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La globalizzazione culturale

Capitolo 2: L’insostenibile leggerezza dell’industria culturale

2.4 La globalizzazione culturale

La parola globalizzazione oggi è utilizzata in qualsiasi ambito disciplinare e da diversi anni la si trova diffusa nel linguaggio comune. Si incontrano, nel momento in cui si cerca di dare al fenomeno un’origine, una causa, di raccontarne lo sviluppo, molte difficoltà derivate dall’ampiezza del concetto e dalla sua natura processuale. Ci troviamo d’accordo con Robert Robertson183 quando

sostiene che la globalizzazione può essere considerata allo stesso tempo un fenomeno e un processo che, a ondate fluttuanti, è ormai in corso da diversi secoli. Dal nostro punto di vista è importante considerarla più come processo; osservare la sua forma dinamica ci conduce alla consapevolezza di vivere in un mondo molteplice, dove è maggiore l’interdipendenza planetaria, come pure la possibilità di fare esperienze diverse, oscillando fra effetto di appartenenza e logiche di spaesamento, frutto anche della nuova visibilità di culture e concezioni “altre” del mondo, diverse cioè da quella occidentale. Così che considerata nella sua natura processuale, la globalizzazione rimanda alla metafora del flusso che esprime gli attuali caratteri sociali. «Nella società globalizzata i flussi di merci, di denaro, di persone, di immagini, di idee diventano talmente intensi da modificare in profondità tanto gli assetti istituzionali quanto le relazioni sociali»184.

La dimensione storica, quella economica e l’interconnessione delle dinamiche tecnologiche e sociali che contraddistinguono la globalizzazione185 hanno generato trasformazioni quantitative e qualitative. Come sostiene Giddens «La modernità è di per sé globalizzante»186, riassumendo così quel processo che investe il pianeta, ormai diventato una rete di contesti sociali e regioni in cui spazio e tempo si sono compressi, intensificando relazioni sociali che collegano tra loro località distanti. Il ruolo giocato dai media nel processo di globalizzazione si esprime in termini di causa e di effetto: da una parte, l’innovazione delle tecnologie ha contribuito a generare un sistema d’interdipendenza e scambi planetari, dall’altra, un siffatto ordine culturale, ha favorito il sorgere di imprese comunicative di stampo mondiale. Tanto che la rappresentazione degli spazi ormai fittizia, ha portato alla nascita di una società mondiale dove i confini perdono di senso in modo proporzionale all’aumento di possibilità di trasferimento per persone, merci e idee187.

183 Cfr. R. Robertson, Globalizzazione, Asterios Editore, Trieste, 1999. Anche Cesareo sostiene che la globalizzazione rimandi a un processo in corso fatto d’interconnessioni che mettono in relazione paesi e aziende, movimenti sociali e gruppi professionali, etnicità e religiosità differenti. Cfr. V. Cesareo (a cura di), Globalizzazione e contesti locali, FrancoAngeli, Milano, 2000.

184 V. Cesareo, Globalizzazione e contesti locali, op. cit. p. 2.

185 Se le radici del fenomeno globalizzazione sono rintracciabili a livello economico nell’internazionalizzazione degli scambi in concomitanza con l’affermarsi del moderno capitalismo, si può dire però che il vero salto qualitativo sia stato compiuto attraverso la maturazione di un apparato mediale senza precedenti. Infatti la riflessione sulla globalizzazione è intrecciata a quella sulle caratteristiche della moderna comunicazione, in grado di fungere da supporto e di farsi promotrice del nuovo paradigma degli scambi, con una capacità di azzerare attraverso la rivoluzione tecnologica, l’incidenza dei confini geopolitici.

186 A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994, p.70. 187 Cfr. F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1996.

Si assiste così a una graduale riconfigurazione dello spazio in termini di informazione: a una localizzazione statica si sostituisce una forma policentrica, dinamica, all’interno della quale si ridefiniscono i luoghi e le interazioni sociali. L’evoluzione delle tecnologie comunicative porta alla sostituzione del concetto di territorio con quello di rete, sede delocalizzata di nuove relazioni sociali. La comunicazione, assumendo dimensioni planetarie, dà vita a un processo di rimpicciolimento del mondo, permettendo l’accesso all’esperienza del qui ed ora.

Il sociologo spagnolo Manuel Castells parla appunto di “network space” per definire l’architettura sociale che si sta disegnando, dove esiste una sorta di rete della socializzazione e di scambio simbolico che permette un avvicinamento (già iniziato dai media tradizionali) tra gruppi e culture distanti. Egli sottolinea come lo sviluppo tecnologico in campo comunicativo abbia plasmato l’assetto ideologico della società degli anni Ottanta, segnando il passaggio dall’industrialismo all’informazionalismo; Castells infatti giunge a definire informazionale l’attuale società, satura di complessità dell’elaborazione e produzione di informazione. La cultura, organizzata in flussi globali di informazioni, diventa il nuovo paradigma del sociale in grado di sostituirsi a quello della società moderna, orientato alla massimizzazione della produzione188.

Il sociologo tedesco Ulrich Beck propone di prendere in considerazione modelli interpretativi della realtà che tengano conto dello sgretolamento dei fondamenti della modernità europea-occidentale, sottolineando come il processo della globalizzazione sia ormai irreversibile. In particolar modo, insistendo sulla profonda crisi del concetto di sovranità dello Stato, l’autore rileva come alla «contrapposizione esclusiva tipica del modello fondato sulle nazioni», si stia sostituendo il «modello della contrapposizione inclusiva»189: tale modello permette alle culture locali, alla luce dei nuovi paradigmi globali, una rivitalizzazione, un’accentuazione delle identità specifiche. Le esperienze soggettive si trovano a dovere essere costantemente ridefinite alla luce di panorami sociali in mutamento. Anthony Giddens prima di lui, aveva già individuato nel concetto di “disaggregazione” una proprietà fondamentale della vita sociale contemporanea, ossia la possibilità per i rapporti sociali di staccarsi dai contesti locali e di ristrutturarsi su archi di spazio – tempo indefiniti. I media, le tecnologie telematiche e i mezzi di trasporto ad alta velocità consentono all’attore sociale di allargare il proprio spazio significativo, indirizzandolo verso nuove forme di socializzazione. All’interno di questa nuova rete globale è possibile, attraverso uno scambio circolare di “cultura”, un processo di rielaborazione costante della propria identità190.

La globalizzazione culturale è un «processo ambiguo e ambivalente», come sostiene Paltrinieri «che si sviluppa attraverso più dimensioni, all’interno delle quali fondamentale è il ruolo della

188 Cfr. M. Castells, La nascita della società delle reti, op. cit.

189 U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma, 1999, p. 135. 190 Cfr. A. Giddens, Le conseguenze della modernità, op. cit.

tecnologia, le cui ricadute sulla comunicazione sono tali da renderla intensa e globale, producendo non più prodotti, bensì informazioni e simboli, ovvero cultura»191.

In “Modernità in polvere” Arjun Appadurai192 identifica nei mezzi elettronici di comunicazione di massa l’elemento che ha portato al mutamento del settore dei mass media e di altri mezzi di comunicazione tradizionali. Questi media, offrendo nuove risorse e nuove discipline per la costruzione di soggetti e di mondi immaginati, trasformano mondi preesistenti di comunicazione e di azione. Essi contribuiscono a rendere indefiniti i confini sociali e culturali. La globalizzazione culturale può così risalire alla mobilità dei significati e delle forme significative che viaggiano attraverso i media e la mobilità degli esseri umani. Vi è la possibilità, in questo modo, di venire a conoscenza di luoghi, usanze e culture altre con la conseguenza che si generino flussi culturali complessi e sempre più densi. Con quello che Benedict Anderson ha chiamato il «capitalismo a stampa» le persone iniziano ad affrancarsi dalle esigenze della comunicazione faccia a faccia, uscendo dal mondo locale e iniziando il percorso verso «comunità immaginate»193. L’esplosione

tecnologica nei settori del trasporto e dell’informazione ci porta in una condizione insolita di vicinato anche con coloro che sono più distanti da noi, portando alla formazione di quello che è stato definito da Marshall McLuhan “villaggio globale”194. La mobilità favorisce, quindi, scambi culturali, incontri e scontri con altre culture che modificano il bagaglio culturale di ciascuno di noi tanto che la stessa cultura non può essere ritenuta omogenea ma possiede caratteri fondamentali quali la diversità, la varietà, l’ampiezza e la poliedricità195. Si formano così quelle entità che Hannerz definisce come culture transnazionali196.

Queste riflessioni ci conducono al cuore del problema centrale delle odierne interazioni globali, ossia la «tensione tra omogeneizzazione culturale ed eterogeneizzazione culturale»197, problema che

191 R. Paltrinieri, Consumi e Globalizzazione, op. cit. p. 68. 192 A. Appadurai, Modernità in polvere, op. cit.

193 Cfr. B. Anderson, Comunità immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma, 1996.

194 La locuzione è stata usata per la prima volta da Marshall McLuhan, nel 1964 in Understanding Media: The

Extensions of Man in cui, nel passaggio dall’era della meccanica a quella elettrica, e alle soglie di quella elettronica,

l’autore analizzava gli effetti di ciascun “medium” o tecnologia sui cambiamenti del modo di vivere dell’uomo. Il Novecento per Mc Luhan si caratterizza per una decentralizzazione che sposta il punto primario d’interesse e di osservazione (e di finalizzazione) dalla soggettiva visione nella dimensione di villaggio alla spersonalizzata visione globale. Indicata da taluni come un ossimoro, la locuzione è divenuta di vastissima diffusione al sorgere di nuove tecnologie (in particolar modo Internet) che consentirono una facilitazione e un’accelerazione delle comunicazioni umane di grande rilievo, divenendo quasi un sinonimo delle interconnessioni per la comunicazione e dei risultati che consentono. In questo senso, spesso senza riferimenti all’originario senso filosofico, la locuzione si applica sia per definire che il gigantesco globo si sia ridotto ad un ambito facilmente esplorabile al pari di un villaggio, sia che (almeno per la comunicazione) ciascun villaggio che lo compone abbia oggi abbattuto i suoi confini non più terminandosi, e dunque coincidendo con il globo. Con la rappresentazione teorica del villaggio globale l’autore, a nostro parere, estremizza troppo le implicazioni comunitarie del nuovo ordine mediatico. Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del

comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1975.

195 Cfr. M. Featherston, Cultura Globale. Nazionalismo, globalizzazione, modernità, Seam, Roma, 1994. 196 Cfr. U. Hannerz, La complessità culturale, op. cit.

197 A. Appadurai, “Disgiunzione e differenza nell’economia culturale globale”, in M. Featherstone, Cultura globale, op. cit. p. 31.

rimanda alla valutazione di una dimensione strutturale e una soggettiva198 insite nel processo di globalizzazione. La prima dimensione, ispirandosi a una concezione marxista della storia, considera la globalizzazione come un processo sostenuto da una base economico-politica, favorito dallo sviluppo delle tecnologie che hanno permesso di superare la dimensione nazionale e rafforzare il livello d’interdipendenza. Per cui la globalizzazione aumenterebbe le opportunità possibili, quanto i rischi emergenti dalle nuove configurazioni nascenti. Nello specifico, una maggiore interdipendenza, secondo questa corrente di pensiero definita strutturalista, si traduce in forti tensioni fra spinte omologanti e differenzianti, tra forze centrifughe e centripete, o tra centro e periferia199; da ciò deriva una visione “asimmetrica” che assegna alla cultura consumistica occidentale la capacità di omogeneizzare i gusti delle persone di tutto il mondo secondo le logiche della Cocalizzazione o MacDonaldizzazione200. In quest’ottica le dialettiche del locale spariscono, a tutti i livelli: la cultura globale è “assimilazione”, cioè incorporazione nella cultura dominante (di stampo dichiaratamente moderno e occidentale) di tutte le altre culture, con graduale assoggettamento di queste ultime alla principale. Si prospetta in questo modo un mondo proteso verso un’uniformità economica quanto culturale, in cui le logiche particolaristiche sono totalmente celate dall’omogeneizzazione culturale, economica e culinaria201. Questa è la prospettiva sottesa alla tesi dell’imperialismo culturale proposta da Herbert Schiller202, criticata perché mette sempre in primo piano il potere economico, ignorando il processo ermeneutico di appropriazione di ogni prodotto culturale. Infatti diametralmente opposto si presenta l’approccio teso a dimostrare come il globale e il locale non siano incompatibili e come il processo di ricezione delle forme simboliche sia produttore di significato. La prospettiva dell’eterogeneizzazione, definita da Cesareo postmodernista203, nega il paradigma dell’omogeneizzazione a sostegno di una globalizzazione della comunicazione204 che ha contribuito a rafforzare un nuovo asse simbolo intorno all’ossimoro globale-locale, dove il processo ermeneutico di appropriazione di ogni prodotto culturale non può essere trascurato.

198 Cfr. V. Cesareo, Globalizzazione e contesti locali, op. cit.; C. Giaccardi, M. Magatti, La globalizzazione non è un

destino. Mutamenti strutturali ed esperienze soggettive nell’età contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2003.

199 Cfr.U. Hannerz, La complessità culturale, op. cit.

200 Cfr. G.Ritzer, Il mondo alla Mc Donald’s (1993), Il Mulino, Bologna, 1997.

201Ariès ritiene che il logo Mc Donald’s sia un emblema della mondializzazione commerciale ma anche dell’imposizione di un modello culturale che, diffondendosi a macchia d’olio, ingloba in sé, annichilendole, le differenze che non sono solo culinarie, ma rimandano ad universi simbolici più ampi. Cfr. P. Ariès, I figli di Mc

Donald’s, Dedalo, Bari, 2000.

202 Cfr. H. Schiller, Mass Comunication and American Empire, Augustus, New York, 1969. 203 Cfr. V. Cesareo, Globalizzazione e contesti locali, op. cit.

204 Così Thompson afferma che i processi di ricezione evidenziano il loro legame con il contesto locale in cui si inseriscono e ancora di più secondo l’autore questo legame si fa poi più forte ed intrinseco, quanto più i materiali simbolici circolano su scala globale. Cfr. J. B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità, Il Mulino, Bologna, 1995.

Numerosi studi si sono occupati dei suddetti processi (di ricezione), mettendo in risalto il momento creativo che scaturisce dall’incontro tra, da una parte, una forma simbolica strutturata e complessa e, dall’altra, individui con una loro storia e un bagaglio di risorse da cui attingere.

Appadurai utilizza la parola chiave indigenizzazione, concetto che, a detta dell’autore, sembra non essere compreso dai sostenitori della tesi dell’omogeneizzazione; questi trascurano infatti come il prodotto culturale, una volta indigenizzato, si trasformi in maniera significativa. La prospettiva postmodernista o dialettica, appoggiata da un gruppo nutrito di studiosi205, considera la globalizzazione un processo planetario dal carattere innovativo riguardante soprattutto la dimensione culturale, in cui forze centripete si contrappongono a spinte centrifughe. Spinte omologanti e differenzianti che non producono affatto omogeneità, processi di assimilazione culturale o di netta separatezza, ma danno luogo alla «coesistenza dinamica di sistemi simbolici e di identità collettive eterogenei nonché, soprattutto, alla dialettica tra spinte globali e controspinte locali (la cosiddetta glocalization), a partire da una radicale trasformazione dell’esperienza soggettiva e dei suoi rapporti con la vita sociale circostante»206.

La compressione dello spazio e del tempo rendono visibile l’eterogeneità e la varietà delle pratiche culturali locali. Discontinuità, pluralità e contaminazione rendono il mondo simile a un grande mosaico dove i tasselli sono le molteplici culture. L’incontro di panorami differenti, le influenze reciproche che si hanno nella realtà multidimensionale della globalizzazione – la quale, come abbiamo già sottolineato, investe dimensioni diverse come quella economica, politica e culturale - generano nuove forme culturali: prodotti, linguaggi, esperienze e modelli nuovi.

«La complessità dell’attuale economia culturale deve essere considerata quindi come un ordine disgiuntivo tra economia, cultura e politica, tenendo conto che le influenze provenienti dall’esterno, vengono di fatto rapidamente indigenizzate, dando vita a nuove forme culturali»207. Le relazioni tra produzione e consumo si modellano alla luce degli attuali flussi di cultura globale, cultura che si presenta come un centrifugato di apertura e di incertezze. I flussi culturali dialogano con quelli economici dando vita a fruttuosi processi sociali che proprio nell’area dei consumi si realizzano e trovano compimento.

205 Tra gli altri, Featherston, Robertson, Hannerz, Appadurai, Beck, Latouche.

206 V. Cesareo, Globalizzazione e contesti locali, op. cit. p. 15. Il glocalismo è concetto riconosciuto e utilizzato, implicitamente o esplicitamente, da coloro che appoggiano la prospettiva della eterogeneizzazione culturale.