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Culture e postmodernità

Capitolo 2: L’insostenibile leggerezza dell’industria culturale

2.5 Culture e postmodernità

L’approccio a un mondo complesso di segni e linguaggi – che ha la forma di un ventaglio di possibilità - è segnato dalla comunicazione, il cui ruolo fondamentale ne esprime il mutamento strutturale. Le tendenze socioculturali in atto sembrano infatti rilevare un’omologia tra sistema sociale e sistemi di comunicazione. Se l’informazione ha certamente segnato le tappe fondamentali della modernità in senso evolutivo (dall’invenzione della stampa alla diffusione delle nuove tecnologie elettroniche), nella società contemporanea, l’aumento prepotente di incidenza dei flussi comunicativi appare responsabile di una accelerata complessità della struttura sociale, caratterizzata da un volume informazionale sempre in crescita che l’individuo fatica a gestire. La rivoluzione nella tecnologia dell’informazione ha prodotto un aumento delle possibilità comunicative del sistema globale e, di rimando, innumerevoli ed evidenti ripercussioni sull’assetto societario. «I termini complessità, differenziazione sociale, frammentazione, policentrismo, acentricità (nel senso della caduta della centralità del binomio produzione e lavoro), moltiplicazione delle logiche, dei contesti anche contrastanti eppure coesistenti, nonché dei codici e dei modelli culturali cui è possibile rivolgersi in una ottica di pluralizzazione dei molteplici ambiti di vita, divengono coordinate primarie nel definire la società postmoderna, da cui nascono le considerazioni sui profondi mutamenti culturali che la caratterizzano, rivelando l’epocale rottura nei confronti della modernità»208. Gli odierni profondi mutamenti interessano il comportamento quotidiano quanto l’elaborazione artistica, la vita sociale e l’ordine pubblico, coinvolgono il livello locale quanto quello globale. La moderna rigorosa differenziazione gerarchica tra cultura alta, cultura di massa e cultura popolare cessa di esistere209. Si assiste al decentramento della storia, dei punti di vista, della cultura coesa e unitaria che ha dominato, finora in modo indiscusso, l’Occidente e, di conseguenza, all’assunzione di schemi classificatori policentrici, prodotti anche da culture non-occidentali o da subculture interne che innovano e rivoluzionano l’ordine culturale esistente. «La cultura come qualcosa di élitario, che coinvolge la formazione, le arti, la sfera intellettuale non esiste più nel suo modo separato, ma si frammenta, si mescola, si giustappone con l’altro tradizionale suo significato: quello antropologico, che riguarda le credenze, i valori, i simboli, le norme»210. La cultura perde la sua natura “sovrastrutturale” e diventa una commistione tra livelli alti, di massa e popolari o nativi. I “nuovi intermediari culturali”, di cui ci parla Pierre Bourdieu211, permettono la circolazione

208 G. Russo, I teatri della cultura. Percorsi esperienziali e pratiche di consumo, FrancoAngeli, Milano, 2005, p. 28. 209 I codici comunicativi si mescolano in una promiscuità stilistica nuova e vengono utilizzati dalle diverse correnti indistintamente.

210 M. Canevacci, presentazione in M. Featherstone, Cultura del consumo e postmodernismo, Seam, Roma, 1994, p. 8. 211A proposito degli intermediari culturali, cfr. P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, il Mulino, Bologna, 1983. I nuovi intermediari culturali sono quelli dei media, design, moda, pubblicità, delle occupazioni nell’informazione “para”intellettuale. Essi hanno la capacità di “frugare” le varie tradizioni e culture al fine di produrre

d’informazioni tra aree di cultura in precedenza sigillate. Emergono nuove condizioni che aumentano la circolazione e l’interscambio tra produttori e divulgatori nei vari campi dell’arte, dell’architettura, della musica e della letteratura. «I nuovi formatori di gusti (tastemakers)», scrive Mike Featherstone, «costantemente alla caccia di nuove merci ed esperienze culturali, sono anche impegnati nella produzione di supporti pedagogici popolari e di guide al saper vivere ed allo stile di vita. Essi incoraggiano un’inflazione di merci culturali, attingono in continuazione da nuove tendenze culturali e artistiche per l’ispirazione, aiutano a creare nuove condizioni di produzione artistica ed intellettuale lavorando al loro fianco»212. Fredric Jameson scrive che «ogni cosa nella vita sociale si può dire che sia diventata culturale»213. Egli, sulla scia di quanto aveva già sostenuto Jean Baudrillard, evidenzia come la cultura postmoderna sia caratterizzata dall’immediatezza, dall’intensità, dal sovraccarico sensoriale, dal disorientamento, dalla mescolanza di codici, da un’arte che si sostituisce alla realtà e viene sostituita da essa in un continuo gioco. Questa «liquefazione dei segni e delle immagini»214 comporta, ritiene Jameson, la fine della distinzione tra

cultura alta e cultura bassa. Con l’estetizzazione della vita quotidiana si assiste non solo alla scomparsa di alcuni dei confini tra arte e vita, ma si offusca anche l’alone che da sempre ha attorniato l’arte come merce a sé stante, dallo status speciale e protetto. Assistiamo così allo “spostamento” dell’arte all’interno dei nuovi processi industriali, la quale trova nuovo spazio nel design, nella pubblicità, nel marketing e nell’esposizione commerciale215; si spiega in questo l’atteggiamento di apertura di molti artisti nei confronti di intermediari culturali diversi dall’arte definita alta, siano essi produttori di immagini o vari tipi di pubblico od utenza, con i quali iniziano a coltivare dei rapporti di collaborazione. Design e pubblicità vengono così spesso confusi con l’arte, tanto da essere celebrati e museificati come tali. Il ruolo dell’arte si espande all’interno della cultura del consumo generando una con-fusione di generi e attuando la decostruzione delle gerarchie simboliche, processo che porta al cambiamento della posizione classica nei confronti della variabilità del gusto. Si avvia così una de-classificazione culturale che spazza via le distinzioni tra cultura alta e di massa. Abbattere questa distinzione significa «sfidare la nozione dell’artista autonomamente creativo e la definizione artigianale dell’arte che il modernismo perpetuava,

nuovi beni simbolici, fornendo le necessarie interpretazioni dei loro usi. Il loro habitus, il loro stile di vita è assimilabile a quello degli artisti o degli intellettuali ma questo nasconde un paradosso: questi intermediari, infatti, da un lato sostengono il prestigio e il capitale culturale delle enclavi di merci artistiche e intellettuali, dall’altro mirano a popolarizzarle, rendendole accessibili a un più largo pubblico. Essi colludono con gli intellettuali a legittimare nuovi settori come lo sport, la moda, la musica, e la cultura popolare come validi campi di analisi intellettuale.

212 M. Featherstone, Cultura del consumo e postmodernismo, Seam, Roma, 1998, p.65.

213 F. Jameson, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989, p.87.

214 F. Jameson, Postmodernism and the Consumer Society, in H. Foster, Postmodern Culture, Pluto Press, London, 1984, p.112.

215 Le dinamiche avanguardistiche interne alle arti stesse, il dada e il surrealismo negli anni Venti e il Postmodernismo negli anni 60, sembrano essere state, in parte, le responsabili di questo processo.

mostrare che l’arte è dappertutto, non solo nel corpo, ma anche nel paesaggio degradato della cultura di massa»216.

La nuova classe media e gli intermediari culturali hanno una sensibilità e una disposizione nuove che permetteranno loro di accedere all’esplorazione emozionale, all’esperienza estetica, all’estetizzazione della vita e all’estetizzazione del corpo impensabili nella modernità. Inoltre, cresce il numero delle persone che lavorano in qualità di artisti o in occupazioni d’intermediazione artistica e aumenta anche il livello di rispetto sociale di cui queste occupazioni godono. «L’arte diventa meno élitaria e più professionalizzata e democratizzata»217.

A partire dagli anni Settanta la classica distinzione tra le discipline comincia a cedere il passo a teorizzazioni sulla cultura che impegnano trasversalmente settori diversi tra loro: studi culturali e delle arti, ma anche politica, architettura, storia, geografia, filosofia e pianificazione. La cultura comincia a essere presa in maggior considerazione non solo dalla sociologia e lo studio di questo oggetto cresce, come abbiamo già cercato di chiarire, con il procedere delle metamorfosi che interessano la società e la cultura stessa fino ai giorni nostri.

Le notevoli trasformazioni sociali hanno provocato una «destrutturazione delle preesistenti organizzazioni sociali delle differenze»218 con la conseguente inutilità delle classificazioni e della definizione di gerarchie sociali, basate su una interpretazione della società come piramidale e stratificata. Queste trasformazioni non mutano soltanto le relazioni tra gli attori sociali ma interessano la loro vita quotidiana quanto la loro visione del mondo: «La vita culturale ha sempre posto la questione dell’accesso e dell’inclusione. O si è membri di una comunità e di una cultura, e perciò si ha accesso alla sua rete di conoscenze e relazioni condivise, o se ne è esclusi. Nell’economia delle reti, quanto più la cultura condivisa si frammenterà in esperienze a pagamento, tanto più i diritti di accesso usciranno dal dominio della sfera sociale per diventare di pertinenza della sfera economica. L’accesso non sarà più basato su criteri intrinseci - tradizione, riti di passaggio, relazioni familiari e di comunità, etnia, religione o genere - ma sul potere d’acquisto» 219. Una nuova luce su queste tematiche viene gettata dalle teorie di Vera Zolberg e Garcia Nestor Canclini220. Gli autori legano le analisi classiche fatte sulla distinzione sociale a quelle più recenti che si occupano della postmodernità. La “distinzione” postmoderna, secondo gli studiosi, si perpetra attraverso quella che da Canclini viene definita arte ibrida o culturas hìbridas. Questo concetto comprende i vari aspetti concernenti le intersezioni tra pezzi di cultura di massa e cultura

216 M. Featherstone, Cultura del consumo e postmodernismo, op. cit. p. 69. 217 Ivi, p.78.

218 E. Di Nallo, Il consumo come area esperienziale, Sociologia del Lavoro, n. 93, 2004.

219 J. Rifkin, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano, 2000, p.187.

220 Cfr. V. Zolberg, Sociologia dell’arte, Il Mulino, Bologna, 1994; G. Canclini, Culture ibride. Strategie per entrare e

d’élite221. L’ibridazione tra culture è il mezzo a disposizione delle odierne classi dominanti per favorire processi d’identificazione nelle classi medie, che anelano all’assimilazione – che di fatto non avviene – con le classi alte222. «Dobbiamo partire da Bourdieu, ma per andare più avanti, se vogliamo spiegare come si organizza la dialettica fra divulgazione e distinzione quando i musei ricevono milioni di visitatori, e le opere classiche o di avanguardia si vendono nei supermercati, o si convertono in videocassette»223. Culture e istituzioni sono mezzi per comprendere la realtà e altrettanti modi di organizzarla. I teatri e i musei si trasformano in luoghi di riti collettivi, aiutando gli individui a costruire, come sostiene anche Victor Turner224, appartenenze e identità. Tutto questo implica anche l’esclusione dal rituale e quindi la permanenza, secondo i due autori sopra citati, di processi di esclusione anche se sotto forme ibride.