia Un approccio media-archeologico agli schermi digital

(Huhtamo)

La quasi totalità delle esperienze spettatoriali si sviluppa con la mediazione di schermi. Una storia media-archeologica degli schermi rivela la rete di pratiche culturali alle origini di molti assetti mediali della spettatorialità contemporanea. La media-archeologia, infatti, si occupa di ricostruire la storia delle forme culturali antecedenti, rivelando come esse siano sempre il portato di processi di più ampia portata (Huhtamo, Parikka 2011). Istituendo un nuovo campo di ricerche, che propone di chiamare “screenology”, Erkki Huhtamo (2004) porta avanti un approccio di questo genere, partendo da una definizione di schermo come “information surface”. Una tale definizione recupera l’ampietà dei significati associati alla parola schermo, che vanno dall’accezione di “riparo, protezione, difesa” a quelle di “modo, mezzo per tenere nascosti i propri atti e le proprie intenzioni” e di “superficie piana diffondente sulla quale si raccoglie l’immagine formata da un apparecchio di proiezione”54. In questa prospettiva, partendo dalla concezione di Raymond

Williams delle forme culturali come processi costruiti dall’azione sociale in un determinato contesto tecnologico, Huhtamo (2004) concepisce la schermologia come “way of relating different types of screens to each other and assessing their significance within changing cultural, social and ideological frames of reference”. La media- archeologia si propone di mostrare che dietro fenomeni che si presentano, a prima vista, come assolutamente nuovi e futuristici, si possono trovare assetti e schemi apparsi prima in precedenti contesti sociali.

Nel XIX secolo si sviluppano una serie di dispositivi mediali, come particolari accessori personali e spettacoli pubblici, per i quali si associa la parola “schermo” a una superficie su cui proiettare immagini. La fantasmagoria, che diventa uno spettacolo popolare a

partire dal 1790, consente di proiettare su una superficie semi-trasparente immagini per lo più fantastiche (creature mostruose, fantasmi, ecc.). Le figure sembrano crescere e rimpicciolire dinamicamente, grazie a una lanterna magica disposta dietro lo schermo che si muove, avanti e indietro, su un binario. La proiezione avviene in un ambiente buio e il dispositivo si basa sull’invisibilità della superficie schermica, funzionale ad abbattere il confine tra lo spazio dell’auditorium e lo spazio fantastico della rappresentazione. La fantasmagoria, fa notare dunque Huhtamo, si fonda su un meccanismo di occultamento/rivelazione, che sarà al centro di numerosi sistemi di intrattenimento del XIX secolo.

A differenza della fantasmagoria, la lanterna magica non nasconde, ma anzi espone il dispositivo mediale, costituito dalla lanterna, dal lanternista e dallo schermo. Si tratta di un medium fondato sullo storytelling in cui il narratore, che è anche colui che manovra la lanterna, accompagna il racconto con immagini proiettate e spesso anche con un organino. Lo spettacolo è strutturato in modo tale da istituire una prossimità tra lo schermo (un lenzuolo o una parete bianca), il narratore (per ascoltarne le parole) e lo spettatore. Nella seconda metà del secolo, la lanterna magica diventa progressivamente più sofisticata e acquisisce una rilevanza socioculturale che si rispecchia nel perfezionamento della tecnologia. Con la lanterna magica si realizza uno sdoppiamento dell’offerta mediale: da un lato, lo spettacolo popolare aumenta la propria attrattività con schermi e immagini più ampie e un pubblico costantemente in crescita, dall’altro, si iniziano a vendere le prime lanterne magiche per il consumo domestico. L’impatto nelle case dell’alta borghesia è limitato, poiché si tratta sostanzialmente di un giocattolo per proiettare fiabe e racconti comici. L’immagine proiettata della lanterna magica diventa il modello per i primi dispositivi di proiezione cinematografica, come il Kinetoscope e il Mutoscope (intorno al 1910). Solo successivamente, con la penetrazione sociale e culturale della televisione, lo schermo cinematografico inizia ad essere identificato come “grande schermo”, in opposizione agli schermi di dimensioni ridotte degli apparecchi televisivi.

Il panorama mobile (moving panorama) concorre con la lanterna magica per accaparrarsi i favori del pubblico. Il dispositivo funziona facendo scorrere davanti al pubblico un enorme dipinto che ruota circolarmente, prevedendo anche effetti sonori e musiche. Per Huhtamo può essere considerata come una pratica schermica anche il teatro delle ombre, in cui il pubblico è seduto di fronte allo schermo, mentre il manovratore agisce con le marionette tra lo schermo e la fonte luminosa. Teatri delle ombre domestici sono commercializzati in

Europa fin dal Settecento. Molti dei lanternisti e dei marionettisti del teatro delle ombre approdano direttamente al cinema, soprattutto in Francia dove Méliés pesca a piene mani in questi mondi per diffondere capillarmente il verbo del cinema fantastico.

Se fantasmagoria, lanterna magica, panorama e teatro delle ombre preparano le forme della proiezione cinematografica come spettacolo pubblico, altri dispositivi, invece, concorrono a stabilire la presenza dei piccoli schermi all’interno delle case. Huhtamo cita per esempio paraventi e parafuoco, oggetti immancabili nelle case borghesi dell’Inghilterra vittoriana. Sebbene la loro funzione fosse prevalentemente pratica (dividere spazi, proteggere dalle scintille), questi artefatti materiali vengono spesso decorati e ricoperti con ritagli di stampa, litografie colorate, e altri tipi di immagini popolari. Paraventi e parafuoco diventano così superfici dell’immaginario, che riflettono i cambiamenti nel regime del visibile. Ma la casa vittoriana ospita anche i primi spettacoli basati su un’immagine proiettata su una superficie: Huhtamo ricorda dispositivi oggi dimenticati, come le “moonlight transparencies” e “diaphanoramas”: si tratta di pitture translucenti, montate su cornici di legno verticale e appoggiate sul pavimento o sul tavolo, che, illuminate da dietro, proiettano vedute in colori brillanti su un muro domestico. Altri dispositivi mediali affascinanti sono le litofanie, piatti di porcellana, montati su cornici visive di legno o metallo, le cui invisibili scene appaiono quando il supporto è illuminato da dietro con una candela. Introducendo una separazione tra il supporto e il contenuto, secondo Huhtamo, le litofanie anticipano alcune caratteristiche dei mondi virtuali del futuro. L’insieme di questi oggetti denota una dialettica tra lo spazio pubblico e quello privato del consumo di immagini. In questa chiave, per esempio, il culturologo finlandese legge la trasformazione dei salotti borghesi, invasi da decorazioni di tenore paesaggistico e naturalistico, come conseguenza del fascino esercitato dai panorami mobili. Anche queste aperture di mondi fantastici nella tessitura dell’arredamento borghese possono essere interpretate come mondi virtuali.

Una simile dialettica tra pubblicizzazione e privatizzazione del consumo di immagini proiettate è il peep show. Tecnicamente il dispositivo funziona come fruizione singola, appoggiando il proprio occhio in corrispondenza di un’apertura, mediata da una lente d’ingrandimento, su una scatola per accedere a una sequenza di immagini proiettate. Huhtamo, attraverso un’accurata indagine sulle stampe ed altre testimonianze iconografiche del peep show nella società europea dell’Ottocento, svela invece dimensioni pubbliche di questa forma mediale. La fruizione era solo apparentemente individuale, in

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