Capitolo 4: I luoghi di consumo
4.4 L’immagine dello “shopping” – lo “shopping” di immagine
Lungo il corso del Quattrocento, l’economia di tipo protezionistico della corporazione medievale iniziò a sfaldarsi, sostituita da un’economia che cominciò a gravitare su un commercio di tipo internazionale. La disponibilità di un’ampia gamma di beni provenienti dai vari mercati europei, garantita da uno sviluppo crescente dei mezzi di trasporto, ha dato origine a quella che è stata definita rivoluzione commerciale, ed è a questa rivoluzione del XV e XVI secolo che la maggior parte degli storici dell’economia fa risalire la nascita del consumo come pratica che incide sostanzialmente sulla struttura economica e culturale della società e della nuova figura del mercante-imprenditore. Diversi sono gli studiosi che ritengono sia necessario fare riferimento al periodo rinascimentale e barocco per poter rintracciare i prodromi dello shopping539.
La formazione delle grandi Corti principesche in Italia e in Francia540 sul finire del Medioevo, rappresenta sicuramente la testimonianza della nascita di una nuova ricchezza, contrapposta a quella feudale, che porta a radicali cambiamenti nella struttura della vecchia società.
Grant McCracken541 riconduce l’origine del desiderio di consumare ai tempi della Corte di Elisabetta I d’Inghilterra e al tentativo compiuto da quest’ultima di centralizzare il governo del suo reame. Attraverso l’opulenza e la magnificenza del cerimoniale di corte, la regina riuscì ad affermare il proprio potere, ed esigendo che i nobili fossero presenti a corte li spinse inevitabilmente a una gara per farsi notare, con il risultato che i consumi divennero un modo ideale di attrarre
538 M. Featherstone, Cultura del consumo e postmodernismo, op. cit. p. 116.
539 Cfr. V. Codeluppi, Lo spettacolo della merce, op. cit.; T. Hine, Lo voglio!Perché siamo diventati schiavi dello
shopping, op. cit.; Grant McCracken, Culture and consumption. New Approaches to the Symbolic Character of Consumer Goods and Activities, Indiana UP, 1988.
540 Le circostanze più idonee alla formazione della vita di corte presero sviluppo in Italia: la decadenza dell’istituto cavalleresco, l’esodo dalle campagne e l’urbanizzazione della mobilità, la rinascita delle arti e delle scienze, la formazione dello Stato Assoluto. Ma la nazione che venne presa a modello dalle alte corti europee fu la Francia di Francesco I; infatti la prima corte “moderna” nacque ad Avignone e raggiunse poi la massima mondanità nella Roma dei papi del Rinascimento. Cfr. W. Sombart, Lusso e capitalismo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1982.
541 Cfr. G. McCracken, Culture and consumption. New Approaches to the Symbolic Character of Consumer Goods and
l’attenzione. Thomas Hine scrive: «Tutto dipende ovviamente, da quanto è restrittiva la definizione di shopping, ma sembra palese che almeno in alcune città europee del XVI secolo si potessero vedere i primi abbozzi di acquistosfera: essi non furono pratiche di commercio al dettaglio, quanto di un cambiamento nel modo in cui la gente immaginava se stessa e la società di cui faceva parte»542. L’autore prosegue raccontando di come a Londra l’importanza pubblica dello shopping si fosse sviluppata fin da prima del regno di Elisabetta; nel 1567 infatti Sir Thomas Gresham inaugurò il Royal Exchange, l’attuale borsa londinese, con l’intento di creare un luogo dove i mercanti esteri potessero svolgere attività di compravendita. Nonostante questo spazio non assunse mai l’importanza che Gresham aveva immaginato, rimase per più di un secolo un luogo strategico per la società londinese di quel tempo.
Nel Cinquecento la frattura politica ed economica tra città e campagna era ormai dissolta: i mercanti provvisti di capitale avevano installato le loro officine oltre i limiti degli antichi agglomerati sia per sfuggire alle tariffe della città, sia per l’esigenza di spazi più ampi per l’immagazzinamento. L’abbattimento delle mura della città medievale permise un’incontrollata espansione e dispersione della città e un’intensificazione del ritmo della trasformazione urbana accelerata in cui prese parte cospicua la diffusione sempre maggiore dei trasporti. L’organizzazione dello spazio associato al tempo e al movimento trionfò durante il periodo barocco.
In netta contraddizione con la città medievale in cui i luoghi di raduno come le strade e le piazze del mercato avvicinavano i ceti e le classi sociali, il corso dell’età barocca era destinato al ricco viaggiatore mentre il povero pedone veniva emarginato sul marciapiede a contemplare le sfilate dei potenti. La strada nella nascente città commerciale sostituì sia le piazze chiuse al traffico della città medievale che la piazza aperta e il parco dell’ordine barocco. Il rapido incremento demografico registrato a partire dal secolo XVI, sul finire del XVIII fece diventare città come Londra e Parigi metropoli con centinaia di migliaia di abitanti, la maggior parte dei quali essenzialmente “consumatori”, al contrario dei piccoli centri in cui rimase un’alta concentrazione di produttori, commercianti ed industriali. Nelle città più importanti, presso le Corti e nei grandi potentati nobiliari, si sviluppò un artigianato di lusso praticato in botteghe specializzate; la frequentazione di queste botteghe era riservata a quell’élite sociale che cercava di legittimare il proprio potere anche attraverso il consumo di beni di lusso543.
Il commercio in questo periodo attuò una sorta di sdoppiamento: uno dedicato al popolo e l’altro a disposizione dell’élite sociale rappresentata da gruppi egemoni.
542 T. Hine, Lo voglio!Perché siamo diventati schiavi dello shopping, op. cit. p. 90. Per il concetto di acquistosfera rimandiamo al capitolo 6 paragrafo 6.3.2.
543 Cfr. V. Codeluppi, Lo spettacolo della merce, op. cit.; T. Hine, Lo voglio!Perché siamo diventati schiavi dello
Lo storico ed economista tedesco Werner Sombart, volendo indagare le basi storico-sociali della formazione del capitalismo, rivolge particolare attenzione alla formazione della ricchezza borghese, alla nuova configurazione dei bisogni, al reclutamento delle forze lavorative e alla formazione dell’imprenditorialità, tutte tappe fondamentali in grado di restituirci il quadro di istituzione del sistema economico capitalistico544. Ragionando sulla formazione delle nuove esigenze di consumo, l’autore si concentra sul concetto di lusso545, costituito da due aspetti distinti ma congiunti: il lusso quantitativo che equivale allo spreco e il lusso qualitativo che corrisponde al consumo di beni di classe superiore. L’esigenza di lusso non è altro che l’esigenza di un livello di raffinatezza che supera la media corrente in un determinato stato di cultura e «i beni che servono a soddisfarla si chiamano beni di lusso o oggetti di lusso in senso stretto»546.
I tratti distintivi del lusso nel primo periodo capitalistico possono definirsi, secondo Sombart, di carattere privato (contrapposti al lusso pubblico del Medioevo), intimo e domestico; inoltre il lusso ostenta e manifesta una certa grandiosità attraverso il rapido consumo di beni e la loro riproduzione. Lo sviluppo del lusso nelle città si è così espresso attraverso la creazione di nuove possibilità di vita sociale, di divertimento e d’impiego del tempo libero, generando a sua volta nuove forme di lusso. L’esigenza di locali di divertimento e di luoghi d’incontro e di svago dove spendere le proprie ricchezze si diffuse all’interno del tessuto urbano; le prime eleganti music-halls londinesi attirarono l’ammirazione dei cittadini e degli stranieri così come i raffinati ristoranti e i salotti privati costituirono il vanto di Parigi e di Londra durante il XVIII secolo. Ma furono i negozi i luoghi in cui il lusso venne celebrato in tutta la sua magnificenza. Gli arredi e le decorazioni estremamente curati esprimevano il tentativo di dimostrare la finezza dei gestori e dei proprietari e di rispecchiare le esigenze di gusto estetico dei clienti illustri547. L’influenza del lusso si diffuse con virulenza nel commercio al minuto sempre più preoccupato di soddisfare le richieste di una clientela esigente. I “brillanti spettacoli”- così li definiva Voltaire - nei quali venivano venduti bijoux frivoles, articoli di qualità e ornamenti preziosi cominciarono a riunire la merce secondo la propria finalità divenendo sempre più settoriali. A Londra botteghe di tappezzeria diventarono negozi di mobili ed accessori per l’arredamento mentre a Parigi nacquero grandi magazzini di tappezzeria gestiti da ricchi commercianti che ampliarono sempre più la loro base capitalistica. Inoltre, all’interno dei grandi negozi di articoli di lusso, il rapporto fra il commerciante e la clientela cominciò a oggettivarsi; questo processo di oggettivazione insieme alla natura “lussuosa” delle merci e alle esigenze di una
544 W. Sombart, Il borghese, Milano, Longanesi e C., 1950.
545 Definito da Sombart come “Ogni dispendio che vada oltre il necessario”, in Il borghese, op. cit. p. 86. 546 Ibidem.
547 Un turista francese nel 1663 scriveva “Non vi è altra città al mondo che abbia negozi così numerosi e raffinati… Essi sono più ampi e hanno decorazioni di valore pari a quelle di un teatro”, in T. Hine, Lo voglio! Perché siamo diventati
clientela illustre, presero parte attiva nello sviluppo del capitalismo all’interno del commercio al minuto.
L’avvento del capitalismo non eliminò del tutto alcune vecchie forme di mercato le quali sopravvissero nei rioni con popolazione piccolo borghese di Parigi; qui il legame alle tradizioni medievali portava i grandi magazzini ad aprire banchi sulla strada; ma facendo eccezione per i quartieri poveri, la nuova pianta urbana non lasciò spazio alla piazza del mercato. Tra la strada, sempre più frequentata da una clientela più spesso anonima e frettolosa, e il negozio aperto con il laboratorio nel retrobottega venne a interporsi la vetrina, nuova tecnologia caratterizzante, vettore di una nuova modalità di rapporto con il mondo548. La vetrina fu il palcoscenico della merce che la nascente società industriale mise in scena per mostrare al suo nuovo pubblico di massa se stessa e i sui prodotti. All’inizio costruite da lastre di piccole dimensioni unite tra loro, le primitive vetrine
apparvero nel Settecento sostituite nel 1902 dalla realizzazione di estese lastre di vetro.
Durante il XIX secolo, i cambiamenti sostanziali nei comportamenti d’acquisto, influenzati dall’avvento della produzione di massa, comportarono il passaggio dalla formulazione dei bisogni prima espressi dal cliente, alla induzione dei desideri attraverso gli apparati pubblicitari.
È in questo contesto che la vetrina trovò la sua ragione d’essere, come «dispositivo di messa in scena dei prodotti commerciali concepito per aggredire ipodermicamente un soggetto ormai massificato, per obnubilarne i sensi, per conculcarne l’autonomia»549. Da allora quella barriera trasparente che divideva il consumatore dalla merce non ha fatto altro che sollecitare nuovi modelli di consumo riempiendoli di suggestioni e risonanze romantiche: l’oggetto del sogno e del desiderio appare a portata di mano pur essendo “intoccabile”, il suo consumo avviene nell’immaginario del passante che è abituato a contemplare le vetrine senza specifiche intenzioni d’acquisto, ma per pura
rêverie mitopoietica550. Nella visione di Secondulfo551, il vetro della vetrina rappresenta, simbolicamente, la contraddizione tra la disponibilità astratta e l’irraggiungibilità dei due modi di essere del bene di consumo, come valore d’uso (contenuto materiale dei beni) e valore di scambio
548 Cfr. V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati-Boringhieri, Torino, 2007. Il concetto di vetrinizzazione rappresenta un vorticoso processo di sconfinamento della logica espositiva della cornice circoscritta della vetrina che va a investire i principali ambiti delle società occidentali consentendo di interpretare in modo unitario numerosi fenomeni sociali. Si tratta di quel processo di progressiva spettacolarizzazione e valorizzazione che negli ultimi due secoli ha coinvolto - secondo l’autore - gli affetti, la sessualità, il corpo, l’attività sportiva, i media, il tempo libero, i luoghi del consumo, gli spazi urbani e persino le pratiche relative alla morte. La comparsa nel Settecento della vetrina, che metteva in scena e valorizzava oggetti in precedenza inerti e passivi, ha posto l’individuo nella condizione di interpretare il loro linguaggio senza l’aiuto del venditore spostando l’attenzione sulla comunicazione visiva. Sul concetto di vetrinizzazione sociale si veda il cap. 6 paragrafo 6.3.2.
549 D. Borrelli, “Insegne e vetrine”, in A. Abruzzese, F. Colombo (a cura di), Dizionario della Pubblicità, Zanichelli, 1994, p. 232.
550 Su questo punto cfr. anche C. Campbell, L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno, Edizioni Lavoro, Roma, 1987.
551 D. Secondulfo, La danza delle cose. La funzione comunicativa dei beni nella società post-industriale, Milano, Angeli, 1990.
(forma sociale astratta)552. L’esposizione della merce, la cui visibilità era enfatizzata da altre forme di abbellimento – «vetrine di cristallo, specchiere, lanterne dorate, candelieri, colonne scolpite ecc.»553- divenne un sistema che contribuì a incrementare il ritmo delle vendite, grazie all’allettamento visivo del cliente. Lo spostamento della vendita dei prodotti all’interno del negozio non fece che esaltare il protagonismo della merce e della vetrina, dal momento che l’attività relazionale e contrattuale, un tempo svolta sulla strada e strettamente dipendente dalla capacità persuasiva del venditore, veniva ad essere sostituita dalla capacità persuasiva della vetrina: prima nascosta nei cassetti inaccessibili ai clienti. Un tempo descritta in maniera stupefacente per conquistare l’acquirente, la merce ora si trovava a parlare da sé e a incentivare i desideri della clientela; sempre più autonoma, si sganciava progressivamente dal ruolo mediatico del venditore e si avvicinava, alleandosi con essa, al medium vetrina, la quale è allo stesso tempo barriera e ponte: interposta tra il negozio e la strada, la vetrina è «in grado infatti di fare sperimentare un particolare tipo di piacere visivo che il passante è spinto a cercare di prolungare entrando all’interno del negozio»554.
Nella città commerciale comprare e vendere non era più un momento incidentale nel passaggio delle merci dal produttore al consumatore, ma una delle preoccupazioni principali in tutte le classi. Vi era però una differenza notevole tra “l’andare al mercato” e “l’andare a fare spese”: la prima azione implicava la soddisfazione delle necessità domestiche, la seconda era occupazione meno impellente e più frivola. Quest’ultima costituiva per le signore un’occasione di sfoggio di eleganza, e di messa in mostra del sé.