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Cultura e società: un rapporto difficile

L’intento di questo paragrafo è quello di tratteggiare lo sviluppo dei filoni teorici che, intorno agli anni ‘60, in ambito filosofico e sociologico, hanno posto l’accento sulla connessione dinamica tra le interazioni sociali e le forme culturali91. Sottolineare questo passaggio ci sembra piuttosto importante per approdare cronologicamente alla tendenza che, negli anni Ottanta, arriva a considerare la cultura come «un insieme variegato di modi di fare, di procedure, di rituali cui attingere, di volta in volta, a seconda delle esigenze poste dalle diverse strategie collegate con le situazioni sociali concrete»92.

Sono la filosofia fenomenologica di Edmund Husserl93, insieme alla filosofia ermeneutica di Martin Heidegger e di Hans Georg Gadamer, a costituire l’humus culturale preparatorio per lo sviluppo di teorie sociologiche in dissenso con la tradizione ufficiale. Il fondatore della fenomenologia, basandosi sulla costruzione della realtà sociale e culturale, vede gli individui, nel loro rapporto con le condizioni materiali e sociali, svolgere una funzione attiva di produzione del mondo in cui vivono. Altrettanto importante è stato il concetto fondamentale dell’essere - nel mondo, un mondo di significati pre-costituito trasmesso attraverso il linguaggio e la tradizione culturale che anticipa la presa di coscienza dei soggetti e la costruzione della realtà, per cui ogni conoscenza può dirsi

90 C. Geertz, Antropologia interpretativa, op. cit. p. 107. 91 Cfr. F. Crespi, Manuele di sociologia della cultura, op. cit. 92 F. Crespi, Manuale di sociologia della cultura, op. cit., p.78.

un’interpretazione e la stessa realtà appare frutto di uno scambio comunicativo tra interpretazioni diverse94. L’interazionismo simbolico di George Herbert Mead95 si sviluppa in linea con questo pensiero. L’analisi dello studioso statunitense, volta a indagare le connessioni tra cultura e agire, comincia dall’interazione tra individui, possibile grazie alla comunicazione simbolica, alla mediazione del linguaggio, ai significati e ai simboli condivisi. L’ordine simbolico costituito (una cultura) di una data società o di uno stesso gruppo sociale nasce come ambito comune di significati per tutti gli individui che vi partecipano e che vi fanno riferimento96. Partendo dalla costruzione della realtà sociale e concentrandosi sempre sul rapporto tra azione sociale e cultura, Alfred Schutz97 considera quest’ultima come un fenomeno di oggettivazione e di generalizzazione di significati socialmente condivisi che incidono sulla coscienza, orientano l’agire e le relazioni intersoggettive alla base del mondo sociale. Gli individui, nascendo all’interno di un mondo sociale già formato, hanno a disposizione un ambiente comune (il mondo della vita di Husserl) che rende possibili le relazioni sociali, sulla base di tipizzazioni dell’agire, assimilate attraverso il linguaggio. La teorizzazione di Schutz è ai fini del nostro discorso particolarmente importante perché considera la cultura - e il suo rapporto con le interazioni comunicative - una componente dominante nella costruzione della realtà sociale e nella determinazione dell’agire. Anche l’etnometodologia98 contribuisce al passaggio graduale di concezione che interessa la cultura: da un’idea di sistema integrato, stabile e coerente la cultura si evolve in un insieme di modelli e di criteri normativi che vengono, di volta in volta, colti e utilizzati nei contesti sociali specifici.

Il cambio di prospettiva riguardo la concettualizzazione della cultura rispecchia lo spostamento d’attenzione dell’analisi sociologica nei confronti di una realtà che non si considera più come data, stabile e immutabile, ma come prodotto dell’attività di interpretazione, definizione, spiegazione, circolanti nei processi di comunicazione che si realizzano nell’interazione sociale. Negli anni Ottanta Niklas Luhmann arricchisce la visione di cultura fino a qui tratteggiata sottolineandone la funzione di riduzione della complessità. Il sociologo tedesco ci porta a valutare e osservare la cultura non più come sistema ma come «forma di mediazione che entra costitutivamente in tutti i complessi rapporti sia interni che esterni, dei sistemi psichici e dei sistemi sociali, nei loro processi di costante autoproduzione e autoreferenzialità»99. In questo modo il concetto acquisisce, all’interno dell’interdipendenza circolare tra azione e mediazione culturale, un carattere dinamico nella

94 Cfr. H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983. 95 Cfr. G. H. Mead, Mente, sé e società, Giunti e Barbera, Firenze, 1966.

96 L’individuo non perde però la sua capacità di riflessione e di pensiero per dare vita a nuove forme di comunicazione simbolica e quindi a nuove forme di ordine simbolico. Cfr. G. H. Mead, Mente, sé e società, op. cit.

97 Cfr. A. Scutz, La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino, Bologna, 1974.

98 Harold Garfinkel attraverso lo studio dei patrimoni di senso comune “usati” dagli individui per definire e determinare praticamente la loro realtà sociale, considera la cultura come linguaggio, insieme di regole e di procedure codificate, costitutivo dei rapporti sociali e delle stesse personalità individuali dalle quali viene continuamente attualizzato.

formazione dei significati simbolici. Secondo la teoria sistemica di Luhmann, a livello societario, le forme culturali sono maggiormente strutturate e costituiscono un riferimento essenziale per l’esperienza che prende corpo sul livello dei rapporti quotidiani; diversamente, a livello di questi ultimi, ovvero a livello dell’interazione, le forme di mediazione culturale appaiono assai meno codificate tanto da poter dare luogo a processi di trasformazione delle oggettivazioni culturali del sistema sociale100.

La teoria della strutturazione di Anthony Giddens101 fornisce un’interpretazione circolare del rapporto tra cultura e azione102, dove vengono considerati sia l’elemento attivo proveniente dall’esperienza degli attori sociali, sia le dimensioni di routinizzazione e strutturazione che influenzano i comportamenti individuali e collettivi. La costruzione di un paradigma che si pone a una certa distanza da un modello sociologico di tipo volontaristico e da un modello di tipo deterministico permette allo studioso di compattare insieme azione e struttura. Così che il carattere della struttura si presenta duale e, una volta riconosciuto, le offre al contempo la possibilità di essere determinante l’azione e determinata dall’azione stessa; la struttura diventa un codice linguistico che pone vincoli all’agire ma che lo rende possibile. Le strutture, secondo l’autore, esistono nel momento in cui gli attori le mettono in pratica; in questo modo l’impostazione di Giddens ignora il condizionamento strutturale. Con le parole di Franco Crespi «Gli attori sociali non solo ‘riproducono’ le pratiche culturalmente codificate, ma ‘producono’ contemporaneamente il sistema, utilizzando consapevolmente, nelle situazioni concrete, le regole e le risorse culturali e materiali per creare e ricreare la realtà sociale […] in questo modo l’insieme dei prodotti e delle regole culturali, viene considerato come risorsa, cui gli attori sociali attingono sia automaticamente (routines), sia per rispondere in maniera creativa ad eventi imprevisti […] le strutture come insieme di regole e risorse, sono al tempo stesso, un mezzo dell’azione e un risultato, che condiziona l’agire stesso»103. Margareth Archer dedica la sua fondamentale opera “La morfogenesi della società” al problema centrale del rapporto tra struttura e agire. La teoria morfogenetica alla base del lavoro della Archer può considerarsi una teoria sociologica della cultura equidistante dalle tendenze unidimensionali che attribuiscono una preminenza ora alla dimensione dell’azione e dell’interazione, ora a quella della cultura. L’autrice sostiene che il livello dei due piani – della struttura e dell’agire – siano

100 Cfr. N. Luhmann, R. De Giorgi, Teoria della società, FrancoAngeli, Milano, 1992.

101 Cfr. A. Giddens, La costituzione della società: lineamenti di teoria della strutturazione, Ed. di comunità, Milano, 1990.

102 Lo stesso Pierre Bourdieu nonostante finisca con il riconoscere un predominio di fondo delle strutture sociali oggettive, riflesso della divisione in classi, rispetto all’ordine simbolico, si inserisce nel discorso dell’interdipendenza reciproca tra soggetto (e quindi azione) e insieme oggettivato (e quindi cultura). Egli avanza l’ipotesi che l’agire non è una pura reazione meccanica dettata da norme, né il risultato delle singole intenzioni coscienti degli attori sociali, per cui il punto d’incontro tra agire e cultura deve essere ricercato nel concetto di habitus, disposizioni durevoli strutturate e strutturanti, configurazioni culturali che danno luogo a particolari stili di vita. Cfr. P. Bourdieu, La distinzione: critica

sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 1983.

irriducibili l’uno all’altro, tanto da dover essere tenuti analiticamente distinti anche se strettamente connessi e comunque necessari allo studio della cultura. Le due dimensioni (dell’azione e della cultura) vengono mantenute distinte attraverso l’uso di un artificio metodologico, introducendo i concetti di sistema culturale e di integrazione socio-culturale. Per sistema culturale si deve intendere l’insieme di verità e falsità condivise dagli attori sociali di una determinata società, in un dato momento storico, quindi tutte quelle proposizioni e formulazioni culturali oggettivate nel tempo che non esauriscono l’insieme dei significati disponibili. La dimensione dell’integrazione socio- culturale è invece da intendersi come quella delle interazioni sociali tra individui e gruppi, mediate dai molteplici ambiti di significato. Questa distinzione, oltre a evitare la confusione tra struttura e cultura, nasce dalla convinzione che cultura e azione operino secondo sequenze temporali diverse (mediante processi di morfogenesi, da cui possono scaturire cambiamenti innovativi e processi di morfostasi, che invece tendono alla conservazione dell’ordine costituito). In questo modo il rapporto fra azione e struttura è concepito in termini circolari: il sistema culturale anticipa l’azione socio-culturale, mentre quest’ultima anticipa le condizioni che daranno luogo a trasformazioni del sistema culturale. Tutti nasciamo all’interno di un dato sistema culturale, che ci condiziona, ma nello stesso tempo siamo provvisti di un’essenziale capacità riflessiva, di un’essenziale capacità di distanziamento, per reagire ai condizionamenti e sviluppare creativamente nuove possibilità presenti nel contesto sociale cui apparteniamo104. Una concezione eccessivamente unitaria del termine cultura, come Margareth Archer cerca di sottolineare con forza, produce due tipi di errori: da una parte, l’imposizione di una uniformità fittizia a ciò che é difforme, contraddittorio, variegato; dall’altra, i due livelli del sistema e degli attori, delle idee e dei soggetti che sostengono, promuovono, modificano tali idee risultano indistinti. Tutto ciò comporta la mistificazione della cultura (imposizione di unità estrinseca), la riduzione della cultura alla sua funzione (integrazione, mantenimento dell’ordine sociale), lo schiacciamento dei soggetti da parte del sistema, nonché l’annullamento del potenziale innovativo degli attori. Riconoscere questi tipi di errori porta alla consapevolezza che con cultura s’intende un fenomeno complesso e non necessariamente coerente, con tutte le implicazioni che ne conseguono in termini di capacità di creare unità e consenso sociale.