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Marca e immaginario

Capitolo 3: Verso un capitalismo simbolico

3.5 Dioniso e Apollo

3.5.3 Marca e immaginario

Seguendo l’analisi proposta da Pierluigi Musarò, partiamo dalla marca e proviamo a riflettere sulla strutturazione, produzione e circolazione di immaginario contemporaneo. Definita all’interno dello scenario attuale come «un sistema segnico divenuto fondante nei paesaggi mediatici e culturali»367, la marca possiede le caratteristiche di un costrutto culturale con una natura narrativa, «un motore semiotico […] una maniera di segmentare e attribuire senso in modo ordinato, strutturato e

364 In questo senso va letta la più generale relazione tra rituali/pratiche di consumo e cultura quotidiana. Come evidenzia Roberta Paltrinieri, l’interpretazione del consumo come linguaggio o sistema semiotico, “in stretta relazione con il sistema culturale, permette di cogliere in esso uno spazio simbolico nel quale i significati sono costruiti e non dati, nei quali i significati immediati, potenziali, virtuali, vengono attualizzati”, in R. Paltrinieri, Consumi e globalizzazione, Carocci, Roma, 2004, p. 120. Su questo tema cfr. anche E. Di Nallo (a cura di), Il significato sociale del consumo, Roma–Bari, Laterza, 1997; P. Parmiggiani, Consumatori alla ricerca di sé, FrancoAngeli, Milano, 2001; A. Appadurai,

Modernità in polvere, Meltemi, Roma, 2001; R. Sassatelli, Consumo, cultura e società, Il Mulino, Bologna, 2004; V.

Codeluppi, Manuale di sociologia dei consumi, Carocci, Roma, 2005.

365In questo caso il rimando è a P. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 2000. Ma non è senza implicazioni, all’interno del nostro discorso, anche la teoria del costruttivismo radicale elaborata dal gruppo di studiosi afferenti alla cibernetica. Cfr. P. Watzlawick, (a cura di), La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1988.

366P. Costa, “La modernità immaginata”, in C. Taylor, Gli immaginari sociali moderni, Meltemi, Roma, 2005, p. 12. 367 P. Musarò, Orizzonti di senso. Lo spettacolo umanitario e la marca, in A. Marinelli, R. Paltrinieri, G. Pecchinenda, A. Tota, (a cura di), Tecnologie e culture dell’identità, FrancoAngeli, Milano, 2007.

volontario»368. La narrazione del mondo proposta dalla marca e le relazioni di conseguenza che tale dispositivo ha sul nostro modo di esprimere la realtà, sul nostro senso comune, ci interessa in modo particolare per cercare di rispondere a questo tipo di domanda: possono le marche essere categorizzate come una sorta d’immaginario distorto con funzioni di tipo ideologico, operatori perfetti di legittimità del mercato capitalistico? Oppure rappresentano qualcosa di altro?

L’attuale società dell’immateriale vede il mondo delle marche operare una fusione tra logica commerciale e logica spettacolare e le grandi marche spostano sempre più spesso il loro raggio di azione e di applicazione verso territori che non appartengono alla sfera del consumo in senso stretto.La marca assume ruolo identitario e culturale diventando un indicatore forte che permette aggregazione collettiva e appunto identitaria.

Attori chiave dei principali processi di cambiamento sociale, le marche «non solo influenzano il nostro modo di vivere, bensì addirittura tendono a plasmare la struttura della città, a sostituire le grandi narrazioni con i loro valori deboli, a produrre i consumatori, attraendoli e trasformandoli in attori del loro mondo»369; questa lettura del mondo della marca porterebbe a considerare il suo

effetto sul nostro immaginario come funzionale e ideologico. In termini habermasiani si assisterebbe a un’invasione-colonizzazione della marca sul mondo della vita che è stata in grado di creare «un universo auto-referente di persone marchio, prodotti-marchio e mezzi di comunicazione- marchio»370. L’immaginario, considerato in questo modo, rimane schema funzionale all’ideologia, coscienza falsa o distorta, inconsistenza di una realtà simulata. Lettura questa che, come abbiamo tentato di specificare poco sopra, è riflesso di un eco alle caratteristiche ritenute tipicamente postmoderne dell’apparenza e della simulazione; un immaginario vissuto come speculare di qualcosa che in realtà nella sua essenza contiene molto di più. L’immaginario invece che fa riferimento alla definizione della realtà come “costruzione sociale” ci porta a considerarlo come «comprensione, sapere comune che rende possibile le pratiche collettive e offre un senso di legittimità ampiamente condiviso. E che, al contempo, si estende oltre l’immediato sapere di sfondo che dà senso alle nostre pratiche specifiche»371. Sotto questa luce le marche esprimono la potenzialità di essere doppie forze sociali e storiche perché se da una parte attuano un processo di sviluppo della logica di marca e della sua diffusione sociale, dall’altra, criticano e fanno resistenza a questa logica.

Taylor e Castoriadis sono convinti che ci sia un rapporto dialettico e dinamico tra la descrizione della realtà, gli effetti che essa ha sull’immaginario sociale, le pratiche messe in atto dagli individui

368A. Semprini, Marche e mondi possibili, op. cit. p. 80.

369 V. Codeluppi, Il potere della marca. Disney, Mc Donald’s, Nike e le altre, op. cit., p. 23. 370 N. Klein, No logo, Baldini&Castoldi, Milano, 2001, p. 86.

e la trasformazione che queste operano sull’andamento del mondo. Una teoria può trasformare in profondità l’immaginario sociale, funzionando come un contesto che fornisce senso alle pratiche che gli individui intraprendono. Tale descrizione del mondo diventa accessibile alle persone, comincia a definire i contorni del loro mondo sino a tramutarsi, a volte, nella forma scontata delle cose. Dalla teoria alle pratiche (e si potrebbe aggiungere dalle strategie alle tattiche) e ritorno. Linguaggio e prassi si rimodellano reciprocamente.

Uniamo ora alla nostra analisi qualche considerazione sull’immaginazione. È il pensiero di Arjun Appadurai a soccorrerci, quando esalta il ruolo dell’immaginazione nella società globale. La visione apocalittica che assegna alle forze standardizzate del consumismo e all’industria culturale omologante il potere di “uccidere” lo sviluppo dell’immaginazione, viene rovesciata dallo studioso indiano. Supportato dalle griglie interpretative di Colin Campbell372 e Andrea Semprini373, Appadurai sostiene che grazie alle azioni dei media e delle migrazioni, l’immaginazione (distinta dalla fantasia in quanto rappresenta uno stimolo all’azione, e, soprattutto, riguarda una proprietà del collettivo più che il senso dell’individuo) non è più relegata agli spazi dell’arte e del mito ma entra a far parte delle prassi della vita quotidiana. Quale fattore sociale collettivo, l’immaginazione diventa forza sociale in grado di costruire piani di realtà alternativi rispetto al quotidiano o alla finitudine rappresentazionale. Se si riconosce all’immaginazione e agli individui un potente ruolo creativo e allo stesso tempo si osserva la relazione osmotica tra marca e consumatori, si individua quella che è già stata definita come la nuova ricchezza, ossia un immaginario sociale condiviso. Capitale immateriale collettivo, diffuso nel sociale, che oggi diventa «valore simbolico monetizzabile»374. Ora, entrando nel cuore del problema, affrontiamo la duplice lettura che si può dare di quel processo di “sfruttamento” che le èlite produttrici di linguaggio mettono in atto nel momento in cui si appropriano della socialità produttiva. Quest’ultima, concepita dall’insieme delle pratiche dei consumatori, si presenta come risorsa naturale dalla quale è possibile attingere. In questo senso si può sostenere che il mercato entra violentemente nel mondo della vita quotidiana e la marca usa

372 Il sociologo inglese Campbell propone una lettura del consumo in chiave edonistica. Distante dalle logiche di alienazione, eterodirezione e narcisismo individuale e collettivo, Campbell, attraverso un excursus storico della genesi storica del desiderio degli oggetti, libera l’aspetto estetico ed edonistico dell’agire di consumo dalle accuse di irrazionalità e di manipolazione. È nella società moderna che l’autore individua la nascita di una logica edonistica autonoma del consumo, svincolata dall’etica protestante, quest’ultima responsabile di un’austerità che dominava la società della produzione. Secondo il sociologo, mentre la cultura romantica, edonistica e trasgressiva, si occupava del consumo, l’etica protestante, puritana e ascetica, si occupava della produzione. L’etica romantica, individuando nei sentimenti e nel piacere dei fondamentali mezzi di conoscenza, esalta non solo le esperienze concrete ma soprattutto l’immaginazione, la fantasia, il sogno ad occhi aperti. L’approccio di studio di Campbell se da una parte, a nostro avviso ha il merito di concentrarsi sugli aspetti culturali e immaginifici che accompagnano l’atto di consumo, dall’altra, non ne considera il carattere sociale e relazionale, riducendolo alla sola dimensione individuale. Cfr. C. Campbell,

L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno, (1987), Edizioni Lavoro, Roma, 1992.

373 Cfr. A. Semprini, Marche e mondi possibili, op. cit.

374 Cfr. M. Lazzarato, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, op. cit.; A. Gortz, L’immateriale, op. cit.; A. Arvidsson, Brand Management: il governo del consumo produttivo, op. cit.

l’immaginario collettivo, lo trasforma a suo piacimento, per poi regolare le pratiche di consumo. Ma il consumo rimane un consumo produttivo e piuttosto imprevedibile. Perché se la marca può indirizzare il consumo, il controllo che possiede su di esso è relativo. È senz’altro vero che «la marca maneggia, governa, lavorando con un sociale che è già istituito. Poiché il brand lavora con, e non contro, la libertà del consumatore, occorre precisare che tale libertà viene maneggiata, non repressa. Anche perché il consumatore non è un deviante, non ha desideri contro da dover reprimere. Si tratta, piuttosto, di appropriarsi del valore creato dall’attività sociale dei consumatori, dalla loro capacità di creare legami affettivi. Di vampirizzare il senso che viene prodotto nel sociale»375. Come scrive Arvidsson, il brand managment «non è una pratica disciplinare. Esso, piuttosto, lavora permettendo o rafforzando la libertà dei consumatori affinché evolvano, con più probabilità in particolari direzioni»376. Ma c’è ancora un dato importante da nono sottovalutare. Riconoscendo l’autonomia del consumatore, il brand può creare un ambiente che anticipa e programma l’agire dei consumatori ma, allo stesso tempo, il lavoro immateriale dei consumatori fa di più, eccedendo lo sforzo di vampirizzazione delle élite produttrice dei significati: è allora il mondo della vita quotidiana che penetra nel cuore dell’agire strumentale, condizionandone in qualche modo obbiettivi e processi. Seguendo ancora de Certau, le marche sembrano così essere luoghi d’incontro e scontro tra le strategie messe in atto delle elite produttrici del linguaggio e le tattiche creative dei consumatori. Come dice Paltrinieri, «il consumo non è distruttore ma creatore di altre conoscenze. Consumo e produzione coincidono nella creazione di conoscenze»377. Questa prospettiva permette di allargare lo sguardo sui rituali legati al consumo e considerarli come uno dei momenti importanti nel più generale processo intersoggettivo di costruzione della realtà sociale. Se come scrive Paltrinieri «il consumo diviene il linguaggio con cui si esprime la società contemporanea, “un’area altamente creatrice di senso”, sistema di mediazione simbolica attraverso cui il soggetto rende intellegibile il mondo»378, le pratiche di consumo sono «luoghi fondamentali del processo di costruzione intersoggettiva non solo della realtà ma, in quanto tale, anche del soggetto, della sua identità sociale»379.

375 P. Musarò, Orizzonti di senso. Lo spettacolo umanitario e la marca, op. cit. p. 149.

376 A. Arvidsson, “Brands. A critical perspective”, in Journal of Consumer Culture, SAGE, London, 2005, p. 245. 377 M. Lazzarato, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, in A. Gorz, L’immateriale, op. cit. p. 54.

378 R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, FrancoAngeli, Milano, 1998; id., Consumi e globalizzazione, Carocci, Roma, 2004.