L’esperienza spettatoriale postcinematografica Teorie e pratiche
4.1 Prima sezione Breve introduzione alla sociologia dell’esperienza mediale
4.1.3 L’esperienza mediale
4.1.3.1 Semiotica dell’esperienza mediale (Eugeni)
La teoria generale dell’esperienza mediale sviluppata da Ruggero Eugeni (2010, 2011) muove da una revisione del modello di analisi privilegiato della semiotica e pragmatica del film e dei media. In primo luogo, la semiotica dei media orienta le proprie ricerche intorno al concetto pivotale di testo, radicalmente messo in crisi nella contemporaneità dove la maggior parte delle pratiche mediali sono de-testualizzate. In secondo luogo, la semiotica
dei media avalla l’assunto che le azioni degli utenti dei media siano razionali e orientate cognitivamente, mentre l’esperienza mediale comprende aspetti sensoriali, affettivi ed emozionali, largamente trascurati dai modelli semiotici. In terzo luogo, l’epistemologia che soggiace alla semiotica dei media prevede una separazione tra l’osservatore e i fenomeni osservati, un’impostazione difficilmente giustificabile nell’era in cui gli studiosi dei media ruotano intorno a network accademici attivi nella costruzione e diffusione condivisa della conoscenza e, perciò, sono direttamente coinvolti nei fenomeni che studiano.
La teoria dell’esperienza mediale riforma questi tre assunti, 1) ponendo al centro dei propri interessi non il testo, ma “the design of the experience conveyed by sensory materials which are provided by media devices” (Eugeni 2011: 2); 2) considerando l’esperienza mediale come un fenomeno complesso “in which sensory, perceptual, cognitive, emotional, relational and practical flows are activated at the same time and mutually determined” (2); 3) affermando che il ricercatore è collocato dentro i sistemi che osserva e, di conseguenza, la pratica dell’analisi dei media può essere letta come un’estensione, dotata di una propria metodologia, dell’ordinaria esperienza mediale. Il passaggio da una semiotica dei media a una teoria dell’esperienza mediale viene collocato da Eugeni nel più ampio experiential turn, che coinvolge da almeno un ventennio diverse discipline e apre uno spazio di dialogo tra i Media Studies e le scienze naturali. Il semiotico italiano evidenzia quattro aree del sapere, in cui la svolta esperienziale ha operato, e le cui acquisizioni sono funzionali all’elaborazione della teoria dell’esperienza mediale:
1) l’area neuro-cognitiva (neuroscienze, filosofia della mente, cognitivismo), in cui il dibattito ha fatto emergere tre caratteristiche dell’esperienza: in primis, il suo essere plurale, complessa e dinamica, in quanto “based on multiple and simultaneous streams not coordinated by central units, but auto–organized in different networks and autosynchronized” (Eugeni 2011: 3); in secondo luogo, l’esperienza implica una mente incarnata, per cui il soggetto dell’esperienza è un organismo in cui si intrecciano dati corporei e mentali; in terzo luogo, l’esperienza è relazionale ed interpersonale, “as evidenced by the key role of the mechanisms of comprehension based on embodied simulation and empathic mimicry” (Eugeni 2011: 3);
2) l’area socio-antropologica (cfr. par. 4.1.1), che ha sottolineato, attraverso l’analisi delle riconfigurazioni dell’esperienza sociale e culturale per effetto della modernizzazione, che
l’esperienza è storicamente situata e culturalmente determinata (anche rispetto ai sensi e alla sensibilità): non esiste, perciò, esperienza in generale, ma specifiche forme di esperienza;
3) l’area semiotica, dove emergono studi semiotici di area greimasiana, concentrati su temi come il corpo, i sentimenti e l’esperienza in varie forme micro-sociali, e soprattutto studi della semiotica interpretativa di ispirazione fenomenologica. Questi ultimi sottolineano come l’esperienza non sia un fenomeno immediato, ma implichi sempre un’attività interpretativa; inoltre, insistono sulla differenza tra l’esperienza mediata dai testi rispetto a quella ordinaria, poiché la prima è non solo esperienza di mondi, ma esperienza di discorsi;
4) l’area dei Film Studies, in cui, oltre agli studi di area fenomenologica da noi già trattati (in particolare v. par. 4.1.2.3.2), Eugeni colloca gli apporti influenzati da Gilles Deleuze e basati sull’idea che l’immagine filmica, concepita come un corpo, un’entità materiale, è in grado di influenzare i sensi e le emozioni dello spettatore, nonché i transiti dal sensibile all’intellegibile.
Eugeni procede quindi a convogliare questi apporti in una teoria unitaria dell’esperienza mediale. Il punto di partenza è la definizione di esperienza, intesa come “the subjective and conscious (...) correlate of the interaction between the subject and the world” (Eugeni 2011: 6). In quanto fenomeno soggettivo, l’esperienza è un avvenimento in prima persona, mentre in quanto fenomeno assimilabile alla coscienza essa è sia esperienza vivente (Erlebnis), sia esperienza vissuta (Erfahrung). Nei termini di Dilthey, l’Erlebnis produce
Erfahrung attraverso un atto conscio e riflessivo di elaborazione dei dati esperienziali;
nello stesso tempo, l’esperienza vissuta influenza quella vivente. Eugeni mette in evidenza tre proprietà dell’esperienza in generale:
1) il soggetto di questa esperienza è incarnato, situato e culturalmente integrato, poiché l’esperienza è messa in pratica da un organismo, collocato in uno specifico contesto e risultante da una complesso addestramento culturale;
2) il soggetto dell’esperienza è coinvolto in un’inesausta attività di interpretazione, che rielabora le sue risorse percettive e mnemoniche in nuove configurazioni, che, a loro volta, diventano risorse per ulteriori atti di interpretazione;
3) il soggetto dell’esperienza, complesso e dinamico, deve padroneggiare attraverso l’attività interpretativa flussi multipli e simultanei di risorse.
strato (sensory scanning) corrisponde all’attività di scansione e classificazione delle risorse disponibili. Il secondo strato è quello dell’ordinamento narrativo delle risorse (narrative sorting). In un primo momento, il soggetto percepisce il confine tra sé e l’ambiente circostante, quindi procede a identificare alcune entità che stanno fuori dal suo corpo, con cui interagire dalla sua posizione situata: tali entità costituiscono “a field of intentional objects” (Eugeni 2011: 7). Infine egli monitora i cambiamenti che avvengono tanto nel campo degli oggetti intenzionali, quanto nel suo corpo. Questi cambiamenti sono annotati in una mappa situazionale (situational map), costantemente aggiornata, che consente una gestione controllata delle interazioni tra il soggetto e l’ambiente. Il terzo strato (relational tuning) è di carattere relazionale: il soggetto riconosce, nel campo degli oggetti intenzionali, altre entità capaci di un’esperienza simile alla sua. Quindi, egli cerca di esplorare l’esperienza interiore delle altre entità, specialmente interpretandone i segnali corporei e simulandone gli stati mentali. Infine valuta se il suo stato mentale è in consonanza con quello delle altre entità e prova ad allinearsi. Le dinamiche dell’interpretazione contemplano un costante feedback e una costante sincronizzazione tra i tre livelli, che, di conseguenza, sono compresenti e si determinano reciprocamente. A partire da quest’inquadramento teorico dell’esperienza in generale, Eugeni (2011: 8) passa ad occuparsi specificamente dell’esperienza mediale, definita come “the particular kind of experience that the subjects have every time their horizon of attention receives sensory materials (...) provided by media devices”. Per certi versi, l’esperienza mediale rappresenta un’estensione dell’esperienza ordinaria, con cui può essere intrecciata (es. ascoltare la radio durante una doccia) e di cui esibisce tutte le proprietà (analizzate poc’anzi). Ma, per altri versi, l’esperienza mediale manifesta caratteri autonomi. In primo luogo, il soggetto costituisce tre campi di oggetti intenzionali, anziché uno: il mondo visto direttamente (chiamato da Eugeni “direct world”), che si trova anche nell’esperienza ordinaria; il mondo dato dai materiali sensoriali assicurati dai dispositivi mediali, che creano quel particolare oggetto chiamato “testo” o “discorso”; il mondo percepito indirettamente (definito “indirect world”), di natura finzionale (o diegetica), al quale il soggetto può accedere tramite i materiali discorsivi.
A questo punto, il semiotico italiano procede a verificare la relazione tra i tre strati dell’esperienza ordinaria e i tre campi di oggetti intenzionali costituiti dentro l’esperienza mediale. Il livello denominato sensory scanning precede logicamente l’istituzione dei campi di oggetti intenzionali; pertanto esso tocca ma non attraversa i campi di oggetti
intenzionali, a differenza degli altri due livelli (narrative sorting e relational tuning). In conseguenza dell’attraversamento i rimanenti strati dell’esperienza ordinaria e i tre campi di oggetti intenzionali, Eugeni individua sette articolazioni dell’esperienza mediale: 1) la scansione sensoriale dei materiali raccolti dall’ambiente (inclusi elementi diretti e naturali; i supporti mediali nella loro materialità; i materiali sensoriali procurati dai media);
2) l’ordinamento narrativo del mondo esperito indirettamente (indirect world) e la costruzione di mappe situazionali: la mappa consente agli spettatori di “sentire” quanto avviene nel mondo diegetico e di conquistarsi un’esperienza vivente dello stesso;
3) l’ordinamento narrativo del discorso: gli spettatori conferiscono un senso alla presenza di materiali sensoriali assicurati dai media, articolandoli in (a) un flusso continuo di produzione discorsiva, (b) un plot che rielabora la story line e (c) un formato con un’estensione materiale nello spazio e nel tempo;
4) l’ordinamento narrativo del direct world: lo spettatore rileva la relazione tra la propria attività situata e le situazioni che nota nel mondo indiretto, relazione che può essere di continuità (in tal caso si parla di factual media experience) o di discontinuità (nel caso di
fictional media experience), con vari gradi intermedi;
5) la messa a punto relazionale (relational tuning) con i soggetti dell’indirect world: lo spettatore percepisce lo stato mentale dei soggetti individuati nel mondo indiretto (i “personaggi”), e condivide memorie, affetti, sapere e piani d’azione;
6) la messa a punto relazionale con i soggetti del discorso: lo spettatore percepisce la presenza di un’ininterrotta attività di “scrittura”, riconosce lo stile dei soggetti “parlanti”, e stabilisce con essi una relazione di fiducia e confidenza (o sfiducia e mancanza di confidenza);
7) la messa a punto relazionale con i soggetti del mondo diretto: lo spettatore percepisce che la relazione di condivisione e fiducia/confidenza che i soggetti del mondo diretto hanno esperito, può essere tradotta nel proprio mondo.
Secondo Eugeni, c’è un’altra differenza critica tra l’esperienza ordinaria e l’esperienza mediale: quest’ultima è un tipo di esperienza pre-stabilita dall’esterno e dai soggetti “altri” piuttosto che da coloro che la vivono; inoltre, l’esperienza mediale non è unica e personale, ma ripetibile da differenti soggetti e quindi serializzata. In breve, l’esperienza mediale è un tipo di esperienza progettata, e i media possono essere definiti come supporti che implementano un design esperienziale. Pertanto potremmo concepire un programma
d’analisi che si proponga di ricostruire i progetti che presiedono alle varie esperienze mediali. Tale programma tenta di comprendere come le sette articolazioni dell’esperienza mediale sono gestite a livello individuale, e come esse siano mutualmente collegate al design esperienziale convogliato e implementato dai media. Comunque, il proposito di analizzare il design dell’esperienza mediale si scontra con un ostacolo, ovvero l’impossibilità di analizzare il design dell’esperienza mediale “live”, nel suo concreto e attuale progresso. Infatti l’unica possibilità di osservarli è dopo l’evento (Eugeni fa l’esempio delle interviste e dei questionari con i membri dell’audience) e dall’esterno (per esempio mediante l’osservazione partecipante). Per superare questa impasse, occorre una svolta epistemologica, che consenta di non pensare e rappresentare più il ricercatore all’esterno dei sistemi analizzati, ma come parte del sistema egli stesso. Infatti, la stessa pratica di analisi è strutturata come un’esperienza; l’esperienza dell’analisi non è separata dall’esperienza mediale, di cui costituisce, piuttosto, un’estensione. In altri termini, la possibilità della pratica di analisi dipende dalle dinamiche dell’interpretazione che stanno al centro dell’esperienza. Nell’osservare il processo mentale dell’esperienza mediale il ricercatore è sia il soggetto che indaga che il soggetto indagato, passando continuamente da processi interpretativi in prima persona ad un’osservazione distaccata e una descrizione di questi processi in terza persona e oscillando tra operazioni di comprensione e spiegazione. In conclusione, quindi, essendo coinvolto sia con il corpo sia con la mente, il lavoro del ricercatore richiede una disciplina acquisita con l’esercizio.