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Il valore di consumo

Capitolo 3: Verso un capitalismo simbolico

3.7 Dalla parte del consumo

3.7.4 Il valore di consumo

Egeria Di Nallo, Roberta Paltrinieri e Paola Parmiggiani sono le tre sociologhe di Bologna che hanno approfondito la dimensione strutturale del consumo in termini comunicativi, proponendo un approccio teorico che interpreta il consumo come linguaggio, autonomo sia dalle logiche della produzione che dalle scelte e dalle preferenze individuali dei singoli consumatori.

Di Nallo afferma come la letteratura sociologica sui consumi sia stata “viziata” dal paradigma produttivista, all’interno del quale il consumo è schiacciato dal peso della produzione, costretto in quei letti di Procuste che rimandano a ristretti universi semantici a loro volta riconducibili ai valori che presiedono alle logiche produttive. La sua proposta di considerare il consumo come linguaggio dotato di una propria autonomia s’inserisce appunto all’interno di una diversa lettura della realtà che registra l’avvenuto spostamento dalla centralità del lavoro sociale astratto verso il bisogno sociale astratto, identificando la sua soddisfazione nel consumo. Abbandonata una mistica dei simboli di status che è riconducibile alla logica della produzione, così come gli stessi giochi d’inclusione- esclusione sono riconducibili alla scala verticale della stratificazione sociale, il consumo è capace di modularsi secondo logiche proprie, sempre più autonome dalla produzione e sempre più in grado di fornire categorie utili per comprendere le emergenze che la realtà sociale propone. Scrive Di Nallo: «Sia la società postindustriale sia quella postmoderna portano tra le loro caratteristiche definitorie quella di allontanarsi dalla centralità della produzione. Si apre allora al consumo la possibilità di allargare il proprio potenziale di autonomia; accade così che il consumo, che era stato il linguaggio delle società della produzione, si libera dal riferimento alla logica della produzione, tutto sommato limitante e insoddisfacente, e dalla preponderanza degli schemi relativi ai simboli di status, e si

ripropone come linguaggio di se stesso»429. L’utilità, l’individualità e la razionalità strumentale che avevano connotato la ricerca sul consumo perdono il loro valore di analisi, lasciando spazio a categorie più vaste e soddisfacenti.

Di Nallo, come Mary Douglas, considera il consumo come un sistema d’informazione, ma il concetto di razionalità insita nel consumo stesso viene letto dalla sociologa bolognese in maniera completamente differente; l’autrice infatti scrive che «se il consumo costituisce […] un sistema di comunicazione, dovrebbe avere una sua razionalità interna, pur non negando le razionalità individuali. Pur ammettendo che molti consumi sono funzionali alla collocazione del soggetto nell’ambito della stratificazione sociale, se veramente il consumo è ciò che rende intelligibile la vita della società, è in questa funzione che bisogna cercare la sua razionalità specifica»430. Così la Douglas, secondo Di Nallo, finirebbe per considerare la razionalità del consumo nella sua funzionalità al complesso strumentale, con particolare riferimento alla collocazione di reddito del soggetto e in generale alla distribuzione del potere (soprattutto economico) fra le classi sociali. Il “consumo come sistema d’informazione” viene ad assumere, secondo Di Nallo, una triplice sfaccettatura:

- consumo come potere in grado, al pari della parola, delle immagini e della comunicazione, non solo di certificare i fatti e le relazioni sociali, ma anche di condizionarli, agendo in modo sensibile sulla realtà;

- consumo come cultura o sistema di metafore sociali su cui si reggono sia i rapporti tra gli uomini, sia il rapporto tra uomini e natura. In questo senso i beni di consumo contribuiscono in modo essenziale a costruire le categorie e i principi della cultura attraverso cui comprendere la realtà fenomenica;

- consumo come linguaggio, dotato di una specifica razionalità interna indipendente dalla semplice logica produttiva.

La logica del consumo così focalizzato è profondamente intrecciata con la logica sociale più ampia. Riconoscere nel consumo un autore/certificatore degli avvenimenti quotidiani significa svelarne il potenziale creativo anche in termini socio-politici431. Così, riconoscere gli aspetti culturali e

429 E. Di Nallo, Il significato sociale del consumo, op. cit. p. 45. 430 Ivi, p. 25.

431 Questo aspetto insito negli atti di consumo risulta fondamentale per denunciare le conseguenze più o meno dirette delle nostre azioni (si pensi agli effetti che un certo tipo di marketing commerciale provoca sull’immaginario collettivo, alle proteste dei movimenti che prendono forma nell’ambito dei consumi) o anche per promuovere vere e proprie politiche sociali costruite intorno al consumo (basti pensare a tematiche quali l’educazione al consumo, lo sviluppo sostenibile, la democrazia partecipativa attraverso l’accesso alle pratiche di consumo, la pubblicità sociale o la certificazione etica dei prodotti e delle aziende).

intersoggettivi del consumo, significa svelarne l’intima connessione con la questione etica della società contemporanea. Non solo consumo come soddisfacimento dei bisogni e dunque fonte di alienazione e passività ma luogo dove si intessono rapporti interpersonali, si giocano ruoli attivi nella vita pubblica come in quella privata, prendono forma le responsabilità individuali e collettive relative alla convivenza sociale. Consumo come arena di scontro o cooperazione attraverso cui ri- appropriarsi della realtà politica, sociale o simbolica che sia. Infine, l’aver considerato il consumo come un linguaggio comporta non solo considerarlo come «sistema che dispone di una propria razionalità interna, al di là di quella che assume dai sistemi di significati di cui funge da significante»432 ma soprattutto riconoscerne gli aspetti cognitivi, considerandolo a tutti gli effetti un elemento generativo delle forme sociali e al contempo indispensabile per le esigenze di condivisione e ridefinizione dei significati collettivi. Su questo punto si concentrano le analisi di Roberta Paltrinieri che, all’interno dell’approccio comunicativo ai consumi, ha approfondito la dimensione linguistica del consumo. In accordo con l’analisi di Di Nallo433, l’autrice del “Il

consumo come linguaggio” (1998), afferma che solo un’interpretazione attraverso categorie di tipo

culturale può fornire la chiave per capire come «il consumo permetta agli individui di instaurare relazioni, di coprire ruoli, di rendere intelligibile la propria realtà»434. L’intenzione dell’autrice è interpretare il consumo in relazione alla cultura, approfondendo l’analisi del fenomeno come linguaggio inserito nei processi di convalidazione-innovazione dei significati socioculturali sui quali si fonda la costruzione intersoggettiva della realtà. È questo un approccio sociologico che se da un lato riconosce l’importanza delle analisi di autori come Jean Baudrillard e Pierre Bourdieu, dall’altro denuncia gli stessi di vedere nel consumo esclusivamente un segno della differenziazione sociale, riducendolo alle logiche di potere e di stratificazione. In queste analisi, secondo Paltrinieri, «il consumo come linguaggio, appare l’espressione di strategie di classe, attuate al fine della ricollocazione degli individui all’interno della stratificazione sociale; non solo, ma esso è l’espressione del processo ineludibile della razionalizzazione della visione del mondo e dell’agire, nei termini espressi dalla Scuola di Francoforte»435.

In questo senso il consumo, rimanendo legato al determinismo del sistema produttivo tipico dell’approccio economico, non può ancora esprimere discorsi autonomi; discorsi che emergono nel momento in cui si assegna all’azione di consumo “facoltà di parola” indipendente da qualsiasi logica di strutturazione societaria. Così il consumo si trova a essere implicato nella complessità

432 Ibidem.

433 Anche Paltrinieri, che analizza l’agire di consumo in termini prevalentemente culturali, concorda sul fatto che il consumo non può più essere considerato come un semplice agire razionale mirato alla soddisfazione dei propri bisogni, né come attività passiva di alienazione o sottomissione alle logiche dominanti.

434 R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, op. cit. p. 127. 435 Ivi, p. 13.

della realtà in continuo cambiamento. Inoltre, proprio perché dotato della “facoltà di parola”, il consumo deve essere interpretato come “fenomeno sociale” attraverso categorie che gli siano congeniali. Categorie che permettano di cogliere nell’utilizzo di beni materiali e immateriali, capacità produttive, espressive e di mediazione insieme a un’autonomia strutturale, all’interno di un contesto con il quale necessariamente interagisce modificandosi e modificando. Utilizzare la metafora del linguaggio permette infatti di considerare il consumo come un sistema semiotico che è strettamente in rapporto con il sistema della cultura secondo un reciproco costituirsi. «Il consumo esprime e metaforizza una cultura, laddove con il termine metafora si intende un atto linguistico creativo. Consumi e consumatori partecipano alla costruzione di una realtà socialmente prodotta, partecipano al costituirsi di materiale simbolico per la comunicazione, per la rappresentazione, per dare, detto in altri termini ordine al caos»436.

Riconoscere al consumo un ruolo attivo in seno ai processi culturali che prendono forma nelle pratiche quotidiane permette anche di riflettere sullo stretto legame tra l’agire di consumo e l’identità dell’individuo nella società contemporanea. E ciò è oggi particolarmente importante, dal momento che il venir meno di un sistema di valori e significati univoci e universalmente riconosciuti favorisce l’apertura del soggetto agli stimoli provenienti dall’esterno, in primis dal mondo dei consumi. «Identità e consumo possono apparire due temi antitetici o comunque molto distanti, riguardando il primo il modo in cui l’uomo è percepito, si percepisce o addirittura è, e l’altro il modo in cui l’uomo usa i beni»437. Se è vero che, come sottolinea Paola Parmigiani, identità e consumo sembrano presentarsi come due temi apparentemente lontani, in quanto il concetto di identità pone l’accento sull’individuo come soggetto, mentre il concetto di consumo

436 Karl Marx aveva elaborato un’analisi del consumo che può essere considerata “pre-semiotica” (si pensi al valore di segno attribuito alle merci in un sistema di scambio generalizzato), ma i primi studiosi intenti ad analizzare il consumo come sistema di comunicazione hanno spesso confuso la natura del medium o canale di trasmissione che veicola l’informazione da un emittente ad un ricevente. Secondo la “teoria dell’informazione” di Shannon e Weaver, affinché avvenga la trasmissione dell’informazione da un emittente a un destinatario è necessaria la presenza di un canale, o medium di comunicazione, che consente il passaggio dal primo al secondo e viceversa. Trasposto questo schema classico al sistema di consumo, ne deriva che i ruoli di emittente e destinatario sono spesso stati semplicisticamente attribuiti alle imprese, impegnate a promuovere il prodotto, e ai consumatori, “indotti” ad acquistarlo; allo stesso modo, la funzione di medium ha coinciso con i mezzi di comunicazione adottati per promuovere tali beni materiali, comportando inevitabilmente che gli studiosi si concentrassero sull’influenza esercitata dai mass media sul comportamento dei consumatori. Come ha evidenziato Codeluppi, “Il sistema del consumo, come qualsiasi altro sistema comunicativo, ha bisogno innanzitutto per funzionare di un medium o canale. Ciò che lo contraddistingue però è che in esso tale funzione non è svolta dalle comunicazioni di massa, bensì dalle merci. I mass media svolgono un altro ruolo, anch’esso peraltro molto importante, che consiste nella produzione di parte del contesto, nella produzione cioè di alcuni dei modelli di riferimento che fanno parte di quel serbatoio di materia simbolica che è l’immaginario collettivo attuale”, in V. Codeluppi, I consumatori. Storia, tendenze, modelli, FrancoAngeli, Milano, 1992. In generale, mezzo è qualcosa che consente la circolazione di qualcos’altro, o facendo da canale di flusso, o circolando esso stesso. Si comprende come l’informazione si trovi inserita negli oggetti stessi, i quali sono dei portatori d’informazioni (basti pensare al lavoro degli archeologi), comunicano non attraverso un flusso di informazioni, ma mettendo l’informazione a disposizione, presentandola ai soggetti. Perciò, anche gli oggetti diventano dei media comunicativi, ovvero qualcosa che sta in mezzo fra chi questi oggetti ha prodotto e chi li consuma.

pone l’accento sui beni come oggetto, eppure, considerata la pratica quotidiana propria della società in cui viviamo, al consumo viene attribuita sempre più spesso una funzione di rappresentazione e costruzione del Sé. L’ipotesi è che allora tra queste due dimensioni apparentemente lontane ci sia una significativa e fruttifera relazione. Se si considerano gli oggetti materiale cruciale per la formazione e il mantenimento dell’identità personale, per l’interazione con gli altri e per la costruzione di ambiti dove la ricerca di identità possa trovare una risposta - anche se spesso limitata e transitoria - non si può non pensare ai significati simbolici correlati ai diversi beni di consumo. Se, come scrive Leonini «è il sistema culturale che fornisce le definizioni di utilità, valore, scarsità, ecc., su cui si basano la nostra percezione e visione del mondo» è al mondo della cultura e alla relazione con il consumo a cui ci dobbiamo rivolgere: «i cambiamenti all’interno della società sono il frutto di una lotta tra vecchi e nuovi significati, tra vecchie e nuove definizioni della realtà: gli oggetti sono proprio il campo di battaglia dove ha luogo il combattimento; in altre parole, dove la cultura prende forma e si struttura»438.

I beni di consumo rivestono quindi un ruolo fondamentale nel formare e sostenere l’identità dell’individuo in un contesto sociale ormai privo di forti istituzioni identificative e divengono il canale privilegiato attraverso cui scambiare informazioni sulle definizioni che i soggetti danno di loro stessi e del mondo. Con le parole di Ervin Goffman, le “maschere indossate dall’identità” sono l’apparenza che è di fatto diventata un aspetto fondamentale della vita dell’uomo moderno, il metro per misurare ed essere misurati; di conseguenza, gli oggetti hanno assunto un’importanza decisiva poiché l’apparenza si fonda sulla manipolazione e sull’uso delle cose che hanno il compito di comunicare e di rendere facilmente comprensibili i messaggi che si vogliono trasmettere439. Le cose svolgono dunque la funzione di sostegno dell’identità individuale, «ad esse ci appoggiamo come ad un sostegno nella rappresentazione che diamo di noi stessi nell’interazione con gli altri»440. L’apparenza, nell’accezione goffmaniana, assume particolare rilievo non solo per comunicare sentimenti e informazioni, ma anche per formare e strutturare il nostro sé e la nostra identità. Per questo concordiamo con Parmiggiani nel momento in cui riconosce che «nella definizione del consumo in quanto linguaggio si ritrovano le basi fondanti del rapporto esistente tra l’agire di consumo e l’identità dell’individuo nella società contemporanea, nella quale, come si è detto, il venir meno di uno stabile ed univoco sistema di valori e significati, appare il presupposto per il riconoscimento di una pluralità di autonomi sistemi di significato, di mediazione simbolica»441.

438 L. Leonini, L’identità smarrita, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 201.

439 Cfr. E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione (1959),Il Mulino, Bologna, 1969. 440 L. Leonini, L’identità smarrita, op. cit. p. 202.

Accingersi a seguire questo percorso significa ancorare la logica del consumo a logiche di tipo culturale, per cui sono proprio le capacità espressive e creative del fenomeno in questione, la sua dimensione simbolica, che permettono di vedere accanto alle tradizionali categorie sinora utilizzate dalle varie discipline - il valore d’uso, il valore di scambio ed il valore di status - un più generale valore di consumo. Considerare un nuovo valore e un nuovo senso del consumo, significa riconoscergli in quanto sistema, in quanto linguaggio, un’autonomia strutturale rispetto alla produzione, una propria logica interna che non vede i consumatori come individui isolati, passivi e tendenti alla differenziazione, ma al contrario si fonda sull’interazione comunicativa di cui questi ultimi sono protagonisti e sulla costruzione della realtà messa in atto dagli stessi. Tramite questa autonomia strutturale il consumo riconquista una valenza produttiva. Liberatosi dalle logiche della produzione e dagli schemi dello status symbol, «il consumo ci appare nella veste di linguaggio, nei termini di ‘mediazione simbolica’, oggettivazione di categorie, di significati e di valori indispensabili per la comunicazione intersoggettiva, la cui natura normativa, per quanto non coercitiva, permette di inserirlo nel processo intersoggettivo di costruzione della realtà sociale. Non più linguaggio come mero strumento passivo per la produzione e trasmissione lineare di ‘informazioni’ (riferibili tra l’altro unicamente alla differenziazione sociale), ma come ‘produzione di senso’ e di significato»442 possibile appunto solamente all’interno di una comunicazione partecipata, di relazione, che rende possibile la vita associata.

In questo modo il linguaggio del consumo partecipa alla costruzione e alla categorizzazione dell’esperienza sociale degli individui, di ciò che essi percepiscono come loro realtà. E nel fare questo «esso diventa espressione di una razionalità che non può limitarsi esclusivamente al livello della razionalità strumentale, ma aprendosi ai diversi piani della ragione (o modalità di rapportarsi al mondo) rinvia, o potrebbe rinviare, ad una razionalità simbolico conoscitiva»443; per cui il consumo acquisisce una centralità nei rapporti sociali prima sconosciuta, divenendo comunicazione, espressione, produzione, modalità privilegiata nel rapporto con il mondo e con gli altri.

É chiara dunque la svolta culturale nell’interpretazione dell’agire di consumo, tale per cui il fenomeno in questione può essere visto come sistema semiotico nel contesto del sistema della cultura. Cultura intesa come insieme di pratiche e risorse disponibili agli individui per definire la realtà naturale e sociale, all’interno della quale il consumo costruisce e nello stesso tempo attualizza significati potenziali, non veicolando semplicemente quelli dati.

Tra i contributi più importanti che derivano dall’analizzare il consumo come sistema semiotico della cultura è da sottolineare, a nostro avviso, la possibilità di modificare e plasmare il contesto culturale in cui è inserito. In questo senso l’uso e la pratica del linguaggio non si limita ad una mera

442 P. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, op. cit. p. 110. 443 E. Di Nallo, Razionalità, simulazione, consumo, op. cit. p. 45.

riproduzione sociale dei significati, ma soprattutto consente un processo di produzione dei medesimi reso possibile da procedure di metaforizzazione. Il sistema degli oggetti esprimerà, in questo modo, la dialettica convalidazione-innovazione, permettendo sia sedimentazioni di significato, sia simbolizzazioni attive, per cui il complesso rapporto tra linguaggio di consumo e cultura si rivela come circolare, di reciproca costituzione.

Riconoscere al sistema di consumo molteplici capacità espressive significa quindi staccarsi dal concetto di unidirezionalità della riproduzione di status, senza per questo rinunciare al riconoscimento della sua dimensione strutturale che, come sottolinea Di Nallo444, permette di analizzare la sintassi del consumo, ossia i modi non casuali in cui i beni si strutturano in clusters di sistemi e subsistemi, seguendo delle precise convenzioni che ne permettono la comprensibilità sociale. Come per McCracken anche per Di Nallo il consumo gravita attorno a sistemi di oggetti funzionalmente diversi che intessono relazioni precise tra di loro. Questi sistemi esprimono la coscienza collettiva di una società, non sono espressione né del volere dei singoli, né espressione del volere di una somma: “la gente è una sintesi” ed esprime un insieme di credenze e sentimenti comuni riconducibili a significati e valori che possono sostanzializzarsi in sistemi di consumo. Secondo Di Nallo, la coscienza collettiva oggi è il risultato della dinamica interattiva proposta dal moltiplicarsi dei luoghi e dei campi dell’integrazione. Ciò significa che all’interno delle singole società si muovono molteplici sistemi di consumo che si intrecciano continuamente seguendo logiche analogiche e contraddittorie, e non più solo logiche lineari tipiche della razionalità strumentale, concedendo in questo modo spazio a nuove modalità di conoscenza del mondo. Sono questi stessi sistemi di consumo a costituire veri e propri codici linguistici ai quali gli individui di una stessa società possono aderire. Per questo, d’accordo con una prospettiva che interpreta il consumo in chiave culturale, attraverso un approccio interdisciplinare che comprende l’antropologia, la sociosemiotica e la linguistica, Paltrinieri può affermare che «le cose comunicano messaggi in quanto inserite in sistemi e subsistemi, strutturati grazie a regole convenzionali che sono espressione dei valori e dei significati sociali e culturali tipici di un’epoca»445. In altre parole, «se il consumo è un linguaggio, i beni non verranno assunti singolarmente dai soggetti a seconda dei loro bisogni individuali, ma secondo principi di riconoscibilità sociale; se le parole non escono dalla bocca in libertà, ma si strutturano in discorsi composti a loro volta da frasi, così i beni si strutturano in sistemi composti a loro volta da subsistemi, esiste dunque una grammatica del consumo, così come esiste una sintassi ed una semiologia»446.

444 E. Di Nallo, Valori e stili di vita, in “Sociologia delle comunicazioni”, n. 21, 1995, p. 7-15.