Capitolo 2: L’insostenibile leggerezza dell’industria culturale
2.2 I Cultural Studies
«Il tema oggetto dei Cultural Studies può essere definito all’incirca come il rapporto tra la parola e il mondo. Intendendo questi due termini nel loro senso più ampio, così che parola comprende tutte le forme di espressione testualizzata, e mondo può significare qualunque cosa dai mezzi di produzione all’organizzazione dei “mondi di vita”, alle relazioni globalizzate di riproduzione culturale»169. Questo brano estratto dall’opera “Modernità in polvere” di Arjun Appadurai ci dà la
dimensione della vastità degli argomenti trattati da quella che non può essere definita una scuola di pensiero monolitica; i Cultural Studies sono infatti un gruppo piuttosto eterogeneo sia per componenti che per teorie, metodi e caratteristiche. Ma i suoi esponenti possiedono comunque un comune denominatore, ossia tendono a opporsi a una rigida sistematicità disciplinare e all’ordine istituzionale. Bandita ogni forma di autoritarismo scientifico e politico, cercano di portare avanti un impegno morale a favore degli emarginati, difendendo valori come solidarietà e giustizia sociale. Animati da una forte componente polemica contro la tradizione accademica della sociologia della cultura, I Cultural Studies traggono ispirazione dalla tradizione marxista di Antonio Gramsci e di Louis Althusser, dalla scuola di Francoforte, dal post-strutturalismo e dal de-costruzionalismo170. A partire dagli anni ’80, diventano espressione, negli Stati Uniti, dei movimenti progressisti della Nuova Sinistra, del femminismo, degli omosessuali e di altri movimenti analoghi. L’interesse di questo filone di studi è duttile e aperto: nelle loro analisi rientrano i rapporti di genere, la sessualità, le relazioni interetniche, le forme di neocolonialismo, i mass media e la cultura popolare e
168 In questa opera di indagine risulta evidente soprattutto il debito d’influenza weberiana. 169 A. Appadurai, Modernità in polvere, Maltemi, Roma, 2001, p. 75.
170 Ilde-costruzionalismo trae numerosi spunti, a sua volta, dalla filosofia di Jacques Derrida e dalla critica letteraria decostruzionista di Paul De Man. Questo indirizzo, antitetico rispetto allo strutturalismo, si è sviluppato soprattutto negli Stati Uniti. Partendo dal presupposto che non è possibile uscire dall’orizzonte culturale per cogliere, come riteneva di poter fare la metafisica occidentale, i principi logici assoluti che presiedono al discorso filosofico, Derrida definisce la filosofia come una deriva o ripetizione. Quest’ultima ha il compito di smascherare le forme di assolutizzazione proprie di quel pensiero che assume la razionalità logica come fondamento assoluto. Essa, inoltre, smonta la pretesa dello strutturalismo di cogliere una struttura trascendentale dell’animo umano. Per quanto riguarda la critica letteraria, una delle conseguenze del decostruzionismo è per De Man la scomparsa della tendenza a distinguere in modo netto i vari generi letterari. I generi diventano tecniche che, seppur diverse tra loro, sono tutte volte alla descrizione di una realtà che, come tale, sfugge costantemente. Per Derrida e De Man ogni testo è l’espressione di una forma di retorica e si autocostruisce come genere anche se questo non ha giustificazione nella diversità dei contenuti. Non esistono criteri assoluti al di fuori del linguaggio e la realtà può essere attinta solo attraverso la mediazione di formesimboliche legate a una determinata tradizione. Ogni tipo di conoscenza appare come una narrazione che è sempre, qualsiasi stile si utilizzi, un’interpretazione situata e parziale.
materiale. La dimensione sub culturale, secondo questo indirizzo di studi, taglia trasversalmente le classi e traccia distinzioni indipendenti dai tradizionali criteri d’inclusione ed esclusione sociale. Non è solo l’appartenenza di classe a determinare le visioni del mondo (weltanschauungen) degli individui ma concorrono anche l’appartenenza ad un gruppo etnico, a un genere, a una nazione ed a una generazione. La cultura per questi autori è da intendersi come un’arena conflittuale in cui attori e gruppi diversi competono tra loro per negoziare i significati a loro più consoni. Elaborando il concetto di egemonia di Gramsci171, i Cultural Studies lo declinano sul piano culturale in riferimento alle pratiche sociali e simboliche della vita quotidiana172. Nei loro studi sono state analizzate, infatti, «le pratiche sociali attraverso cui i significati del quotidiano possono essere legittimati oppure sovvertiti»173. La cultura popolare di cui si sono occupati, ha permesso loro di evidenziare il potenziale di resistenza delle culture e, più in particolare, delle subculture, tanto che opinione comune degli autori di questa corrente è che vi sia la necessità di abbandonare le partizioni tra cultura alta e bassa o quantomeno di ridefinirle alla luce di una nuova consapevolezza: la loro natura ideologica. Attraverso il concetto di egemonia, il gruppo ha tentato di dimostrare come parti del pensiero sociale diventino dominanti e quindi egemonici all’interno di un determinato contesto sociale. Lo stesso Gramsci aveva infatti suggerito che la legittimità delle idee si basa sull’uso di materiali preesistenti. Il senso comune viene quindi rimaneggiato in modo tale che la novità si riallacci al vecchio, al già noto, affinché il nuovo appaia comunque come legittimo. Vi sono dei processi che permettono alle idee di alcuni gruppi sociali di imporsi, divenendo la chiave di lettura degli eventi di un dato contesto sociale. Conseguenza di questa teoria è che, come scrive Annalisa Tota, «una volta svelata la mistificazione insita in ogni atto conforme all’ideologia dominante, i gradi di libertà degli attori sociali si moltiplicano: interpretando il canone, infatti, lo si può sovvertire»174.
La cultura comprende tutta la cultura materiale, ogni singolo oggetto che in virtù dell’interazione con un attore sociale mette in moto un processo d’interpretazione. Mentre l’interpretazione conforme legittima il canone vigente, quella difforme potrebbe dare vita a nuovi processi egemonici ribaltando l’ordine sociale costituito, proprio perché portatrice di nuovi significati. La negoziazione
171 La capacità di esercitare un’egemonia sulla società è la capacità di diffondere all’interno di essa una cultura congruente con i propri valori ed i propri interessi. Il concetto di egemonia, in Antonio Gramsci, si trova in un quadro teorico che rivaluta l’importanza e la relativa autonomia della sfera della cultura. Nella società capitalistica le classi dominanti esercitano il proprio potere non solo con la coercizione, ma imponendo i propri valori e le proprie logiche come elementi della cultura diffusa. In questo modo tentano di imporre la propria egemonia sulle classi subalterne. La lotta sul terreno della cultura diventa cruciale perché rovesciare questo potere vuol dire sostituire una egemonia con un’altra alternativa. Nelle scuole, nell’editoria, nei luoghi di culto e nella stessa vita quotidiana ha luogo questo continuo conflitto.
172 Per questa rielaborazione, cfr. S. Hall, Culture, Media, Language: Working Papers in Cultural Studies, Hutchinson, London, 1980.
173 A. Tota, Sociologia dell’arte. Dal museo tradizionale all’arte multimediale, Carocci Editore, Roma, 1999, p. 56. 174 Ibidem.
di nuovi significati potrebbe, dunque, sovvertire lo status quo. Alla luce di queste considerazioni, anche l’arte smette di essere arte “elevata”, trovando nuovi spunti proprio nella vita quotidiana.
“L’uomo contemporaneo, vive in una società ‘aperta’ nella quale tutte le concezioni della vita e le posizioni verso il mondo, quelle del presente e quelle del passato, salvaguardate nei Musei e nelle biblioteche, possono coesistere; una società aperta nella quale non esiste alcun dogma, alcun focolare centrale, alcun ritmo, alcuno stile, alcuna tradizione che rinchiuda l’uomo in un orizzonte impenetrabile a qualsiasi critica e aldilà d’ogni dubbio, e che orienta, forma e unifica le azioni umane”.
Kostas Papaïoannou, L’uomo e la sua ombra, 1951