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L’esperienza postmoderna

Capitolo 2: L’insostenibile leggerezza dell’industria culturale

2.6 L’esperienza postmoderna

Il Postmoderno225 può essere considerato un paradigma cognitivo indirizzato a definire un’epoca mutevole, frammentaria, caratterizzata da un clima d’incertezza e ambivalenza. Diversificata, caotica, irriverente ed eclettica questa era vede gli individui impegnati nella gestione dell’aumento, almeno potenziale, delle proprie possibilità. Le identità diventano molteplici e le maschere che si indossano nella quotidianità si moltiplicano sfuggendo spesso a precise classificazioni. Fluidità, ambiguità, flessibilità, pragmatismo, multidimensionalità, fusività, localismo, camaleontismo, gioco sono tratti salienti di questo tempo tanto che «a questo infinito di possibilità compresenti, è difficile essere “adeguati”: eccede così la nostra capacità di esperienza e l’eccedenza diventa parte integrante della nostra condizione»226. Eccedenza che investe tutti i campi del vivere umano e riguarda gli ambiti più disparati: l’informazione, i punti di vista, i luoghi di dove si potrebbe andare, le cose che si possono fare e “questo troppo” diventa, per dirla in termini luhmanniani, «l’orizzonte ultimo dei possibili altrimenti»227, superando il principio di non contraddizione. Il problema quindi rispetto

221 Così che diventa piuttosto verosimile trovare nelle dimore di un individuo postmoderno accanto ad oggetti kitsch, oggetti etnici provenienti da viaggi ma anche da negozi specializzati nella vendita di artigianato etnico, insieme a riproduzioni di quadri celebri e classici della letteratura.

222 Contemporaneamente si assiste, secondo i due autori, alla nascita di un sotto proletariato della cultura che non possiede il capitale culturale necessario per accedere ai musei e, quindi, alla conseguente definitiva esclusione delle classi meno abbienti. L’ibridazione, come suggerisce Annalisa Tota, non sarebbe solo “luogo” di citazioni intertestuali o di virtuosismi, giochi e combinazioni dei molteplici codici dell’arte, ma un modo per articolare diversamente i contenuti ideologici delle classi dominanti, un’inedita forma politica dell’esclusione.

223 G. Canclini, Culture ibride. Strategie per entrare e uscire dalla modernità, Guerini, Milano, 1989, p. 32. 224 Cfr. V. Turner, Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, 1986.

225 Il termine postmoderno è stato utilizzato da alcuni architetti americani negli anni ’60 e dall’architettura si è diffuso alla critica dell’arte, alla filosofia e alle scienze sociali. Per un approfondimento sul tema cfr. J. F. Lyotard, La

condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981; M. Featherstone, Cultura del consumo e postmodernismo, Edizioni

Seam, Roma, 1994; P. Donati, Teoria relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1998. 226 P. Jedlowki, Il sapere dell’esperienza, op. cit. p. 107.

all’eccedenza sembra porsi in termini di gestione più che di rimozione. Nell’attuale società dell’informazione, luogo del superamento dei tradizionali modi di produzione così com’era stata preannunciato dai teorici del postindustriale228, la simulazione risulta essere un fattore chiave in grado di far scomparire la differenza tra reale e immaginario, tra realtà fisica e realtà virtuale, tra vero e falso. I modelli di simulazione non sono una copia o una pura replica, ma piuttosto elementi che si fondono con il mondo reale quasi fino a sostituirlo: «il grande evento di questo periodo, il grande trauma, è questa agonia dei referenti forti, l’agonia del reale e del razionale, che introduce ad un’era della simulazione»229. Come palesa lo stesso Jean Baudrillard, la realtà diventa, o meglio può diventare una costante simulazione e questo si rispecchia nel mondo del consumo. Così Georg Ritzer sostiene: «se dovessi scegliere un solo termine che colga l’essenza dei nuovi strumenti di consumo e la loro capacità di trovare spettacoli che incantano, questo sarebbe proprio simulazione»230.

Molte nostre esperienze possono ormai avere ben poco a che fare con la realtà. Bob Venturi, in “In

architettura impariamo da Las Vegas”231, aveva acutamente previsto che questo caso limite della

simulazione sarebbe stato preso come esempio da seguire nei campi più diversi. Disney World diventa il paradigma architettonico delle nuove città americane. La simulazione entra nella stessa vita quotidiana continuamente e il mondo dell’arte, risentendo di questo profondo mutamento, vede secondo Lyotard «l’abbattimento delle frontiere tra arte e vita di ogni giorno, il collasso della distinzione gerarchica tra cultura alta e cultura popolare; una promiscuità stilistica che favorisce l’eclettismo e il miraggio dei codici; la parodia, il pastiche, l’ironia, il gioco e la celebrazione di una superficie della cultura senza profondità»232. Michel Maffesoli nota che gli elementi arcaici si combinano con altri più tradizionali. L’architettura e l’arte manipolano in modo nuovo forme culturali del passato, che vengono de-contestualizzate, riplasmate e modellate fino ad assumere forme ed aspetti, spesso, completamente diversi. È evidente, scrive Chris Jenks, «il miscuglio eclettico di ogni tradizione con quella del più recente passato»233. Il collage, il montaggio è, per Deridda, il modo principale di esprimersi nella postmodernità. Il linguaggio, in quanto strumento per comunicare pensieri e sentimenti, è «la chiave per esplorare i significati»234 ed è per questo che la semiotica, che studia segni e significati, assume sempre maggiore importanza nella nuova era. Nella postmodernità fa il suo ingresso la giocosità, l’anarchia creativa, la spontaneità e la ricerca del

228 Autori quali Daniel Bell e Alain Touraine.

229 J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli, Bologna, 1980, p. 8. 230 G. Ritzer, La religione dei consumi, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 40.

231 R. Venturi, In architettura impariamo da Las Vegas, Cluva, Venezia, 1985. 232 J. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1982, p. 67. 233 C. Jencks, What is Postmodernism? Academy Ed., London, 1989, p. 7.

piacere: «il principio del piacere regna sovrano»235, sostiene il sociologo Colin Campbell che differenzia questo concetto da quello di utilità: il primo è derivato dal bisogno che nasce dalla mancanza, dall’assenza e dalla necessità, a cui si deve sopperire per ristabilire un certo equilibrio. Il bisogno è autoreferenziale e si ha nel momento in cui si vive una condizione di squilibrio psicologico. Il piacere, invece, non mira a restaurare la stabilità o a colmare le carenze e porta alla ricerca di stimoli che genereranno esperienze piacevoli. Il nuovo edonismo si prefigge di accentuare il piacere in tutte le circostanze della vita, è rivolto, però, al piacere del nuovo, inedito, e non al desiderio di ciò che si è sperimentato in passato. Sono l’immaginazione e il fantasmatico ad avere rilievo piuttosto che la fisicità del piacere. Gli aspetti piacevoli vengono ricercati in tutte le esperienze e per Campbell, ciò è dovuto al mutamento fondamentale che ha interessato l’edonismo, per il quale si è passati dalla ricerca del piacere nelle sensazioni, alla ricerca dello stesso nelle emozioni. L’emozione offre all’uomo l’opportunità di godere di uno stimolo prolungato soprattutto quando, «assoggettata al controllo della volontà», amplia la dimensione del piacere; infatti, sostiene Campbell «il segreto dell’edonismo moderno sta proprio nell’abilità di decidere la natura e la forza dei propri sentimenti»236.

Giocosità e ricerca del piacere si ritrovano anche nelle espressioni artistiche. Architetti, pittori e scultori, ricorrono spesso al registro dell’ironia e del divertimento per stupire, stimolare e catturare l’attenzione. I produttori della cultura attingono a piene mani dal passato e ricompongono gli elementi combinandoli in modo nuovo per arricchire il presente. Le trasmigrazioni dei testi diventano frequenti e danno vita a opere nuove. Inoltre, come scrive Lorenzo Taiuti, le avanguardie e i codici delle comunicazioni di massa s’influenzano reciprocamente237. Si ricorre, sempre più spesso, a spunti che provengono da altri ambiti: un esempio può essere l’ispirazione che alcuni musei traggono dai parchi a tema - di cui l’entertainment rappresenta la raison d’ệtre – per cui «Le stesse imprese sembrano avere appreso la lezione e stanno delegando a questa nuova tipologia di parchi la rivisitazione dei tradizionali musei aziendali»238.

A caratterizzare la postmodernità sono il pastiche e il patchwork, la spettacolarizzazione fa il suo ingresso trionfale in questa era e, come sottolinea Jeremy Rifkin, «obiettivo dell’attività umana diviene la fruizione a pagamento di esperienze culturali. Nell’era dell’accesso, fabbricare cose, scambiare e accumulare proprietà è secondario rispetto a costruire scenari, raccontare storie e mettere in atto le nostre fantasie»239. Il mondo, secondo Baudrillard, si è trasformato in

235 Ibidem.

236 C. Campbell, L’Etica romantica e lo spirito del consumismo moderno, Edizioni Lavoro, Roma, 1992, pp. 109-110. 237 Questa influenza viene definita dall’autore con il concetto di “culture di confine”, cfr. L. Taiuti, Arte e media.

Avanguardie e comunicazione di massa, Costa & Nolan, Milano, 1997.

238 V. Codeluppi,Lo spettacolo della merce, op. cit. p. 376. 239 J. Rifkin, L’era dell’accesso, op. cit. p. 263.

palcoscenico e le esperienze in simulazioni grazie alle trasformazioni tecnologiche della comunicazione e del commercio. Distinguere realtà e illusione è diventato difficilissimo perché viene considerata reale l’esperienza “più potente”, che tende sempre più a coincidere con la simulazione. Viviamo nel mondo immaginario dello schermo, delle interfacce grafiche e delle reti, ed è come se già vivessimo in un’allucinazione “estetica”della realtà240. Viviamo in una specie di iperspazio al di là della normatività e della classificazione, tanto che ogni tentativo di analisi di classe alla maniera di Pierre Bourdieu è destinato al fallimento, in quanto questa forma di analisi è applicabile ad un sistema ormai superato.

La mercificazione del tempo, della cultura e delle esperienze è il tratto distintivo di un’era in cui gli individui sono alla costante ricerca di nuove esperienze da vivere. Individui proteiformi, appartenenti a una generazione «che si percepisce come composta da “interpreti creativi”che si muovono con disinvoltura fra trame e palcoscenici, recitando le diverse rappresentazioni messe in scena dal mercato culturale»241, ai quali è offerta la possibilità di vivere molteplici e diversificate

sensazioni ed esperienze culturali. Nel postmodernismo, secondo Frederic Jameson, assistiamo non solo alla trasformazione della realtà in immagini, ma alla frammentazione del tempo in una serie di presenti perpetui. L’esperienza si muta così in «una serie di tempi presenti puri e non collegati» e la stessa esperienza del presente «diventa vivida e “materiale”in modo possente, travolgente: il mondo si presenta allo schizofrenico con maggiore intensità, portando una carica misteriosa e oppressiva di affetto, splendente di energia allucinatoria»242. Lo spettacolo e l’immagine, in quanto percepiti come presenti puri e non collegati, scatenano nello spettatore sentimenti (gioia o dolore) di un’intensità inedita, più forte e travolgente. Questa ricerca di un impatto istantaneo insieme alla perdita della temporalità conduce inevitabilmente, secondo Jameson, alla “perdita di profondità” e alla “superficialità” di gran parte della produzione culturale contemporanea, palesemente ossessionata dall’apparenza. «Il postmodernismo, che viene teorizzato ed espresso in pratiche intellettuali e artistiche, può essere visto come un indice o un precursore di una più ampia cultura postmoderna, un più largo insieme di mutamenti nella produzione, consumo e circolazione di merci e abitudini culturali»243.

240 Cfr. J. Baudrillard, Simulations, Semiotexte, New York, 1983. 241J. Rifkin, L’era dell’accesso, op. cit. p. 268.

242 F. Jameson, Postmodernism, or the cultural logic of late capitalism, “New Left Review”, in D. Harvey, La crisi della

modernità, il Saggiatore, Milano, 1997, p. 75.