• Non ci sono risultati.

L’agorà e le botteghe

Capitolo 4: I luoghi di consumo

4.1 L’agorà e le botteghe

È lecito supporre che l’uomo abbia iniziato a scambiare prodotti molto tempo prima della comparsa di testimonianze storico-archeologiche che documentino scambi commerciali e attività svolte in quei luoghi riconoscibili come primi mercati. Da sempre il commercio ha rappresentato un momento particolarmente rilevante nella vita quotidiana degli uomini: esso è una risposta immediata alle esigenze di scambi e di comunicazione che sono alla base dei rapporti umani, ed ha contribuito (e contribuisce) in maniera determinante alla caratterizzazione di quei luoghi adibiti a particolari esperienze di vita pubblica e sociale. L’inclinazione dell’uomo alla vita sociale può essere ritenuta una delle cause all’origine della formazione dei primi luoghi dello scambio: i mercati

491 M. Featherstone, Cultura del Consumo e postmodernismo, op. cit. p. 51.

492 Cfr. C. Wouters, Formalizatism and Informalization: Changing Tension Balances in Civilizing Processes, Theory,

Culture & Society, 3 1986, cit. in Featherstone M., op. cit., p. 51.

493 Cfr. P. Stallybrass, A. White, The Politics and Poetics of Transgression, London, Methuen, 1986. 494 Cfr. M. Featherstone, Cultura del Consumo e postmodernismo, op. cit.

appartengono a tutti i tempi e a tutte le latitudini, rispondendo a quelle funzioni di scambio commerciale, d’informazioni e idee, necessarie a ogni tipo di cultura e a qualunque stadio della civiltà495. L’uomo stabilisce relazioni con i suoi simili interagendo con loro all’interno di uno spazio che risponde a precise convenzioni sociali e che è costruito dall’uomo stesso anche in base a profondi radicamenti biologici. L’espressione spaziale è uno dei modi di manifestare i rapporti sociali e le relazioni fra gli spazi e le società sono rette dall’economia e dai diversi modi di produzione. «Lo spazio può dunque essere analizzato come la traduzione attiva delle organizzazioni sociali: decifrarne ad un tempo i significati sociali passati e presenti, il loro ruolo nell’ambito dei rapporti sociali, è uno dei contributi che i geografi possono offrire alla conoscenza della società»496. Le prime manifestazioni di attività commerciali si ebbero all’incirca seimila anni fa nelle regioni afro-asiatiche delle cosiddette civiltà fluviali (Sumeri, Assiri, Babilonesi, Egiziani) comprese tra i due poli del bacino del Nilo e del bacino mesopotamico. Babele fu il punto di approdo e di partenza di numerosissimi operatori mercantili che vi importavano spezie, droghe, vini, olio, legname, materiali da costruzione ed esportavano cereali, datteri, manufatti di lana e cotone497. Il commercio

veniva principalmente esercitato lungo le vie fluviali e nel deserto: qui le popolazioni nomadi arabe, furono le prime a organizzare carovane e centri di raccolta e di smistamento delle mercanzie – i primi bazar – nell’area compresa tra le coste del Mediterraneo e quelle del Golfo Persico. Nel corso di mille anni (a partire dal 2500 a.C. fino al 1500 a.C. circa), sul mar Egeo, dove altri popoli andavano costruendo la loro potenza commerciale e politica, aumentarono e si infittirono gli scambi di derrate agricole, di ceramiche, manufatti tessili, oggetti artistici, tra Creta, Cipro, l’Egitto, l’Ellesponto e Micene. Nei secoli successivi furono i fenici a emergere come “popolo dei commerci”; cominciarono a irradiarsi non solo in tutte le contrade mediterranee ma anche sulle coste atlantiche del Portogallo e della Gallia al di là dell’istmo di Suez e del Golfo Persico, sino alle coste indiane. Nell’Egeo, Acri, Tiro498 e Sidone divennero solide basi portuali e mercantili della loro multiforme e vivace attività: solo i cartaginesi furono, in diversi momenti storici, altrettanto

495 A questo proposito è interessante notare che: “Benché siano sempre esistiti, in varie forme e praticamente ovunque, i mercati offrono possibilità che sono spesso parse in grado di compromettere la stabilità sociale e di corrompere la morale pubblica. L’ideologia politico-economica contemporanea li considera la base di tutta la vita economica e la loro ubiquità sembra dimostrarlo. Eppure rappresentano l’unico modo in cui le merci venivano e vengono scambiate e sono stati considerati più spesso un male necessario che non una teoria organizzativa”, in T. Hine, Lo voglio! Perché siamo

diventati schiavi dello shopping, Orme Editori, Milano, 2004, p. 69.

496 R. Hérin, Riflessioni sulla geografia sociale, cit. in P. Petsimeris, Le trasformazioni sociali dello spazio urbano.

Verso una nuova geografia della città europea, Bologna, Patron, 1991. Si veda su questo punto la teoria della

strutturazione sociale proposta recentemente da A. Giddens rispondente all’esigenza di integrare la prospettiva spazio- temporale al concetto di sistema sociale. Con l’espressione di “sistema sociale”, Giddens si riferisce a modelli di relazioni fra attori o collettività organizzate come pratiche sociali regolari e riprodotte nel tempo e nello spazio; cfr. A. Giddens, La costituzione della società. Lineamenti di teoria della strutturazione, Milano, Comunità, 1990.

497 Cfr. Casa-De Kooning, (a cura di), Enciclopedia Europea, volume III, Garzanti Editore, 1977, pp. 596-602.

498 Dal tempo di Ezechiele (VI secolo a.C.) Tiro era uno dei grandi mercati del mondo orientale e nei suoi magazzini era presente anche l’avorio; Cfr. Ezechiele, XXVII, 15.

capaci di competere o di collaborare con i fenici. Per quattro secoli la civiltà fenicia mantenne, insieme ai cartaginesi, il monopolio commerciale e, grazie anche alla progressiva diffusione degli strumenti monetari, il ritmo, la composizione e l’entità degli scambi tra le diverse regioni del mondo allora conosciuto accrebbe notevolmente. Fu la prorompente civiltà ellenica a mettere fine a questa supremazia. La tradizione letteraria e figurativa ci offre qualche scarsa testimonianza sul mercato e la bottega presso le civiltà orientali499. Gli assiro-babilonesi pare tenessero mercato in prossimità delle città, senza alcuna apparecchiatura stabile, a modo di fiera, con bancarelle ambulanti, baracche e posteggi quanto mai precari; qualche frammentaria notizia attesta l’esistenza di botteghe artigianali, in genere riunite secondo l’affinità delle materie trattate.

Ma è solo nelle città greche che a partire dal IV secolo a.C., è documentata una collocazione fissa del mercato nel contesto urbano, concretizzatasi in un apposito complesso: l’agorà commerciale. Ancora prima che le poleis prendessero forma, le testimonianze storico-archeologiche ci parlano di uno spazio, una piazza-mercato, in cui gli uomini si incontravano per scambiare opinioni e merci. Nell’Iliade e nell’Odissea il termine agorà indica innanzitutto un’assemblea, secondariamente evoca il luogo dell’adunanza500. Usando quel termine Omero e poche testimonianze anonime alludono esclusivamente a incontri formali e ufficiali tra le varie componenti di una popolazione per discutere sulle sorti della comunità. Nelle fonti di qualche secolo successive invece, con il termine

agorà si richiamano gli spazi fisici in cui tutto il popolo liberamente si incontrava e si ritrovava, per

molti e vari scopi, compreso quello del discutere e del deliberare501. Nelle Storie di Erodoto502 si parla ormai di agorà come luogo dove si recano e si incontrano quotidianamente cittadini e stranieri, donne, schiavi e meteci503, destinato al mercato con il corollario però di altri possibili innumerevoli eventi. Il mercato dunque in origine in Grecia si confondeva con la piazza; nacque e si costituì spontaneamente nel centro del primitivo accampamento, dell’assembramento di capanne o di abitacoli, nel crocicchio principale ove convergevano le poche strade del villaggio arcaico. Prossime o lontane dai luoghi prescelti per l’antico consiglio aristocratico (archaiai agorai), le prime agorà delle isole e del continente furono aree cittadine a cielo aperto delimitate da cippi di confine o da pericoli murari, prossime a santuari dedicati agli idei o agli eroi fondatori. Carri, banconi, chioschi provvisori di venditori al minuto ne popolavano quotidianamente una parte; nell’altra si formava l’auditorio composito di un qualche oratore, oppure si raccoglieva una folla

499 Cfr. A. Parrot, Gli assiri, Feltrinelli, Milano, 1981; P. Matthiae, L’arte degli assiri: cultura e forma del rilievo

storico, Laterza, Roma, 1996.

500Omero, Iliade, IX, 11 e 13. 501 Fonti del VII, VI secolo a.C. 502 Erodoto, Storie, (II, 7).

503 Così erano chiamati in Grecia gli stranieri che si fermavano in una città e venivano a far parte della sua popolazione nella condizione di clienti o protetti dallo Stato; essi dovevano scegliersi tra i cittadini un patrono che li rappresentasse nei pubblici affari.

numerosa per assistere agli agoni atletici, alle gare poetiche o musicali che avevano luogo in occasione delle feste organizzate in onore di una divinità o dell’eroe fondatore504.

La più celebre delle agorà, quella di Atene, in origine si estendeva in forma irregolare e su piano lievemente inclinato alle pendici dell’Aeropago, delimitata da edifici pubblici. A partire dall’età arcaica (600-480 a.C.), di pari passo con lo sviluppo di una vita associativa che assunse sempre più peso, comparve una regolarizzazione e una definizione dello spazio ad essa dedicato. Le primitive

agorà, perduto quell’aspetto indeterminato che derivava dalla presenza di attrezzature provvisorie,

si arricchirono di strutture stabili, costruite in calcare o in marmo a spese della polis o di cittadini particolarmente facoltosi505. Fu poi con il V secolo che la città greca, in modo particolare Atene, arrivò alla piena maturità. Nella storia economica antica Atene assunse una posizione centrale perché fu in grado di costituire una vasta federazione politica dotata di un’ampia rete di scambi. In quel periodo la città cominciò a organizzare in maniera chiara la propria forma fisica nell’acropoli, centro spirituale della polis, e nell’agorà, luogo di grande valenza sociale e culturale. L’aumento dei cittadini, in particolare di una classe imprenditoriale, impose la necessità di grandi opere pubbliche. L’agorà, centro di tutta la vita cittadina, non fu esclusivamente mercato ma in essa alcune zone fisse furono riservate ai rivenditori. Le molte testimonianze letterarie506 sembrano infatti far riferimento a settori “mercantili”che traevano nome dalle merci che vi si vendevano; così c’era lo spazio per i venditori di pentole o quello dove si vendevano i formaggi freschi. Nei punti di più intenso traffico, davanti ai loro banchi carichi di monete, di pegni e di registri, sedevano i banchieri circondati da una folla di uomini d’affari, di curiosi e di imbroglioni. Vi erano poi, oltre ai modesti rivenditori sistemati in baracche provvisorie, anche profumieri, barbieri, medici, che disponevano di vere e proprie botteghe negli edifici circostanti507. Nella folla variopinta e indaffarata che pare al mattino raggiungesse anche le ventimila persone, vigilavano i magistrati addetti al controllo dei pesi e delle misure, e quelli incaricati di verificare la qualità delle merci.

504 Da tutto ciò si evince come l’agorà fosse fin dalle origini un luogo stratificato con funzione politica, sociale, culturale, commerciale.

505 Cfr. H. Bengston, Storia Greca, vol. I, Il Mulino, 1988, E. Greco (a cura di), La città greca antica: istituzioni,

società e forme urbane, Donzelli Editore, Roma, 1999.

506 Tra gli altri si ricordino Aristotele, Pausania, Erodoto. La caratterizzazione dei mercati secondo la merce è normale nella società greca, come testimonia Aristotele, che distingue il mercato degli alimenti dal mercato generico all’aperto. Erodoto racconta come il re persiano Ciro invidiasse questo luogo, creazione propria dei Greci.

507 L’agorà di Priene è un esempio in cui compare quell’articolazione funzionale in spazi diversi che si protrarrà fino alle città occidentali del medioevo e del rinascimento. Questa agorà si sviluppa appunto come nelle città medievali, in due piazze diversamente calibrate, la maggiore, rettangolare e circondata da portici continui, era destinata al mercato generico che si svolgeva attorno all’altare centrale, la minore, pure rettangolare ma delimitata da botteghe, era riservata al mercato del pesce e della carne. Entrambe piazze-mercato, mancano del lato settentrionale, cosicché si aprono sulla via che le unisce. Abbastanza note, per quanto ci è rimasto, sono pure la piazza mercato di Cirene, quella di Thera, quella di Magnesia sul Meandro, quella di Mileto con botteghe su due lati, quella di Pergamo, quella di Assos a pianta rastremata e limitata sui due lati maggiori da imponenti porticati a due ordini sovrapposti.

Le agorà di Magnesia sul Meandro e di Priene ci offrono i più antichi esempi noti di botteghe in muratura che probabilmente già prima del IV secolo a.C. avevano sostituito le primitive baracche mobili costruite con giunchi e tela. Oltre che sotto i portici della piazza del mercato, come nei casi citati, le botteghe dovettero essere costruite anche lungo i lati delle vie; un esempio è offerto dal portico di Attalo in Atene, sotto il quale si sviluppava una serie continua di ripostigli da cui la merce veniva tratta per essere esposta sotto il portico. Al tardo ellenismo appartengono le botteghe trovate nell’isola di Delo, composte da locali a pianta approssimativamente rettangolare, largamente aperti sulla via, ma isolati dal resto della casa e indipendenti fra di essi.

Nel mondo greco dunque il mercato, specie alle origini, si identificò con l’agorà; così valse anche nella società romana dove il mercato non si distinse, inizialmente, dal forum. La parola forum trae le sue radici dal vocabolo foris «che indicava semplicemente il luogo esterno, usato nel latino arcaico delle Dodici Tavole per indicare lo spiazzo quadrato avanti il sepolcro, poi per designare lo spazio libero avanti la casa e successivamente anche una piazza quadrata all’interno di un abitato adoperata per assemblee o per mercati»508.

Il foro antichissimo di Roma, il Forum boarium, era situato tra il Palatino e il Tevere, fuori dalle mura antiche “romulee”: «area di mercato della città arcaica»509, il foro boario era collocato nel punto in cui confluivano i percorsi che percorrevano la valle del Tevere e quelli tra Etruria e Campania, i quali in origine superavano il fiume in corrispondenza del guado dell’Isola Tiberina. Nell’ultimo periodo dei Re e nel principio della Repubblica (fine del secolo VI e inizio del V a.C.), il foro si presenta come piazza del mercato, ove i Romani e i campagnoli «portavano ciò che volevano vendere»510, come è stato definito da Varrone.

Con il crescere della potenza di Roma si assistette a una graduale trasformazione del Foro Romano, centro politico, civile e religioso prima dell’Urbe e poi dell’Impero: la zona del foro subì una crescente monumentalizzazione in grado di esprimere la potenza della città e l’ideologia dei suoi imperatori. I nuovi edifici sostituirono le primitive tabernae511, le quali vennero raggruppate in vari luoghi della città destinati - senza che l’appellativo di forum muti propriamente - a mercati specializzati. Si formarono così un forum vinarium per la vendita del vino, un forum piscarium

508 C. Battisti, G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, Barbera, Firenze, 1953, p. 300. 509 Marco Terenzio Varrone, De lingua latina, 5, 146.

510 Marco Terenzio Varrone, De lingua latina, 4.

511 La piazza sui due lati lunghi era circondata da tabernae, ossia botteghe nelle quali macellai ed erbivendoli esponevano la loro merce. Gli scavi di Pompei e di Ostia e quelli dei mercati traianei a Roma hanno riportato alla luce gli elementi della bottega romana - taberna (termine derivato probabilmente da tabula, ossia tavolo indicante il banco di vendita): essa comprende un piccolo locale a pian terreno largamente aperto sulla via e un ammezzato superiore al quale si accede per una scala di legno; dall’ammezzato sporge un balcone o una pergola con funzione di protezione dalle intemperie. Il banco che era di legno (ma si trovavano spesso in muratura) ed è poi fornito di speciali gradini che servivano per l’esposizione delle merci.

ossia il mercato del pesce, un forum holitorium o degli erbaggi, un forum cuppedinis o delle ghiottonerie, dei cibi delicati, delle primizie.

Nel 179 a.C. a Roma venne costruito il primo edificio destinato a concentrare tutti i mercati cittadini sullo stesso luogo dove nel 210 a.C. era stato distrutto dal fuoco il forum piscarium. Il nuovo edificio fu designato con il nome di macellum. Il primo macellum, demolito probabilmente dopo un secolo e mezzo di funzionamento fu sostituito, in epoca augustea, dal Macellum Liviae costruito sull’Esquilino, al quale si aggiunsero, sotto Nerone, il Macellum Magnum edificato sul Celio, e sotto Traiano i mercati traianei presso il Foro. Dall’Urbe i macella, modulati sul medesimo tipo, sciamarono nelle province, fino nei municipi lontani: dal mercato coperto di Pompei e da quello di Alatri, a quelli di Rimini e di Isernia, dal mercato di Eclano a quelli di Corfinio e di Mantinea in Grecia, dal grandioso macellum di Pozzuoli noto come “Tempio di Serapide” ai mercati africani di Leptis Magna.

I più antichi mercati romani possono ricondursi a un unico tipo edilizio: un quadriportico rettangolare - sotto il quale si allineano le tabernae - che include uno spazio scoperto, in mezzo alla quale, alla maniera greca, sorge, con carattere sacrale, la tholus macelli o l’ara sacrificale o anche, come nell’augusteo macellum Liviae, una semplice fontana. A questo tipo appartiene il mercato coperto di Pompei del I secolo a.C. I resti dell’antica città di Pompei testimoniano i particolari legati alla vita quotidiana: ogni otto giorni, come nelle località vicine, si teneva il mercato. In principio è probabile che a Pompei il commercio sia stato concentrato nel quartiere che circondava il foro, ma a partire dal II secolo a.C. l’area commerciale si estese in direzione di Via dell’Abbondanza, trasformata in una successione quasi ininterrotta di negozi e taverne. Il mercato coperto si sviluppava nell’angolo nord-est del foro, dal quale si apre l’accesso principale; altri due ingressi secondari e non simmetrici si aprono nel muro d’ambito meridionale e in quello settentrionale. Il recinto rettangolare non è porticato e include un’area scoperta in mezzo alla quale si alzano i piedistalli delle colonne reggenti una copertura, probabilmente displuviata. Due grandi ambienti destinati al culto si apronosul lato orientale,nel quale è ricavata la pescheria denunziata dai banchi inclinati. Molte attività commerciali, oltre al mercato ittico, erano concentrate in questa zona. Sugli altri tre lati si allineano le botteghe, aperte verso l’interno quelle del lato sud, verso l’esterno quelle dei lati settentrionale e occidentale, allo scopo di evitare una eccessiva insolazione nociva alla conservazione delle derrate. Le pareti poi erano riccamente decorate da pitture in parte mitiche in parte realisticamente allusive alle merci esposte512.

I mercati di Traiano invece, costruiti sulle pendici del Quirinale e confinanti con il Foro di Traiano513, costituiscono un complesso architettonico molto articolato strettamente dipendente dal foro stesso. Traiano e l’architetto Apollodoro di Damasco all’inizio del II secolo d.C. idearono un avanguardistico complesso che si può considerare uno dei primi esempi di centro polifunzionale, comprendente diverse strutture, tra le quali anche l’importante basilica Ulpia: «Dietro a una grande esedra circolare e lungo il dirupo prodotto dal taglio della collina, fu eretto un complesso contenente una serie numerosissima di botteghe disposte a terrazze su vari ripiani, fiancheggianti una via con andamento a W (la Via Biberatica), che dal piano del Foro raggiungeva quasi il culmine del Quirinale. In alto, questo complesso mercantile che accentrò una gran parte del commercio urbano, terminava con una grande sala coperta a volta, con due piani di negozi, un vero emporio simile a quelli che saranno poi i grandi bazar dell’Oriente musulmano e, come concetto, non diverso da quello delle gallerie dei grandi magazzini commerciali moderni»514.

Il Medioevo ereditò il carattere complesso della piazza dall’agorà greca e dal foro romano, rimanendo ancora il perno attorno a cui ruota la vita pubblica ma diventando nel corso del tempo uno spazio monofunzionale, concepito e realizzato per ospitare una sola, specifica funzione. La città medioevale arrivò così ad avere varie piazze, ciascuna a servizio di un edificio importante: la piazza sagrato ospitava le manifestazioni religiose e esaltava la sacralità degli edifici; la piazza civica per le adunanze civili e le assemblee politiche; la piazza del mercato per le attività economiche.

Il mercato medievale e più tardi anche le fiere, trovarono così una destinazione in una piazza prescelta come sede permanente per le bancarelle dei rivenditori e qualche impianto fisso, di solito una fontana centrale515. Con la crescita delle città medievali, il mercato si caratterizzò per una periodicità ciclica, in quanto doveva predisporre di una grande offerta di beni volti a soddisfare una richiesta sempre più crescente. In Italia, a partire dal periodo comunale, si assistette a una crescente specializzazione dei mercati per certe categorie merceologiche516. Col tempo mercati e mercanti si andarono diversificando e specializzando a seconda del genere di merce che portavano: fiorirono quindi i mercati di frutta e verdura, del bestiame, dell’antiquariato, e quello più pittoresco delle “pulci”. Per quanto concerne le botteghe, in questo periodo non dovevano differenziarsi molto da quelle romane, con ambiente piccolo dotato a volte di retrobottega, soppalco e uno spazio esterno

513 Con l’epoca imperiale i fori si monumentalizzano e sono lo strumento più evidente di legittimazione della potenza