Capitolo 4: I luoghi di consumo
4.6 I Grandi magazzin
La nuova forma di commercio al dettaglio sviluppatasi a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha nel suo contesto degli elementi forti e condizionanti quali: la crescita accelerata della città, l’intensificarsi della rete dei trasporti e comunicazioni e l’affermarsi di un’industria in grado di fornire costantemente prodotti ad un prezzo accessibile.
L’origine del grande magazzino viene fatta risalire al 1852 quando Aristide Baucicaut acquistò il Bon Marché che, da florido negozio di tessuti e abbigliamento, divenne nel 1877 la maggiore impresa di vendita al dettaglio esistente al mondo, successivamente imitata in tutta Europa567. Il
mito di questa nascita è comunemente accettato pur essendo smentito dal fatto che «la maggior parte delle politiche affaristiche che caratterizzarono i primi grandi magazzini furono introdotte per la prima volta negli Stati Uniti e nell’Inghilterra»568.
Diversamente dai passage, che trasponevano la merce in una sfera fantasmagorica569 e il consumo in una specie di mito, i grandi magazzini assunsero il ruolo di “formare” una nuova classe sociale in ascesa - la borghesia – educandola ed aiutandola nella scelta del proprio stile di vita. Perché ciò che si acquistava non era solo la merce, bensì un posto nella società. «Se la galleria era il mezzo di
566 Cfr. M. Torres, Luoghi magnetici. Spazi pubblici nella città moderna e contemporanea, op. cit.
567 I grandi magazzini parigini più significativi sono stati oltre al Bon Marché, Les grands magasins du Louvre (1855), Printemps (1865), Samaritane (1869) e le Galeries Lafayette (1895). A Londra Harrods (1849) e i grandi magazzini Liberty (1875), Macy e Wanamaker negli Stati Uniti. In Italia i fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi aprirono a Milano nel 1877 Aux villes d’Italie, distrutto poi da un incendio e quindi ricostruito e ribattezzato nel 1921 come la Rinascente. 568 Rudi Laermans, “Imparare a consumare: i primi grandi magazzini e lo sviluppo della moderna cultura consumistica
(1860-1914)” in G. Mangiarotti Frugiuele, (a cura di), Cultura e società tra consumo e immagine. Provocazioni e spunti nel dibattito contemporaneo, Cedam, Milano, 1995.
569Le radici culturali del termine fantasmagorizzazione sono piuttosto complesse: nella psicologia freudiana è il processo con il quale il soggetto rappresenta l’oggetto del suo desiderio; secondo il linguaggio metaforico il fantasma è la concretizzazione di una qualità astratta; nella letteratura sull’industria culturale di massa il termine viene spesso associato alla capacità di alcuni mezzi tecnici di illudere l’occhio e alla trasformazione di particolari oggetti e delle merci in simulacri di un “reale” altrimenti inesprimibile. Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e le morte, Feltrinelli, Milano, 1979; M. Perniola, La società dei simulacri, Cappelli, Bologna, 1980.
espressione della borghesia la cui emancipazione era stata avviata dalla Rivoluzione francese, il grande magazzino è l’espressione dell’industrializzazione, della produzione e del consumo di massa»570.
Nati dallo sviluppo di piccoli negozi, i grandi magazzini erano costituiti da diversi generi di merci messe insieme in vari reparti. Per i contemporanei fu il vasto assortimento il vero elemento di novità, in grado di alimentare, creare e trasformare il desiderio dei consumatori in domanda. In principio infatti i grandi magazzini non aggiungevano molto ai già consolidati metodi di vendita al dettaglio; se si fa eccezione per gli sconti e le consegne a domicilio, non si discostavano di molto rispetto alle pratiche commerciali già consolidate, se non per la vendita di massa di ogni tipo di merci. Ma i vantaggi economici della vendita su larga scala permisero di proporre la merce a prezzi assai bassi, cosa che influì sulle politiche organizzative di questi nuovi luoghi di consumo sempre più simili, per modello organizzativo appunto, alla fabbrica: si presentò la necessità crescente di organizzare le vendite e di pubblicizzarle, di distribuire lavoro, di calcolare i prezzi in modo accurato, di stabilire strategie di espansione. Tutto questo fece si che «i primi grandi magazzini ebbero la funzione di essere i primi portatori della tendenza moderna alla crescente razionalizzazione come descritta da Max Weber, in un settore economico che era un tempo dominato da maniere cortesi e da lunghe negoziazioni tra venditori e clienti»571.
I grandi magazzini cambiarono drasticamente il sistema della compravendita: la gente poteva andare e venire, guardare e sognare, forse comperare, e fare spese diventò la nuova attività borghese per il tempo libero - un modo per passare il tempo in modo piacevole, come andare a giocare o visitare un museo572. Nel suo romanzo Au bonheur des dames del 1883 Émile Zola, conquistato dall’immediato successo della nuova formula distributiva, vi scorgeva il simbolo della vitalità frenetica e laboriosa del mondo moderno573. L’autore definì l’attività del fare spese una nuova religione delle donne; furono loro infatti, le vere protagoniste dei grandi magazzini. L’azione del comperare si trasformò in quella del fare spese, il fare acquisti coincise con l’uso del tempo libero e questo offrì alle donne del ceto medio la possibilità di uscire dall’ambiente domestico e familiare e la possibilità di frequentare uno spazio pubblico differente da quello riservato esclusivamente agli uomini. La politica gestionale dei grandi magazzini parigini e americani insisteva sia sull’aspetto
570 W. Lauter, Porte e portoni dall’interno e dall’esterno, EdiCart, Legnano, 1989.
571 R. Laermans, “Imparare a consumare: i primi grandi magazzini e lo sviluppo della moderna cultura consumistica (1860-1914) ”, op. cit. p. 41.
572 R. Bowlby, Just looking: consumer culture in Dreiser, gissing and Zola, cit. in Rudi Laermans, Imparare a
consumare: i primi grandi magazzini e lo sviluppo della moderna cultura consumistica (1860-1914)”, op. cit. p. 41.
573 “Una marea di gente ondeggiava sotto le gallerie, e s’allargava, quasi fiume che straripa, in mezzo alla grande sala centrale. Saliva da lì un frastuono come di battaglia; i venditori tenevano in loro balìa quel popolo di donne, che si passavano l’un l’altro gareggiando di sveltezza. Era venuta l’ora del formidabile moto del pomeriggio, l’ora della macchina scaldata a pieno fuoco e capace di imporre il suo dispotico volere a tutti i clienti per cavar fuori dalla loro carne il denaro”, in É. Zola, Au bonheur des dames, B.U.R., 1959, p. 121.
dell’uso del tempo libero collegato al fare spese, sia sulla opportunità di creare degli spazi pubblici riservati alle donne. I commessi furono istruiti affinché la gentilezza e la cortesia diventassero leggendarie, allo stesso tempo il servizio “prestato” era orientato al confort e alla convenienza. Il Au Bon Marché fu allora dotato di uno spazio dedicato all’esposizione di pitture e di una sala di lettura dove poter consultare riviste e quotidiani574.
Tuttavia il grande magazzino rimaneva un’impresa capitalistica che doveva prima di tutto vendere. Il piacere di guardare e di spendere il proprio tempo libero dovevano essere accompagnati dal desiderio potenziale di acquistare. Dal momento che era scomparsa l’obbligatorietà a comprare, il grande magazzino doveva di necessità attuare nuove strategie finalizzate ad aumentare l’aspetto seducente della merce. L’ampio utilizzo della pubblicità si giustifica in questo senso: giornali, cartelloni, volantini, cartoncini e altre forme pubblicitarie si diffusero in maniera significativa. All’aumento pubblicitario quantitativo ne fece seguito uno qualitativo, tanto che in questo contesto furono utilizzate nuove tecniche di stampa575.
La retorica esterna della pubblicità necessitava di essere mantenuta anche all’interno del magazzino nel quale decorazioni abbaglianti, ornamenti architettonici, illuminazione efficace576 rendevano le merci più affascinanti stimolando l’occhio del visitatore, così persuaso a comprare.
I prodotti proposti erano alla moda ma tendenzialmente di bassa qualità. Spesso venivano scelte location bizzarre in cui proporre un determinato articolo. Lo sfondo esotico quale contesto di ambientazione era usato spessissimo, in linea con l’orientalismo che dominava la moda del tempo. In America l’Europa, in particolar modo Parigi, funzionavano come fonte di ispirazione esotica. L’effetto di parigismo era ottenuto attraverso l’imitazione dei saloni francesi, simulando le strade di Parigi riproducendo, in tutte le sue parti, l’interno di un appartamento parigino dei boulevard. La cosiddetta settimana francese, dominata dai profumi francesi e durante la quale si potevano assaggiare vini francesi, era un’iniziativa frequente all’interno di alcuni grandi magazzini. Il contesto, ovvero lo spettacolo delle merci, messe in scena come in una performance teatrale, era ciò che le trasformava da oggetti banali in oggetti del desiderio. «Se il passage, come abbiamo visto, aveva spesso un rapporto di tipo parassitario con il teatro, il grande magazzino si fece spesso esso stesso teatro»577.
574 Sui servizi prestati da alcuni tra i più famosi grandi magazzini americani rimandiamo a R. Laermans, Imparare a
consumare: i primi grandi magazzini e lo sviluppo della moderna cultura consumistica, op. cit.
575 Cfr. R. Laermans, Imparare a consumare: i primi grandi magazzini e lo sviluppo della moderna cultura
consumistica, op. cit.
576 Nel ventennio compreso tra il 1850 e il 1870 le metropoli europee erano illuminate dalla luce a gas, poi progressivamente sostituita da quella elettrica meno suadente e dolce di quella prodotta dalle lampade a gas.
«La tecnocrazia dei sensi»578 attuata dai grandi magazzini andava al di là del fascino estetico delle merci esposte, di solito di esiguo valore, era più spesso il senso che veicolavano a funzionare in maniera significante: l’orientalismo e il parigismo erano simboli di ricchezza, stile, lusso, capaci di creare segni illusori579 di benessere acquistati attraverso i prodotti. I grandi magazzini, oltre ad essere luogo ricreativo delle donne del ceto medio, erano perciò rivolti alla brama di status symbol del ceto medio urbano in espansione580.
Gli articoli fabbricati in massa nel corso del XIX secolo furono sempre più associati a determinati significati: in questo modo si trasformarono in “articolo-segno”581, in merce simbolica582: perciò di fatto i grandi magazzini sono “responsabili” della creazione della cultura del consumatore moderno. In Italia i pionieri del grande magazzino furono i fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi che nel 1877 aprirono a Milano Aux Villes d’Italie, un grande magazzino il cui modello tipologico fu seguito da diverse filiali diffuse nelle maggiori città italiane e che, all’inizio del 1900, raggiunse anche Parigi. Dopo un periodo di intolleranza da parte della borghesia per le scelte di consumo “standardizzate” dei Magazzini Bocconi, questi vennero acquistati da Senatore Borletti che nel 1917 iniziò un’opera per modificarne l’immagine negativa. I magazzini furono ribattezzati come La Rinascente, nome coniato dal poeta Gabriele D’Annunzio che, come idolo della borghesia italiana nonché cliente dei grandi magazzini, aveva commemorato la ricostruzione della sede centrale dopo che un incendio l’aveva colpita nel 1918.
L’affermarsi della vendita al dettaglio di massa in Italia era, nel generale contesto economico degli anni ’20, piuttosto difficile. Il basso livello d’istruzione della popolazione, impiegata principalmente in lavori agricoli, non orientava all’acquisto di beni secondari. Nel 1938 il grande magazzino occupava una quota di mercato del 2%, mentre il dettaglio tradizionale ne deteneva il 91%, contro un 57% negli Stati Uniti, 60% in Gran Bretagna e 80% in Francia e Germania583. Le creazioni della UPIM (Unico Prezzo Italiano Milano) nel 1928 e della concorrente Standard nel 1931 (divenuta STANDA nel 1937), cercarono di far fronte alle esigenze dei consumatori con una struttura di vendita semplificata in modo da non necessitare di personale specializzato, locali spaziosi e grossi
578 W. Haug, Kritik der Warenasthetik, in R. Laermans, Imparare a consumare, op cit.Interessante notare come “questa ideologia del vedere ha trovato nel momento dell’apogeo dei primi grandi magazzini il suo corrispondente artistico nell’impressionismo di Manet e seguaci”, T. J. Clark, The painting of Modern Life, in R. Laermans, Imparare a
consumare, op cit. p. 48.
579Cfr.J. Baudrillard, Simulacri e impostura, Cappelli, Bologna, 1980.
580 A questo proposito è interessante notare come la piccola borghesia urbana - nel momento in cui stava emergendo - non possedeva una propria cultura; all’interno di questo nuovo stato sociale c’era il desiderio di conseguire uno status di vita pur non essendoci il denaro sufficiente per avvicinarsi all’aristocrazia e alla ricca borghesia. Questo vuoto culturale fu riempito in parte dai grandi magazzini. Cfr. R. Laermans, Imparare a consumare, op. cit.; V. Codeluppi, Lo
spettacolo della merce, op. cit.
581 Cfr. J. Baudrillard, La società dei consumi, (1970), Il Mulino, Bologna, 1976. 582 Cfr. P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 1983.
583 Cfr. V. Zamagni, “Il ruolo del commercio nello sviluppo economico italiano 1861-1945”, in AA.VV., Il cammino
investimenti pubblicitari. La merce, venduta a buon prezzo, era costituita prevalentemente da articoli di abbigliamento e per la casa, meno soggetti alla moda o ai gusti personali. Il periodo di ripresa seppur lenta del secondo dopo guerra, caratterizzato dal mutamento dei modelli di consumo e dall’incremento della concentrazione urbana, permise ai magazzini UPIM e alla Rinascente di riconquistare un po’di terreno nel contesto economico e sociale italiano. Il negozio, in un periodo contrassegnato da distruzioni belliche e danni ingenti per il patrimonio del Paese, assunse un ruolo quasi terapeutico e si caricò di un senso aggregativo. Nelle strutture aziendali occuparono posizioni sempre più prestigiose figure quali architetti, pittori, grafici, stilisti, fotografi, la cui produzione estetica contribuiva a rinnovare campi tradizionali quali pubblicità, packaging, preparazione delle vetrine. In piena epoca di riproducibilità tecnica, i grandi magazzini La Rinascente divennero un importante e antesignano laboratorio di design e di arte industriale, esperienze, tradizioni che sarebbero poi confluite nell’istituzione del premio Compasso d’Oro (1954)584. La fondazione della SMA (Società Supermercati Alimentari) nel 1961 con cui La Rinascente iniziò il suo impegno nel comparto del food, e la successiva apertura degli ipermercati Città Mercato, furono una azione strategica per conquistare ulteriori quote di mercato.
Passando attraverso la crisi strutturale degli anni Settanta, provocata dalla concorrenza di forme distributive quali ipermercati e supermercati che puntavano a uno straordinario contenimento dei prezzi, la reazione dei grandi magazzini fu quella di selezionare la merce privilegiando le marche prestigiose a discapito di quelle commerciali. È proprio valorizzando la qualità del servizio e sacrificando i prezzi che La Rinascente, oggi sotto il controllo del gruppo Agnelli, riconquista una nuova e competitiva identità nel mercato.
A partire dagli anni Ottanta si è cercato di conferire un profilo differenziato al grande magazzino e al magazzino popolare trasformando il primo in meta di consumatori con stili di vita emergenti, e indirizzando il secondo alla commercializzazione di beni di consumo caratterizzati dai bisogni di base. Dalla despecializzazione si è passati alla multispecializzazione con una disaggregazione delle strutture merceologiche in piccole realtà settoriali dividendo gli spazi all’interno del punto vendita in modo da seguire la logica delle zone specializzate e non quella dei grandi raggruppamenti.
Presentandosi come figura simbolica esemplare della transazione dall’economia dei bisogni di sussistenza a quella dei desideri, tipica della civiltà del tempo libero, il grande magazzino ha comunque giocato un ruolo attivo di ristrutturazione degli assetti urbanistici e di ridistribuzione dei flussi insediativi e comunicativi sul territorio. Il loro intelligente insediamento nei centri storici sulla scorta dei grandi magazzini classici ne determina la valorizzazione e la rivitalizzazione funzionale.
584 Cfr. A. Abruzzese, F. Colombo (a cura di), Dizionario della pubblicità. Storia, tecniche, personaggi, Zanichelli, Milano, 1994.