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Il museo modello: il Beaubourg

Capitolo 5 I luoghi della cultura: i muse

5.3 Il museo modello: il Beaubourg

Il processo di crescente diffusione della cultura di consumo all’interno del museo che Jean Baudrillard ha definito “effetto Beaubourg” è esemplificato dal centro culturale George Pompidou, detto “Beaubourg” dal nome del quartiere in cui si trova. Sull’onda della corsa alla costruzione di musei propria della metà degli anni Settanta a Parigi, Renzo Piano e Richard Rogers crearono

711 G. Mezzetti, Non solo musei, in A. Breschi, (a cura di), Museinonsolo, Alinea Editrice s.r.l., Firenze, 2005, p.13. 712 Ivi, p. 17.

questo edificio. La sua realizzazione fece pensare a molti «che la stagione della tipologia museale di derivazione ottocentesca, espressiva e monumentale, fosse ormai esaurita e che quel parallelepipedo, così irriverente nei confronti del contesto ma al tempo stesso così precario nella sua consistenza morfologica, potesse dare il via ad un nuovo modo di concepire il museo»714. Esso fu costruito - utilizzando un’estetica del provvisorio e del folklore tecnologico - con l’idea di realizzare qualcosa di diverso rispetto ai musei concepiti fino ad allora, visti come templi della cultura o monumenti. Il suo design fuori scala sconvolgeva una tipologia consolidata e, in qualche modo, l’intera struttura urbana. «Quando venne concepito Beaubourg agli inizi degli anni ’70, al museo non ci andava nessuno. I musei erano un’istituzione triste, polverosa, esoterica, e venivano percepiti come politicamente non corretti, fatti per l’élite… il tono irriverente del Beaubourg nacque in questa situazione… il bando di gara suggeriva di uscire dalle frontiere tipiche del museo. Parlava di cultura ma anche di multifunzionalità; di arte ma anche d’informazione; di musica, ma anche di disegno industriale»715. Pur non essendo esattamente come lo avevano inizialmente immaginato i

suoi creatori, che avrebbero voluto fosse un simbolo di aggressione urbana e un monumento iconoclasta, resta intatto il suo anticonformismo ed esso conserva ancora la sua diversità. Diventato una «gioiosa macchina polivalente, un manufatto cordiale, godibile, totalizzante, una nuova “popolare”cattedrale del consumo e del tempo libero»716, è l’archetipo di una innovativa tipologia museale che non ha paura di sperimentare nuove forme e contenuti. Le nuove soluzioni e forme architettoniche hanno da allora perso ogni contatto con i contenuti tradizionali del museo. Si tratta quindi di un museo di rottura: Vanni Codeluppi scrive che il Beaubourg «ha rappresentato la prima presa di coscienza ufficiale da parte del mondo dei musei che il concetto di opera d’arte in forma di quadro, di opera conchiusa in se stessa era andato definitivamente in crisi e che era perciò necessario realizzare dei contenitori flessibili, in grado di contenere le molteplici forme assunte dalle opere d’arte contemporanee»717. Il centro con i suoi ampi spazi neutri e modulabili sarebbe stata una risposta a questa esigenza.

La consapevolezza che l’arte è diventata un aspetto diffuso di tutta l’esperienza e che le nuove modalità espressive dell’arte contemporanea possono essere operazioni di liberazione da possibili contenitori sia fisici che concettuali, spingono il museo ad assumere funzioni pertinenti in origine ad altri ambiti. Svolge funzioni che prima erano proprie delle gallerie, dei laboratori e degli archivi ma anche delle scuole, del festival e dello shopping center718. «Monumento ai giochi di simulazione

714 A. Breschi, Museinonsolo, Alinea Editrice s.r.l., Firenze, 2005, p. 6.

715 R. Piano, Giornale di Bordo, in G. Mezzetti, Non solo musei, in A. Breschi (a cura di), Museinonsolo, op. cit. p. 16. 716 A. Breschi, Museinonsolo, op. cit. p. 7.

717 V. Codeluppi, Lo spettacolo della merce, op. cit. p. 140.

718 Questo processo, che abbiamo visto essere vissuto contemporaneamente da altre istituzioni, fa cadere le barriere fra loro e annulla, sempre più spesso, le categorizzazioni tradizionali. Questo si rispecchia in un’architettura che non

di massa, il centro funziona come un inceneritore che assorbe e divora tutta l’energia culturale: un po’ come il monolito nero di 2001, convenzione insensata di tutti i contenuti, che qui si sono materializzati, assorbiti, annientati»719. Secondo Baudrillard, il museo Beaubourg è copia del modello ipermercato e attrae le masse in base allo stesso principio: «La gente vuole accettare ogni cosa, mangiare ogni cosa, toccare ogni cosa. Guardare, decifrare, studiare non presenta attrattive. L’unico effetto di massa è quello del tatto, della manipolazione. Gli organizzatori (e gli artisti e gli intellettuali) sono allarmati da questo impulso incontrollabile, perché essi contavano soltanto sull’apprendistato delle masse nei confronti dello spettacolo della cultura. Non hanno mai percepito in anticipo questa fascinazione attiva e distruttiva, questa risposta originale e brutale al dono di una cultura incomprensibile, quest’attrazione che ha tutta l’apparenza di uno scassinamento o del saccheggio di un santuario»720. Inoltre, questo “ipermercato della cultura ”è «il modello di qualsiasi forma futura di socializzazione controllata»721. Esso è, secondo l’autore, «a livello della cultura, quel che è l’ipermercato a livello della merce: l’operatore circolare perfetto, la dimostrazione di qualsiasi cosa (la merce, la cultura, la folla, l’aria compressa) attraverso la sua circolazione

accelerata»722.

Denunciando la morte della cultura, la sua implosione e la sua iperrealtà, rappresentata dallo stesso centro Pompidou, l’autore continua proclamando questo assioma: «Beaubourg è un monumento di

dissuasione culturale. Dietro uno scenario da museo, che serve solo a salvare la finzione umanistica

della cultura vi si compie, in realtà, un vero e proprio lavoro di morte della cultura; e le masse sono gioiosamente invitate a un vero e proprio lavoro di lutto culturale. Ed esse vi si riversano. Questa è l’ironia suprema di Beaubourg: le masse vi si riversano non perché spasimino per questa cultura dalla quale sarebbero state frustrate per secoli, ma perché hanno per la prima volta, l’occasione di partecipare massicciamente all’immenso lavoro di lutto di una cultura che esse, in fondo, hanno sempre detestato»723. Il successo enorme del Centre lo ha costretto a chiudere tra il 1997 e il 2000 per effettuare restauri urgenti. Un afflusso di oltre 30.000 persone rischiava di far crollare la struttura. Abbandonando la visione apocalittica di Baudrillard, ridimensionando la sua critica, all’orizzonte si profila però una problematica relativa alla conservazione degli oggetti d’arte o dei musei stessi che un afflusso così massiccio potrebbe distruggere. La possibilità di un’eccessiva spettacolarizzazione, che potrebbe portare a cercare il consenso del pubblico senza preoccuparsi di

risponde più a una logica di necessità funzionale (implicante la corrispondenza fra l’architettura e le diverse istituzioni) ma piuttosto a pure esigenze estetiche.

719 J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli Editore, Bologna, 1980, p. 14.

720 J.Baudrillard, The Beaubourg Effect:Implosion and Deterrence, October 20, 1982, p. 10. 721 J. Baudrillard, Simulacri e impostura, op. cit. p. 22.

722 Ivi, p. 24. 723 Ivi, p. 20.

altrettanti aspetti importanti come la funzione educativa e culturale del museo, è latente. Il Centre Pompidou ha costituito comunque una cesura a partire dalla quale il museo muta i propri tratti. Esso si caratterizza, oggi, per la complessità e compresenza di molteplici attività al suo interno. I musei sono sempre più delle cittadelle della cultura, anzi a volte sarebbe più corretto parlare di cittadelle del divertimento e dello spettacolo. Non solo si struttura come «qualcosa d’altro rispetto al suo contenuto» assumendo le caratteristiche proprie del «contenitore urbano, ovvero di un organismo indifferente al tradizionale rapporto forma - funzione»724 ma le attività che svolge sono molteplici e variabili nel tempo. Vi troviamo sale conferenze, punti per le informazioni, spazi commerciali e luoghi di ristoro, biblioteche, vi si svolgono eventi di vario genere, e cosa più importante si ha «un foyer d’ingresso, un amplissima zona d’accoglienza, una sorta di piazza climatizzata, senza particolari funzionalità specifiche, che ha il compito di richiamare, in una sorta di happening collettivo, un pubblico eterogeneo, poco interessato agli aspetti della conoscenza, della memoria e del valore dell’arte, e più disponibile al divertimento, allo svago, ad un arricchimento dell’esperienza personale che non imponga il faticoso percorso dell’apprendimento»725. Questi

nuovi contenitori dell’arte, proprio grazie a questa libertà di consumo e movimento, assumono un ruolo urbano. Essi tendono a rappresentare «una nuova spazialità pubblica che si colloca tra la dimensione della piazza o della strada coperta e la cattedrale, come luogo generatore di valore e come tale portatore di una nuova possibile sacralità»726. Luoghi di partecipazione e non solo di ricezione passiva dove si espleta un libero e giocoso consumo dell’evento artistico ma che, ovviamente, conservano delle specificità che li collegano alle tipologie del passato.