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L’alterazione: modalità e presupposti – Per quanto concerne la condot-

Nel documento Le falsità documentali (pagine 180-187)

Capitolo IV Le falsità material

2. Le falsità materiali in “documenti” pubblici (artt 476, 477, 482 c.p.) Il bene giuridico tutelato.

2.1. Il soggetto attivo ovvero la distinzione tra pubblico ufficiale (artt 476-

2.2.1. L’alterazione: modalità e presupposti – Per quanto concerne la condot-

ta di alterazione, essa non pone particolari problemi, sia nell’ipotesi in cui si rife- risca a falsità materiali commesse da pubblici ufficiali (artt. 476-477 c.p.), sia nel- l’ipotesi in cui si riferisca a quelle commesse da soggetti privati (artt. 482/476-477 c.p.). In entrambe viene concepita come modificazione fisico-materiale della di- chiarazione autentica e genuina dopo la sua definitiva formazione. Non solo, ma a tale concezione si giunge sia dalle prospettive che distinguono tra genuinità e ve- ridicità (prospettiva ingannatoria e prospettiva di tutela delle funzioni del docu- mento), sia dalla prospettiva della tutela della pubblica amministrazione, che di- stingue tra assenza o presenza delle condizioni che legittimano l’uso attuale del potere: nelle prime, il soggetto che altera fa venire meno la corrispondenza tra au- tore reale ed autore apparente; nell’ultima prospettiva, il pubblico ufficiale che al- tera non è legittimato ad esercitare il potere documentale.

D’altra parte, rispetto all’alterazione nella prospettiva della pubblica ammini- strazione il discorso è destinato a farsi un po’ più complesso. C’è da chiedersi in- fatti se un pubblico ufficiale che altera un atto genuino agisca nell’esercizio delle sue funzioni, ancorché sulla base di una competenza relativa, oppure non si trovi piuttosto in una situazione di vera e propria incompetenza assoluta: se si adotta la prima soluzione, il soggetto è punito ai sensi degli artt. 476-477 c.p.; se si adotta la seconda, si rientra negli artt. 482/476-477 c.p. Tuttavia, come già accennato, è preferibile la prima interpretazione, anche perché si finirebbe per concludere che le fattispecie di cui agli artt. 476-477 c.p. non sarebbero mai realizzabili da un pubblico ufficiale mediante alterazione [v. retro, 2.1].

Si possono distinguere tre diverse modalità o forme di alterazione: soppres- sione di una parte della dichiarazione preesistente, aggiunta di una dichiarazione a quella preesistente, infine sostituzione di una parte della dichiarazione preesi- stente [Cass., Sez. V, 22.5.1981, Veille, in CED, rv 150127; NAPPI, 98].

L’aggiunta e la sostituzione non pongono particolari problemi: mentre la pri- ma consiste nell’apportare modifiche alla dichiarazione originale senza incidere sulla scrittura che preesiste, ma soltanto sul supporto, la sostituzione può essere considerata come una sorta di combinazione tra la soppressione e l’aggiunta, in quanto consiste in una aggiunta che presuppone una precedente soppressione [v. Cass., Sez. V, 18.12.1997, Tedesco, in Riv. pen., 1998, 159, relativa alla cancella- zione di un voto poi sostituito con un altro; si v. tuttavia Cass., Sez. I, 4.10.1993, Alessi, in Cass. pen., 1995, 1838, dove si ravvisa un concorso tra falsità materiale e soppressione ex art. 490 nella condotta di un pubblico ufficiale che dopo aver soppresso su una richiesta di porto d’armi (che forse era più opportuno qualifica- re come scrittura privata) i veri dati anagrafici, immette quelli falsi].

Senza dubbio più complessa l’individuazione della soppressione, in virtù della necessità di distinguerla dalla condotta di soppressione parziale prevista dall’art. 490 c.p. E d’altra parte, vero che siffatta necessità non è poi così pressante come sembra, in considerazione del fatto che il trattamento sanzionatorio previsto per entrambe le condotte dalle fattispecie è praticamente identico, tuttavia è anche vero che la questione può assumere rilevanza sia ai fini della commisurazione del-

la pena, sia sul piano applicativo (si pensi al concorso con il reato di danneggia- mento).

Ciò premesso, per un primo orientamento, che nella sostanza contrasta con la lettera dell’art. 490 c.p., tutto ciò che è soppressione parziale è alterazione ricon- ducibile all’interno delle falsità materiali, con la conseguenza che l’art. 490 trova applicazione solo in presenza di una soppressione totale del documento, che poi coincide con la distruzione. Per un altro orientamento, più fedele alla lettera del- l’art. 490 c.p., occorre basarsi sulle modalità della condotta, per cui si ha alterazio- ne quando la condotta non elimina il supporto, mentre si ha soppressione quando tale eliminazione si verifica, senza tuttavia annientare la cosa incorporante [MA- LINVERNI (c), 382]. Per altro orientamento ancora, infine, occorre distinguere sul-

la base degli effetti che scaturiscono dalla condotta, con la conseguenza che «se la parziale eliminazione dello scritto comporta solo una modificazione del suo signi- ficato, si ha alterazione; si ha soppressione, invece, se ne determina l’inutilizzabili- tà secondo la sua originaria destinazione, come nel caso di cancellazione della fir- ma» [NAPPI, 99].

Delle tre soluzioni preferibile è la seconda. La prima infatti, come accennato, pur avendo una sua linearità, si pone contro il testo della legge, perché finisce per ridurre l’art. 490 c.p. alla distruzione totale del documento, quando invece si par- la anche di soppressione e quindi di distruzione parziale. La terza soluzione inve- ce non può essere accolta perché sposta la distinzione su un piano non solo diffi- cile da verificare, ma anche estraneo al nucleo di disvalore che contraddistingue la soppressione. Sotto il primo profilo è evidente che se si fa riferimento alla inuti- lizzabilità tout court, un documento è sempre utilizzabile, dovendosi così qualifi- care ogni soppressione come alterazione; se invece si fa riferimento alla inutilizza- bilità rispetto alla destinazione originaria, ogni modifica determina una soppres- sione “distruttiva”. Sul piano del disvalore, la fattispecie di soppressione non può che caratterizzarsi per l’annientamento del documento stesso, inteso come conte- nitore.

Ecco allora che la seconda soluzione, da un lato permette di distinguere tra di- struzione totale e soppressione parziale in coerenza con quanto previsto dalla let- tera dell’art. 490 c.p.; dall’altro lato, consente di individuare la differenza tra alte- razione e soppressione parziale nella eliminazione o meno del supporto, per cui se si elimina solo lo scritto e quindi il mezzo della rappresentazione, si avrà un’alte- razione, mentre se si elimina anche il supporto, si dovrà parlare di soppressione parziale.

E a questa prospettiva sembra aderire nella sostanza anche la giurisprudenza, la quale pur facendo riferimento alla utilizzabilità/inutilizzabilità, finisce per ancorare quest’ultima all’integri- tà della cosa incorporante: così rispetto ad un caso di asportazione di una fotografia da una car- ta di identità, la Corte ha affermato che «il risultato di tale operazione non può assumere rilievo penale sotto l’ipotizzato profilo di cui agli artt. 477 e 482 c.p., attesa la palese, macroscopica inutilizzabilità del documento stesso, una volta privato dell’effige del soggetto cui esso dovrebbe riferirsi. Il che non significa, però, che il fatto in questione sia da ritenere in assoluto penalmente indifferente. Esso, infatti, ben può e deve trovare inquadramento nella diversa ipotesi di reato del falso per soppressione, costituendo indubbiamente distruzione o soppressione parziale di un

passaporto l’asportazione dal medesimo di un suo elemento essenziale, qual è la fotografia del titolare» [Cass., Sez. I, 22.2.2005, Valpiani, in CED, n. 9386/2005].

2.2.1.1. Definitività della formazione. – Come accennato, per aversi l’alterazione occorrono due presupposti: la “verità” e la definitiva formazione della dichiara- zione su cui si incide. In particolare, tali requisiti si ricavano dall’art. 485 c.p. il quale stabilisce che «si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente ap- poste a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata». Pur trat- tandosi di norma dettata per le falsità materiali in scrittura privata, nessuno dubi- ta che essa sia applicabile in via generale, e quindi riferibile anche alle falsità ma- teriali in atto pubblico (dove si parla di formazione di atto falso o alterazione di atto vero), all’uso di atto falso e alla soppressione di atto vero [NAPPI, 97 ss.; DE

MARSICO, 584].

In ordine alla definitività della formazione, si può notare che fino a quando il documento non è chiuso, è possibile incidervi senza incorrere in alcuna falsità [Cass., Sez. V, 22.10.1992, Codano, in Cass. pen., 1993, 1995]. Quando invece è chiuso, non vi si può incidere, non solo da parte del terzo, ma anche da parte dello stesso autore [in giurisprudenza Cass., Sez. III, 24.3.1986, Reina, in CED, rv 172716. In dottrina, DE MARSICO, 585; CRISTIANI, 12; NAPPI, 98. In alcuni ordinamenti l’al- terazione da parte dello stesso autore viene qualificata come soppressione: v. in ar- gomento (b)GIACONA, 101].

Quid juris: quand’è che un documento può dirsi formato? Questo profilo,

come vedremo, ha ricadute sulla problematica della correzione di errori e del de- litto tentato: se infatti il documento non è ancora formato, non si può parlare di correzione e quindi ogni modifica risulta penalmente irrilevante, se invece è già formato, può venire in gioco il problema della correzione; inoltre, fino a quando il documento non è formato, viene meno la stessa possibilità di configurare il tenta- tivo di falsità materiale.

Ebbene, sul punto occorre distinguere a seconda che la falsità sia posta in es-

sere dall’autore o da un terzo. Se è posta in essere dall’autore, si ritiene necessaria

la fuoriuscita del documento dalla sua disponibilità; se invece è posta in essere da un soggetto diverso dall’autore, il documento è formato con la mera trascrizio- ne/scrittura, anche se non è ancora uscito dalla disponibilità dell’autore [Cass., Sez. VI, 8.1.1996, Proia, in CED, rv 204379; Cass., Sez. V, 22.9.1989, Buzzao, in

Riv. pen., 1990. 777].

Così, è stato affermato che «quando l’autore della falsità è lo stesso soggetto che deve for- mare l’atto, non vi può essere falsificazione ideologica o alterazione materiale punibile fino a quando l’atto rimane nell’ambito della facoltà di disposizione dell’agente, il quale, come autore dell’atto, può apportare ad esso tutte quelle modificazioni o aggiunte che ritiene possibili o, ad- dirittura, può non far venire alla luce l’atto lasciandolo allo stadio di mero proposito. Se l’atto […] è rimasto nella disponibilità dell’imputato e non è affiorato nel mondo esteriore per conse- guire gli effetti di cui sarebbe capace, ogni ipotesi di incriminazione viene meno […] la soglia del momento consumativo sarebbe varcata solo se il foglio, dopo la firma, entrasse comunque nella disponibilità della Pubblica Amministrazione di cui l’imputato è dipendente» [Cass., Sez.

V, 22.10.1992, Codano, in CED, rv 193484. Si v. inoltre Cass., Sez. V, 21.4.1983, Pozzan, in CED, rv 161095, secondo cui «fino a quando l’atto resta nell’ambito della legittima facoltà di disposizione del suo autore, non è configurabile un falso per alterazione ad opera di quest’ul- timo, mentre il falso è configurabile se l’alterazione viene compiuta da un terzo. Invero, l’altera- zione ad opera dell’autore diventa illecita quando l’atto esce dalla sua sfera di disponibilità»].

D’altra parte, rispetto ad alcuni atti pubblici si ritiene che sia sufficiente la tra- scrizione/scrittura, quale che sia il soggetto che pone in essere la condotta di falsi- ficazione.

Così, ad esempio, si è ritenuto che «la cartella clinica, della cui regolare compilazione è re- sponsabile il primario, adempie alla funzione di diario della malattia e di altri fatti clinici rilevan- ti, la cui annotazione deve quindi avvenire contestualmente al loro verificarsi, uscendo al tempo stesso dalla disponibilità del suo autore ed acquistando carattere di definitività, per cui tutte le successive modifiche, aggiunte, alterazioni e cancellazioni integrano falsità in atto pubblico» [Cass., Sez. V, 17.2.2004, Castaldo, in Cass. pen., 2005, 2246. Nello stesso senso Cass., Sez. V, 11.7.2005, Pasquali, in Riv. pen., 2006, 1100; Cass., Sez. V, 26.11.1997, Noce, in Cass. pen., 1999, 153; Cass., Sez. V, 20.1.1987, Cristini, in CED, rv 175430; Cass., Sez. V, 21.4.1983, Pozzan, cit., dove si afferma che «la cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazio- ne ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata. Ogni annotazione assume pertanto auto- nomo valore documentale e spiega efficacia nel traffico giuridico non appena viene trascritta, con la conseguenza che una successiva alterazione da parte del compilatore costituisce fatto punibile, ancorché il documento sia ancora nella sua materiale disponibilità in attesa della tra- smissione alla direzione sanitaria per la definitiva custodia»].

2.2.1.2. Veridicità dell’atto, vale a dire il problema della falsità in atto falso (non

vero o non genuino) e della correzione degli errori. – In ordine al presupposto del- la “verità” dell’atto, si pone il problema di comprendere quale significato abbia tale espressione e quindi, detto in altri termini, cosa si debba intendere per altera- zione di un atto pubblico “falso” come tale non punibile. Anticipando fin d’ora le nostre conclusioni, si deve ritenere che con l’espressione “vero” (o falso) si debba in- tendere “genuino”, “autentico” (o non autentico), con la conseguenza che mentre è punibile l’alterazione di un atto autentico, ma non vero in quanto ideologicamen- te falso, al contrario non è punibile l’alterazione di un atto non vero in quanto ma- terialmente falso, al di là del fatto che sia o meno ideologicamente falso.

In particolare, anzitutto si deve affrontare il problema della alterazione di un

atto pubblico autentico e ideologicamente falso. Ebbene, per un primo orienta- mento la punibilità è esclusa a titolo di alterazione, non a titolo di uso: «quand’an-

che si limitasse all’eliminazione di una falsa attestazione, infatti, l’alterazione attri- buirebbe pur sempre all’autore del documento un atto diverso da quello effetti- vamente compiuto e, quindi, il successivo uso riguarderebbe un documento mate- rialmente falso» [NAPPI, 105]. Tuttavia, si tratta di una soluzione in sé contrad- dittoria, perché se si riconosce la materiale falsità del documento pubblico altera- to, non si capisce la ragione per cui si punisca a titolo di uso ciò che per l’appunto integra un falso materiale.

Per altro orientamento, invece, occorre distinguere: se l’alterazione è nel senso di ristabilire la verità (c.d. correzione ideale), si deve escludere la responsabilità per atipicità del fatto; se invece è nel senso di confermare la non veridicità, si de- ve punire [in giurisprudenza cfr. Pret. Ancona, 28 ottobre 1980, Bocchicchi, in

Giur. merito, 1984, II, 143, con nota di CENCI. Nello stesso senso soprattutto la

dottrina: cfr. MALINVERNI (c), 288; FIANDACA,MUSCO, 586; (b)GIACONA, 80 ss. e 343 s., il quale tuttavia “inevitabilmente” avverte che nel caso di atti che ri- portano affermazioni altrui occorre pur sempre attenersi a quanto viene dichiara- to, essendo ovvio che, ad esempio, il cancelliere non può correggere una falsa te- stimonianza adeguandola alla verità sostanziale che il testimone voleva nasconde- re (82)]. Questa soluzione risulta essere coerente con una concezione delle falsità orientata a valorizzarne la componente ingannatoria. Ed infatti, in tale prospetti- va, non c’è dubbio che è destinato ad avere più disvalore, perché più pericolosa, la menzogna che l’offesa all’autenticità, con la conseguenza che se si compromette l’autenticità per ripristinare la verità, il fatto finisce per essere inoffensivo.

Per un terzo orientamento, infine, l’alterazione è sempre punibile. La maggio- ranza della giurisprudenza afferma infatti che, una volta formato, l’atto non può essere modificato né dall’autore, né da un terzo, anche se è nel senso della verità: fuori dall’ipotesi di correzione di meri errori materiali, infatti, costituisce falsità materiale in atto pubblico la soppressione di una determinata parte della dichia- razione contenuta nel documento, la sostituzione di una diversa dichiarazione alla dichiarazione preesistente e l’aggiunta di una nuova dichiarazione, anche se siano nel senso della verità.

Così, in giurisprudenza, facendo leva più sul tenore originario del documento che sulla pa- ternità, si è affermato che «l’alterazione compiuta nel senso della verità determina pur sempre una modificazione della verità documentale, in quanto, per effetto della aggiunta postuma, l’atto viene a rappresentare e documentare fatti diversi da quelli che rappresentava e documen- tava nel suo tenore originario, sicché viene leso l’interesse a che non sia menomato il credito attribuito dall’ordinamento giuridico agli atti pubblici» [Cass., Sez. VI, 6.11.1997, Moschella, in Cass. pen., 1999, 1449. Nello stesso senso, Cass., Sez. V, 14.12.2004, Sella, in Riv. pen, 2005, 1237, relativa alla sostituzione di una cartella clinica con una nuova dal contenuto veritiero: «l’intento di ristabilire la verità effettuale […] non rileva ai fini della configurabilità del falso in atto pubblico […] Il carattere di definitività della cartella clinica per ogni annotazione dei fatti clinici rilevanti contestualmente al loro verificarsi, non tollerava, pertanto, una volta compilata e sottoscritta, modifiche, aggiunte, alterazioni, cancellazioni, indipendentemente dall’effettiva in- tenzione dell’agente»; Cass., Sez. V, 2.4.2004, Ferraro, in Cass. pen., 2005, 2246; Cass., Sez. V, 17.11.1998, Marino, in Giust. pen., 1999, II, 640, la quale precisa che la veridicità delle dichia- razioni aggiunte non rileva in quanto la falsità non attiene ad esse, bensì alla loro rappresenta- zione documentale; Cass., Sez. V, 24.6.1988, Cioffi, in Cass. pen., 1989, 1751; Cass., Sez. VI, 6.2.1986, Perfetto, ivi, 1987, 1332; Cass., Sez. VI, 21.4.1983, Pozzan, ivi, 1984, 2185; Cass., Sez. V, 28.1.1980, Ranciaffi, in Giust. pen., 1980, II, 701, con nota di SALAZAR].

Senza dubbio preferibile è quest’ultima soluzione, essendo anche la più ade- rente a una concezione della falsità materiale volta alla tutela dell’autenticità/pa- ternità della dichiarazione: ciò che interessa in questa prospettiva è infatti la corri- spondenza tra autore reale ed autore apparente e questa corrispondenza si deter-

mina con la formazione dell’atto, ragion per cui qualsiasi intervento successivo infrange tale corrispondenza, anche se il risultato dell’alterazione è quello di ren- dere la dichiarazione contenutisticamente vera.

In secondo luogo, si deve affrontare il problema della alterazione di un atto pub-

blico materialmente falso. In argomento si devono distinguere due ipotesi. Anzitut-

to quella in cui si sostituisce o si aggiunge un’altra falsità materiale (al di là del fat- to che la dichiarazione aggiunta ripristini l’eventuale verità o sia comunque vera). Per un primo orientamento il soggetto dovrebbe essere punito a titolo di uso, in quanto se la condotta non risulta punibile a titolo di alterazione, tuttavia si deve considera- re che per la giurisprudenza l’art. 489 c.p. è applicabile non solo a colui che non sia concorso nella falsità, ma anche a colui che abbia commesso un’alterazione non pu- nibile [NAPPI, 104. In ordine all’art. 489, v. infra, Cap. VII, 2.1]. D’altra parte que-

sta soluzione non può essere accolta perché si deve considerare che l’art. 489 c.p. si applica non quando il fatto non è punibile perché atipico, ma quando risulta non punibile perché pur essendo tipico sono intervenute cause di non punibilità (es. am- nistia o prescrizione). Ebbene, la falsità di un atto falso, come vedremo tra poco, non è punibile perché atipica.

Per altro orientamento, invece, il falso è comunque punibile, perché pur trat- tandosi di atto assolutamente nullo, tuttavia esiste [DE MARSICO, 580; MALIN- VERNI, (c), 287 s.; ANTOLISEI, 102; (b)GIACONA, 82, nota 184]. Anche questa

soluzione, però, che si muove in una prospettiva ingannatoria del falso, non può essere condivisa, perché da un punto di vista penalistico il documento non risulta esistente ai fini della falsità materiale in quanto manca il requisito della genuinità dell’atto.

Ecco allora che ci sentiamo di prospettare un terzo orientamento che per l’ap- punto considera il fatto non punibile perché atipico, proprio in virtù della man- canza del requisito della genuinità dell’atto. Dovendosi precisare che sarà sempre opportuno verificare dove la falsità materiale va ad incidere. Se infatti incide su parti non genuine, si deve escludere la falsità, se invece va ad incidere su parti ge- nuine, la falsità ha rilevanza. Quindi, se si tratta di documento non genuino per- ché contraffatto ovvero formato dal nulla, si deve sempre e comunque concludere per l’esclusione della falsità. Se si tratta di atto falso per alterazione, occorre veri- ficare se si incide su ciò che è stato alterato, dovendosi affermare l’irrilevanza del- la falsità, oppure su ciò che è genuino, dovendosi concludere per la rilevanza della falsità. Così, ad esempio, si dovrà concludere nel senso della sussistenza del falso in presenza di un assegno recante un importo alterato sul quale è stata apportata una falsa girata.

La seconda ipotesi è quella in cui il soggetto elimina la preesistente falsità

materiale. La dottrina che si è espressa sul punto ha affermato la non punibilità

del falso, né a titolo di falsità materiale, né a titolo d’uso, perché la condotta ri- guarderebbe un documento non genuino [NAPPI, 104], soluzione che non pos-

siamo che condividere proprio in ragione del fatto che il documento falsificato non è genuino [Cass., Sez. V, 31 ottobre 1969, Fini, in Cass. pen. mass., 1971, 742, relativa a un’ipotesi in cui erano state cancellate, mediante scolorina, alcune firme

Nel documento Le falsità documentali (pagine 180-187)

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