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Produzione di senso, produzione di sé

Capitolo 3: Verso un capitalismo simbolico

3.3 Produzione di senso, produzione di sé

Pur essendo consapevoli che la centralità del binomio produzione-lavoro è stata scalzata da un’altra centralità un tempo definita acentrata307, quella del consumo, parliamo ancora di lavoro. Al capitalismo produttivo classico, di tipo industriale fondato sul lavoro materiale (delocalizzato ed esternalizzato) si affianca un capitalismo nuovo che poggia proprio sul primo, anche se è grazie a quest’ultimo che il primo può sussistere, svilupparsi ed acquisire valore. Quello nuovo, postindustriale e immateriale, richiede la necessità e la valorizzazione di competenze trasversali che sempre di più caratterizzano le funzioni lavorative, in modo particolare quelle medio-alte308.

Il lavoro principale dell’uomo non consiste più nel trasformare fisicamente le cose, ma consiste nel produrre le conoscenze che gli permetteranno di trasformarle attraverso la produzione industriale. Il

303 Cfr. A. Mortara, L’immaginario della marca e gli strumenti per la sua costruzione, in V. Codeluppi, La società

immateriale, op. cit.

304 Negli ultimi venti anni, l’importanza della marca in tutti i settori del consumo e del commercio ha continuato a crescere. Divenuta una presenza obbligata in tutti i contesti associati alla produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi la marca si può dire svolga oggi un ruolo sociale particolarmente significativo che va molto al di là del campo economico; le marche possono infatti essere ritenute protagoniste dei principali processi di trasformazione sociale, in grado di influenzare il nostro modo di vivere e persino in grado di plasmare le strutture delle città. Cfr. V. Codeluppi, Il

potere della marca, Bollati Boringhieri, Torino, 2001. Per un approfondimento sul tema della marca, cfr. A. Semprini, Marche e mondi possibili, FrancoAngeli, Milano, 1993.

305 A. Gortz, L’immateriale, op. cit. p. 48.

306 A. Arvidsson, Appunti per una sociologia del marchio, in E. Di Nallo, R. Paltrinieri (a cura di), Cum sumo.

Prospettive di analisi del consumo nella società globale, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 232.

307 E. Di Nallo, Il significato sociale del consumo, op. cit. p. 4.

308Dunque il valore nasce dalla capacità di dare immaterialità significativa al prodotto materiale; e quindi il valore di un prodotto pur materiale è riferibile molto di più e sempre di più a ciò che di immateriale vi è aggiunto”, in M. La Rosa, Immateriale, produzione e lavoro, op. cit. p. 27.

lavoro non è più misurabile secondo criteri e norme prestabiliti. Le mansioni non sono più definite in modo oggettivo e il risultato non è più stabilito rispetto a queste ultime ma mette direttamente in gioco le persone. Il coinvolgimento soggettivo, detto anche motivazione nel gergo manageriale, non può essere formalizzato e nemmeno può essere prescritto. Le competenze essenziali in ambito lavorativo sono sempre più quelle immateriali. Competenze di relazione, comunicazione, comprensione di linguaggi diversi dal proprio. Il lavoro in questo modo perde gran parte della sua vena individualistica di tipo taylorista-fordista e l’individuo, attraverso l’acquisizione di certe competenze/capacità, è in grado di affrontare i mutamenti produttivi e societari; l’immaterialità cresce in questo senso «anche fuori dall’azienda, perché è tutto il bagaglio culturale vitale generale che dà “peso” al valore dell’immaterialità»309. Si tratta allora di considerare quella che viene definita produzione di sé, ossia un tipo di produzione che si sostituisce alla produzione materiale di ricchezza e di senso.

Con la produzione di sé si intende la messa al lavoro dell’intero registro delle facoltà umane, catturato nell’ordine simbolico e non più solo psico-fisico dell’antico salariato, in cui si dissolve l’obsoleta distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro310.

Maurizio Lazzarato sostiene che «il lavoro immateriale è un’attività nella quale diviene sempre più complicato distinguere il tempo del lavoro dal tempo della riproduzione o dal tempo libero»: ci si trova davanti a un «tempo di vita globale» in cui è estremamente difficile distinguere tra tempo produttivo e tempo del godimento. Quando il lavoro immateriale si pone come base essenziale della produzione, questa trasformazione del lavoro non concerne solo la produzione ma «la forma intera del ciclo riproduzione-consumo». In questo senso si può sostenere che «il lavoro immateriale» non è destinato a riprodursi nella forma dello sfruttamento «ma nella forma di riproduzione della soggettività»311. La produzione di sé, afferma Gortz, si effettua sulla base di una cultura trasmessa dalla socializzazione primaria e di sapere comune. E, in questa prospettiva, l’attività di produzione immateriale «tende a far appello alle stesse capacità e disposizioni personali delle attività libere al di fuori del lavoro»312.

Nella odierna società globale i processi sociali si estendono facendo del mondo intero un unico sistema. La bioingegneria, l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale, l’agire comunicativo messo in rete per lavorare, sono alcuni dei tratti caratteristici dell’epoca attuale che vanno a incidere su quella

309 M. La Rosa, Immateriale, produzione, lavoro, op. cit. p. 26.

310 I knowledege workers rappresentano, attraverso le loro capacità e le loro conoscenze, il bene principale dell’azienda e possono, a differenza dei lavoratori manuali addetti alla manifattura, possedere i mezzi di produzione: “la conoscenza è immagazzinata nelle loro teste e possono quindi portarla con sé, ovunque vadano”, P. F. Drucker, Il grande

cambiamento. Imprese e manager nell’età dell’informazione, Sperling &Kupfer, Milano, 1995.

311 M. Lazzarato, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, Ombre Corte, Verona, 1997, pp. 41- 42.

che era sempre stata considerata come la sfera privata. Aldo Bonomi si esprime in termini di nuda

vita messa al lavoro all’interno della quale non esistono più spazi sociali dove pensare, agire ed

essere313. Nella società globalizzata e mondializzata ognuno è formalmente libero di ricercare e di fare propri i simboli, i significati, le immagini in cui si riconosce meglio; in questo modo, il problema della società post-fordista viene rovesciato: non è la mancanza di senso, ma la sua proliferazione ad essere difficilmente gestibile e una «perdita del passato è ciò che rende sospese le nostre vite»314.

L’economia basata sulla conoscenza non produce solo valore di scambio, ma produce e commercializza prima di tutto senso: senso nel lavoro, senso nel consumo, senso nel ricoprire ruoli assegnati dalle istituzioni sociali. Nel funzionamento della società della conoscenza si costruisce l’esigenza di rispondere a una domanda di senso, soddisfatta con l’offerta di senso data dai lavori, dai consumi e dai ruoli sociali. Molte delle attività svolte dalla collettività non sono finalizzate alla produzione di beni materiali, non possiedono un valore di scambio quantificabile attraverso il loro prezzo, ma hanno un valore invisibile non meno importante di quello visibile. L’esperienza del consumo, così come quella del lavoro, è un’esperienza cognitiva, con valore per il significato assegnatole. Il valore invisibile è, infatti, un valore estetico e comunicativo, non un valore oggettivo riconosciuto da tutti, ma che appartiene solo a chi ne fa esperienza. Attraverso la ricerca di senso di lavoratori, consumatori e produttori, la conoscenza è diventata la forza produttiva principale in tutto il mondo industrializzato, l’unica capace di produrre valore e vantaggi competitivi durevoli. La conoscenza entra a far parte della vita quotidiana, nasce dalla pratica, esplora nuovi bisogni, arricchisce le imprese con nuove idee e nuovi messaggi, influenza le attività di produzione e i consumi315.

Il rapporto materiale-immateriale esplicita il doppio ruolo della conoscenza nei processi produttivi. L’immateriale usa il materiale come punto di partenza; ulteriori trasformazioni cognitive aggiungono valore alle proprietà naturali, al valore d’uso del bene materiale. Nei processi produttivi la conoscenza viene impiegata sia come fattore autonomo sia sotto forma di sapere che appartiene alle persone, incorporato negli oggetti e nei servizi che contribuiscono al risultato produttivo.

La conoscenza diventa quindi allo stesso tempo sia fattore produttivo che prodotto, in altre parole «si produce conoscenza a mezzo di conoscenza»316. Una volta prodotta, la conoscenza non deve soltanto riprodursi ma sopratutto innovarsi, adattarsi, svilupparsi. Il suo consumo non è mai totale, o

313 Cfr. A. Bonomi, Il distretto del piacere, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

314 A. Bonomi, Il trionfo della moltitudine. Forme e conflitti della società che viene, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, p. 23.

315 Cfr.E. Rullani, La fabbrica dell’immateriale. Produrre valore con la conoscenza, op. cit.

316A. Corsani, Produzione di conoscenza e valore nel postfordismo, Intervista a E. Rullani, in http://www.posseweb.net/.

meglio: la conoscenza non è una cosa che si butta via, tutt’al più può definirsi consumata quando risulta superata. Vecchie conoscenze sono sostituite dalle nuove, e re-inventate. Come a dire che a ogni uso la conoscenza si rigenera, arricchendosi attraverso l’esperienza di nuove sfumature, varianti, possibilità e grazie all’apprendimento creativo dell’esperienza altrui. Altra caratteristica importante della conoscenza è quindi quella di non essere mai finita e di non essere mai scarsa, poiché può sempre essere riprodotta nei diversi contesti d’uso317.