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Come gestire la complessità

Le riflessioni della Archer sul rapporto di interdipendenza e di circolarità fra agire sociale e cultura rimandano al tradizionale problema sociologico di descrivere i fenomeni nei termini micro e macro sistemici. E ancora di più chiariscono la necessità di collocarli, oggi, dentro una cornice che tenga

115 Ibidem.

116 P. Parmiggiani, Consumatori alla ricerca di sé, op cit. p. 36. 117 G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, op. cit. p. 39.

118 Cfr. G. Simmel, La moda, in La moda e altri saggi di cultura filosofica (1905), Longanesi, Milano, 1985. Anche Benjamin ritiene che la moda sia una delle protagoniste della nuova società capitalistica. Secondo l’autore la chiave di lettura della modernità va ricercata nel carattere feticistico delle merci e nei luoghi ideati per esaltarne la desiderabilità e la spettacolarità.

119 G. Simmel, Das Problem des Stiles, cit. in P. Parmiggiani, Consumatori alla ricerca di sé, op. cit. p. 35.

120 Dove per intelletto Simmel (e con lui Benjamin) indica la facoltà essenzialmente logico-combinatoria eminentemente orientata alla calcolabilità. In quest’accezione l’intelletto è la più adattabile delle facoltà umane. La ragione, per converso, è un principio che dà ordine alle conoscenze empiriche in base a domande che riguardano il loro senso.

conto di quei processi sociali, economici e culturali tutt’ora in atto che hanno portato e portano verso cambiamenti di difficile lettura. Il frame teorico allora che ci proponiamo di indagare più avanti è la globalizzazione, processo epocale nuovo e multidimensionale con elementi propri ed in rapporto di discontinuità rispetto al passato. Il fenomeno può essere considerato una sorta di passepartout121 per l’interpretazione del reale e la sua analisi sotto il profilo culturale è, ai fini del nostro progetto, indispensabile per sottolineare lo scarto qualitativo che la globalizzazione porta con sé in termini di differenziazione culturale. Esprimendosi in termini di «connettività complessa»122 e come «processo di interconnessione»123 la globalizzazione coinvolge e problematizza vari aspetti della vita sociale, compresa la stessa cultura. Il paradigma che sottostà a quest’analisi si avvale della «prospettiva postmodernista»124 volta ad indagare il processo di consumo che, pur essendo inserito nei contemporanei flussi della cultura globale, non risulta essere completamente subordinato alle logiche della produzione e/o della riproduzione dell’ordine sociale e di una cultura massificata. E ancora di più nostro intento sarà quello di analizzare il consumo quale elemento determinante nella costituzione e formazione di quelle modalità e pratiche conoscitive che si attualizzano nell’interscambio che lo stesso linguaggio permette e favorisce, all’interno del processo intersoggettivo di costruzione della realtà; realtà definita dagli innumerevoli significati che ne permettono la comprensibilità e l’interpretazione.

Adottare la svolta culturale nell’interpretazione dell’agire di consumo ci permette di inserirlo nel più ampio contesto della cultura, intesa come struttura di significati, e ancora di più di considerarlo come un linguaggio che rende intelligibile la realtà sociale, per cui cultura e sistemi semiotici, che in essa coesistono, rappresentano un’unità di reciproca costituzione125.

L’epoca attuale, come scrive Di Nallo – è mutata così tanto «da far sentire il bisogno di indicarla, per differenza rispetto a quella che era prima, usando un piccolo intrigante suffisso post: postmoderna, postindustriale»126; ci troviamo di fronte ad un nuovo paradigma che comunque venga indicato (postmoderno, postindustriale, postfordismo, postconsumismo) possiede il prefisso “post” a designare un cambiamento, una discontinuità nei confronti della società moderna, industriale o consumistica. Non siamo del tutto sicuri di poterci esprimere in termini di superamento della fase precedente, dal momento che un nutrito gruppo di studiosi ritengono che ancora non sia il

121 A. Melucci, Quale globalizzazione, in “Studi di Sociologia”, XXXV, 1997, 3-4, pp. 325-36; Cfr. R. Paltrinieri,

Consumi e globalizzazione, Carocci Editore, Roma, 2004.

122 J. Tomlinson, Sentirsi a casa nel mondo, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 13-15. 123 U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma, 1999, p. 24.

124 V. Cesareo (a cura di), Globalizzazione e contesti locali, FrancoAngeli, Milano, 2000, p. 105.

125 Cfr. G. McCracken, Culture and consumption. New Approaches to the Symbolic Character of Consumer Goods and

Activities, Indiana UP, 1988; Cfr. E. Di Nallo, Valori e stili di vita, in “Sociologia della comunicazione”, n. 21, 1995; R.

Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, FrancoAngeli, Milano, 1998.

126 E. Di Nallo, Prefazione a P. Parmiggiani, Consumo e identità nelle società contemporanee, FrancoAngeli, Milano, 1997.

tempo di parlare di un’uscita dalla modernità127, comunemente intesa come epoca storica che ha caratterizzato i Paesi industriali Occidentali. Difficile poi risulta dare una definizione di postmoderno128, difficoltà insita nel fatto che questo paradigma cognitivo è rappresentante di un’epoca descritta attraverso troppi e diversificati accenti connotanti di volta in volta una caratteristica diversa129.

Per modernità s’intende convenzionalmente l’epoca di rottura con il “tradizionale”, iniziata subito dopo il Medioevo e segnata da tappe fondamentali130. Un’epoca quella del moderno che sintetizzando si può dire abbia offerto un patrimonio d’indagine filosofica ed esistenziale capace di mettere a disposizione visioni del mondo, progetti storico – filosofici.

Nelle intricate fila dell’eterogeneità che caratterizza la nuova fase postmoderna è invece riconoscibile il declino del pensiero totalizzante che annuncia la fine delle grandi narrazioni (ideologiche) del passato e l’abbandono della speranza di assegnare un senso unitario alla realtà: una sorta di soggettivismo relativistico pare sostituirsi all’assunto ontologico di certezza.

Dal punto di vista strutturale, il passaggio dal moderno al postmoderno è segnato da un mutamento di prospettiva epistemologica necessario e connesso all’irrompere della complessità. La realtà odierna si configura infatti come l’epoca della complessità non più comprensibile per mezzo di una scienza in sintonia con l’ordine che governa il mondo e che la mente umana comprende131.

Il concetto di complessità, divenuto concetto chiave nell’interpretare il mondo contemporaneo, investe in primo luogo la conoscenza, dove il disordine e l’incertezza scardinano l’ideale di onniscienza moderno. La complessità significa così sia prendere atto della crescente interconnessione e interdipendenza dei fenomeni nella società postmoderna, con riferimento alla mancanza di valori guida permanenti132, sia rinunciare a una definizione univoca e universale della

127 Pur partendo da presupposti diversi Antony Giddens si esprime nei termini di una modernità radicale, Jurgen Habermas considera la modernità un progetto non ancora concluso e Alain Touraine parla di “nuova o bassa modernità”, e più recentemente, di “demodernizzazione”; cfr. A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994; J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1987; A. Touraine (1992), Critica

della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993.

128 Per la nascita del termine e l’origine della sua collocazione in campo artistico rimandiamo al capitolo 2, paragrafo 2.5 di questo elaborato di tesi.

129 Tra gli altri, Jean Francois Lyotard pone l’accento sulla computerizzazione che frammenta il tempo e contrae lo spazio, rendendo illusoria ogni generalizzazione; Jean Baudrillard e Georg Ritzer utilizzano il termine simulazione per evidenziare la continua promiscuità tra virtuale e reale come tratto caratteristico dell’epoca postmoderna. Cfr. J. F. Lyotard (1979), La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981; J. Baudrillard (1976), Lo scambio simbolico e la

morte, Feltrinelli, Milano, 1979; G. Ritzer, La religione dei consumi. Cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumismo, Il Mulino, Bologna, 2000.

130 Quali l’antropocentrismo Rinascimentale, la Riforma Protestante, il soggettivismo, le rivoluzioni scientifiche di Galileo e Cartesio, quelle politiche del Seicento e Settecento, quella industriale, il credo Progressista e la fede positivistica nella Scienza e le grandi narrazioni ideologiche (come illuminismo, idealismo e marxismo).

131 Come scrive Roberto De Vita “La scienza non dispone più le sue teorie in successione ordinata, ma piuttosto con punti di vista non sempre convergenti, con il tramonto dell’utopia di Henri Poincarè che ipotizzava all’inizio del secolo una ‘sintesi imponente’ tra le scienze: alla sintesi si è sostituita la complessità”, R. De Vita, Pluralismo ed etica, FrancoAngeli, Milano, 1996, p. 16.

conoscenza. Da qui emerge tutta l’ambivalenza del concetto, allo stesso tempo intellettuale e culturale, sociale e politico. Come scrivono Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti: «La complessità è davvero una sfida. È una sfida ambivalente, con due facce, come Giano. Da una parte è l’irruzione dell’incertezza irriducibile nelle nostre conoscenze, è lo sgretolarsi dei miti della certezza, della completezza, dell’esaustività, dell’onniscienza che per secoli - quali comete - hanno indicato e regolato il cammino e gli scopi della scienza moderna. Ma d’altra parte non è soltanto l’indicazione di un ordine che viene meno; è anche e soprattutto l’esigenza e l’ineludibilità di un approfondimento dell’avventura della conoscenza [...]. In questo senso il delinearsi di un ‘universo incerto’ non è tanto il sintomo di una scienza in crisi, ma anche e soprattutto l’indicazione di un approfondimento del nostro dialogo con l’universo, l’indicazione della forza dei nuovi modelli elaborati dalle nostre scienze nel tentativo di tenere conto del massimo di certezze e di incertezze per affrontare ciò che è incerto»133. In questo postmoderno dunque le «grandi narrazioni» finiscono per lasciare spazio a quelle piccole, «isole di determinismo»134 dove la frammentazione è governata,

o meglio gestita, dalla probabilità e dal caso. La consapevolezza del declino della ragione oggettiva e della visione razionalistica del mondo portano la scienza - che inizia a misurare i propri limiti - a considerare la conoscenza come oggetto d’indagine; prende corpo l’idea di «una nuova concezione della scienza, che contesti e sconvolga, non solo le frontiere stabilite, ma le pietre angolari dei paradigmi, e, in un certo senso, l’istituzione scientifica stessa»135. In un siffatto clima politico- culturale molti sono gli autori136 che tendono a considerare la scienza come una teoria tutta da costruire piuttosto che un edificio da completare. La consapevolezza che semplicità e ordine diventano l’eccezione porta il concetto di complessità a proporsi come comune denominatore di una conoscenza nuova, aperta e multidimensionale, legata al punto di vista da cui si osserva la realtà e difficilmente in grado di fornire una definizione univoca tanto della conoscenza stessa quanto della realtà. Il “problema” di questa interpretazione complessa non investe solo le scienze della natura ma anche quelle sociali, entrambe orientate all’adeguamento «allo spirito del nostro tempo - tempo del movimento, del cambiamento generalizzato, dell’aleatorietà e delle incertezze»137. La complessità, così come è stata definita da Edgar Morin138, è una parola problema che alle categorie statiche dell’ordine, della sincronia, della struttura o dell’equilibrio contrappone un caos ordinato a cui partecipano l’uomo, la natura che lo circonda, il linguaggio e le relazioni intersoggettive attraverso le quali si costruisce la realtà stessa.

133 G. Bocchi, M. Ceruti, (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985, pp. 7-8. 134 J. F. Lyotard, La condizione postmoderna (1979), Feltrinelli, Milano, 1981, p. 108.

135E. Morin, Il paradigma perduto, Bompiani, Milano, 1974, p. 205.

136Fra gli altri si veda E. Morin, Il paradigma perduto, op. cit; G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976; B. Latour, Non siamo mai stati moderni, Eleuthera, Milano, 1995.

137 G. Balandier, Il disordine. Elogio del movimento, Ed. Dedalo, Bari, 1991, p. 156.