Capitolo 4: I luoghi di consumo
4.7 Le esposizioni universal
Le grandi esposizioni furono le eredi naturali delle fiere e del mercato: spazio-tempo in cui erano inseriti i valori socioeconomici e simbolici della piazza-mercato e delle fiere, sono state create all’interno della metropoli come spazi periodici da destinare alla divulgazione e alla messa in scena di arti, scienze, industria e merci. Le esposizioni costituirono il ventre entro cui si è configurata la crescita economica e tecnologica dell’industria culturale585.Furono «Fiere dei Sogni in cui i sogni sono resi plausibili, reali ed esperibili dalla tecnologia e dal potere economico»586.
Le importanti funzioni di socializzazione e modernizzazione assolte dalle esposizioni, raggiunsero il loro massimo significato culturale nel periodo che va dalla metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento. Lo spazio urbano costruito e adibito a esposizione fu luogo simbolico in cui si mostrarono i beni della civiltà occidentale, investiti di una potenza “fantasmagorica”. Benjamin così descriveva la prima esposizione nazionale dell’industria tenuta nel 1798 sul Campo di Marte: «La prima esposizione industriale nacque dunque dal desiderio di far divertire la classe operaia diventando per essa una festa dell’emancipazione [...] Il carattere popolare dell’industria salta agli occhi [...]. Al posto delle stoffe di seta, si vedono tessuti di lana, al posto di merletti e broccati, stoffe utili al fabbisogno domestico del terzo stato, cappucci e velluti di lana...»587.
Con la convenzione di Parigi del 28 novembre 1928 venne predisposto un ordinamento che fissava la durata massima, la periodicità, le modalità di organizzazione, i diritti e i doveri degli espositori e la classificazione dei premi di queste manifestazioni. A partire dalla metà dell’Ottocento le esposizioni si succedettero con elevata frequenza in tutto il mondo, suscitando un grande entusiasmo soprattutto per gli aspetti di “universalità e continuità” che le caratterizzavano.
In queste strutture veniva celebrato il progresso, elemento che doveva accomunare tutte le branche del sapere, dell’arte e della produzione. Fu la Great Exhibition of the Works of Industry of All Nations che nel 1851 catapultò Londra al centro dell’attenzione internazionale: l’evento fu unico per la sua capacità di soddisfare le attese del pubblico e dei media, sempre più bramosi di qualcosa che fosse capace di marcare la memoria di una generazione. Il Crystal Palace costruito da J. Paxton, architetto di serre e giardini, rappresentò insieme alla Tour Eiffel il primo esempio di architettura realizzato con nuovi materiali e fu l’immagine guida delle esposizioni. La trasparenza del vetro
585Nel suo saggio sulla cultura di massa L’Esprit du temps (1962), tradotto come L’industria culturale (1963), Edgar Morin fa coincidere il complesso sistema degli apparati di produzione, distribuzione e consumo di beni culturali con la complessità dello spirito del tempo moderno. Le origini dell’industria culturale coincidono con il conflitto tra culture di élites, legate alla tradizione e svincolate dalle leggi di mercato, e culture dei consumi, affermatesi con i primi processi di industrializzazione e massificazione. Theodor W. Adorno e Max Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo (1966) esprimono un netto rifiuto della cultura di massa cogliendone l’aspetto negativo nello stereotipo, qualità della riproducibilità tecnica. La teoria critica portata avanti da Adorno e Horkheimer contro la produzione in serie e l’uguaglianza delle differenze ha la sua soluzione naturale nell’esperienza delle avanguardie storiche.
586 G. Amendola, La città postmoderna, op. cit., p. 134.
smaterializzava le pareti dell’edificio accendendo lo splendore delle merci in mostra per l’intera area metropolitana. Questa famosa esposizione londinese, in un palazzo costruito appositamente, mostrava di tutto: «le moderne macchine per la lavorazione del cotone, palme e sculture di tigri e di amazzoni, telescopi e ambienti che riproducono una corte medioevale…luoghi e capitoli della storia: dal frontale del tempio greco, alla casa romana al palazzo rinascimentale»588.
Nella mirabile esposizione parigina del 1867, la pluralità dei padiglioni si sostituì all’edificio unico trasformando la piazza-mercato in città nella città, alla riconquista di una dimensione umana che recuperasse e riflettesse sul rapporto tra individuo e vita universale. Il consumo dello spazio iniziava dalle zone di ristoro per distribuirsi nelle diverse aree espositive: in un grosso edificio ellissoidale era stata allestita una mostra dedicata al lavoro che esponeva opere d’arte, oggetti di mobilio, vestiti e tessuti, macchinari, alimenti e materie prime; poi c’era la galleria delle macchine che si distingueva dagli altri spazi per le sue ciclopiche dimensioni che permettevano il movimento degli autoveicoli. L’Esposizione Universale parigina del 1867 offrì la possibilità di «un’esperienza sensoriale di luoghi spettacolari lontani ed esotici, di suoni, cibi e usanze di cui si era sentito parlare solo nei libri e nei giornali»589.
Successivamente vennero dedicate esposizioni a eventi importanti come la Centennial Exposition tenuta a Filadelfia nel 1876 per onorare la memoria della Dichiarazione di Indipendenza; l’Esposizione al Centenario della Rivoluzione Francese e al nuovo secolo tenute nel 1889 e 1900 a Parigi; e altre a eventi minori come la Rue des Nations o Rue du Caire (Parigi 1878-1889) in cui le esposizioni dedicate all’agricoltura, all’industria e all’arte erano circondate da padiglioni allestiti dai singoli paesi invitati, da mostre di ogni genere e da spettacoli dal vivo590.
Le esposizioni universali fungevano da polo di coordinamento e integrazione dei media esistenti: i mezzi di locomozione e le nuove macchine industriali; la stampa, la fotografia e soprattutto l’illuminazione elettrica resero le esposizioni centri di consacrazione dell’elettricità. Le prime esposizioni italiane si ebbero a Firenze, Roma, Torino e Milano; erano di carattere periodico e locale, concentrate sull’agricoltura e le belle arti. La partecipazione italiana alle esposizioni universali di Londra (1862), Parigi (1867), Vienna (1873), Filadelfia, fu piuttosto modesta ed esprimeva il volto di un paese arretrato con scarse capacità propulsive e comunicative dei centri espositivi. Nel 1881, dopo aver affinato i prodotti e le conoscenze tecnologiche per sviluppare i sistemi di commercializzazione, a Milano venne allestita con successo l’Esposizione Nazionale, il
588 G. Amendola, La città postmoderna, op. cit., p.136-137.
589 M. Torres, Luoghi magnetici. Spazi pubblici nella città moderna e contemporanea, op. cit., p. 87.
590 La possibilità di osservare e collezionare i segni delle diverse culture, le costruzioni, gli artefatti culturali, il cibo e l’intrattenimento etnico dal vivo, rende le esposizioni degli esempi eccezionali di quella che John Urry chiama de- differenzazione culturale, che consiste nella fusione delle sfere dell’educazione, dell’intrattenimento e del consumo in un unico processo culturale. Cfr. J. Urry, Lo sguardo del turista: il tempo libero e il viaggio nella società
cui emblema era stato labor omnia vincit. Successivamente l’esposizione nazionale di Torino (1898) presentò il telegrafo senza fili che Guglielmo Marconi aveva realizzato l’anno prima. Ma bisognò attendere il 1911 per vedere allestito un modello a misura universale contemporaneamente a Torino, Firenze e Roma591.
Il dispositivo delle esposizioni venne esteso, in forma di riproduzioni, narrazioni, simulacri, attraverso l’elettricità, i mezzi di comunicazione e di trasporto fino ai margini della vita sociale, realizzando una progressiva metropolitanizzazione del territorio e la costruzione del villaggio globale592. Anche i giardini circostanti gli edifici delle esposizioni furono animati di giorno e di notte, ospitando feste e concorsi e divenendo poi grandi parchi per divertimenti come il Midway Plaisance di Chicago o The Pike di St. Louis. Palazzi, padiglioni, feste, giochi, luci, sono tutti artifici mirati a mostrare il senso che le merci assumono nella società come investimenti emotivi, fantastici, immaginari, come sublimazione dei desideri nel prodotto di consumo e progressiva assunzione del superfluo nel necessario. Nel giro di mezzo secolo si quintuplicò la superficie destinata alle esposizioni universali le quali, passando dalla celebrazione all’autocelebrazione, divennero lo specchio nel quale la società della seconda metà del XIX secolo poteva ammirare il progresso e glorificarsi in esso. Di importante significato è stato il modificarsi delle scelte espositive che dall’Ottocento al Novecento sono passate dalla offerta dei mezzi per la riproduzione dell’opera d’arte all’offerta dell’originale prodotto artistico. L’idea di un progresso illimitato e legato all’utile più che all’etica fu inizialmente attaccata da letterati e poeti come Baudelaire593e Rénan, e da attenti osservatori come Flaubert che in Dictionaire désidées reçues definiva le esposizioni come “sujet de délire du XIX siécle”.
591 Le tre grandi esposizioni si ebbero in occasione della proclamazione del cinquantenario di Roma Capitale d’Italia. L’esposizione di Torino verteva sull’industria e l’arte applicata; quella di Firenze sulla retrospettiva del ritratto italiano dal ‘400 alla fine del ‘700; quella di Roma era articolata nell’Internazionale d’Arte Contemporanea, e aveva costruito i padiglioni di rappresentanza a Valle Giulia, nella Mostra Etnografica di Piazza d’Armi, di Topografia Romana alle Terme di Diocleziano e nella retrospettiva di Castel Sant’Angelo.
592 Ci riferiamo, in questo contesto, alla originario senso filosofico della espressione villaggio globale.
593 In occasione dell’Esposizione Universale del 1855, aperta il 15 maggio al Nuovo Palazzo delle Belle Arti, Baudelaire pubblicò una rassegna critica in cui, parlando dell’idea di progresso, scrive: “Questo fondale oscuro, invenzione del filosofismo del nostro tempo, brevettato senza alcuna garanzia della natura o della Divinità, questa lampadina moderna getta tenebre su tutti gli oggetti della conoscenza; la libertà svanisce, ogni sanzione scompare. Chi vuol veder chiaro nella storia deve anzi tutto spegnere questo perfido fanale”. E ancora: “Domandate ad ogni buon Francese che legga ogni giorno il suo giornale al caffè che cosa intenda per progresso: risponderà che è il vapore, l’elettricità e l’illuminazione a gas, miracoli sconosciuti ai Romani, e che queste invenzioni attestano in pieno la nostra superiorità sugli antichi; tante tenebre si son fatte in questo sventurato cervello e fino a tal punto vi si sono bizzarramente confuse le cose dell’ordine materiale e dell’ordine spirituale!”.