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Il soggetto attivo del reato, con particolare riferimento all’incaricato di pubblico servizio (art 493 c.p.).

Nel documento Le falsità documentali (pagine 87-92)

di falsità documentale

4. Il soggetto attivo del reato, con particolare riferimento all’incaricato di pubblico servizio (art 493 c.p.).

Le falsità documentali possono essere realizzate sia da pubblici ufficiali che da sog- getti privati. In questo paragrafo interessa esaminare l’art. 493 c.p., il quale sanci- sce che «le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità documentali commes- se da pubblici ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato o di un altro

ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente agli atti che essi

redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni».

La norma pone diverse questioni. Anzitutto, si deve stabilire quali falsità

commesse dai pubblici ufficiali siano applicabili: da un lato, si pone un proble-

ma, infatti, in ordine alle condotte (quelle materiali o quelle ideologiche oppure entrambe); dall’altro lato con riferimento alle tipologie di atti (atto pubblico in senso stretto oppure anche le altre tipologie). In particolare, sotto il primo profi- lo delle condotte, la questione nasce dal fatto che nell’art. 493 c.p., dopo il gene- rico richiamo delle “falsità commesse da pubblici ufficiali”, successivamente si impiega l’espressione “atti redatti nell’esercizio delle attribuzioni”. Ora, poiché, come accennato e come vedremo meglio in seguito, le falsità materiali in atti pub- blici sono commesse da soggetti che non sono pienamente competenti a redigere l’atto, mentre quelle ideologiche (sempre in atti pubblici) non possono che essere realizzati da un soggetto “assolutamente” competente, si potrebbe ritenere che l’art. 493 c.p. si riferisca alle sole ipotesi in cui l’incaricato di pubblico servizio è

effettivamente competente, con la conseguenza che tale disposizione troverebbe applicazione solo rispetto alle falsità ideologiche. Tuttavia non sembrano esservi ostacoli ad applicare la norma anche alle falsità materiali, e ciò proprio perché il nostro sistema adotta una soluzione per cui in presenza delle falsità materiali si considerano nell’esercizio delle funzioni anche coloro che hanno una competen- za relativa [nello stesso senso, FIANDACA,MUSCO, 594]. Sotto il secondo profi-

lo delle tipologie di documento, è difficile ritenere che anche per gli atti redatti dagli incaricati di pubblico servizio si possono compiere le distinzioni valide per quelli redatti dai pubblici ufficiali, in quanto l’incaricato ha poteri diversi: così ad esempio non c’è dubbio che rispetto ad un atto di incaricato non potrà mai trovare applicazione l’art. 476, comma 2, c.p. concernente gli atti pubblici fide- facenti, essendo l’incaricato privo di tale potere, poiché, se ce l’avesse, sarebbe un pubblico ufficiale dotato addirittura di uno specifico potere certificativo. Da ciò sembra pertanto conseguire che fattispecie applicabili sono soltanto quelle in cui è previsto il “mero” atto pubblico, vale a dire gli artt. 476 comma 1, 479 e 487.

In secondo luogo, occorre chiarire se l’art. 493 c.p. svolga una funzione esten-

siva dei concetti di pubblico ufficiale e atto pubblico oppure di mera equipara- zione dell’incaricato e del suo atto rispettivamente al pubblico ufficiale e all’atto

pubblico. In particolare, con riferimento alla qualifica soggettiva, se si adotta la soluzione estensiva, si deve ritenere che la falsità materiale in atto pubblico ricon- ducibile a un pubblico ufficiale ma posta in essere da un incaricato di pubblico servizio integri il reato di cui all’art. 476 c.p.; se invece si adotta la soluzione della equiparazione, tale falsità è punibile ai sensi degli artt. 476-482 c.p. Sul punto la giurisprudenza si è espressa nel senso della dilatazione [Cass., Sez. V, 4.2.1997, Stasio, in Giust. pen., 1997, II, 624; Cass., Sez. V, 27.5.1982, Rizzi, in Cass. pen., 1983, 1980; Cass., Sez. II, 13.6.1979, Fontani, in CED, rv 144022, secondo la qua- le, essendo le delibere del Consiglio di amministrazione di un ospedale civico atti pubblici, il dattilografo che nella sua qualità di pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio altera tali delibere mediante l’aggiunta di un nominativo com- mette falso materiale in atto pubblico ex art. 476 c.p.]. Sembra preferibile la se- conda soluzione della equiparazione, poiché esiste un legame funzionale tra quali- fica soggettiva e natura del documento, legame che non può essere spezzato e- stendendo d’imperio il concetto di pubblico ufficiale in modo da ricomprendervi anche un incaricato di pubblico servizio, il quale, rispetto alle funzioni pubbliche della pubblica amministrazione, risulta essere assolutamente incompetente.

Con riferimento al documento, se si ritiene che l’art. 493 c.p. dilati la nozione

di atto pubblico (nel senso che sono atti pubblici non solo quelli redatti da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, ma anche quelli redatti da un impiegato dello Stato o di un altro ente pubblico, incaricato di un pubblico servi- zio), si avrà come conseguenza che rispetto agli atti redatti dagli impiegati pubbli- ci incaricati di un pubblico servizio trovano applicazione anche le falsità commes- se dai privati in atto pubblico (art. 482 c.p.); se invece si ritiene che la norma equi- pari l’atto redatto dall’impiegato pubblico incaricato di un servizio pubblico al-

l’atto pubblico, tali fattispecie non si applicano, con la conseguenza che se un pri- vato forma un atto di competenza di un incaricato di pubblico servizio, tale sog- getto risponde di falso in scrittura privata e non di falso del privato in atto pub- blico. Detto diversamente, se si adotta la soluzione della dilatazione, senza l’art. 493 gli atti degli impiegati pubblici incaricati di pubblico servizio sarebbero scrit- ture private; se invece si adotta la soluzione della equiparazione, senza l’art. 493 gli atti degli impiegati resterebbero scritture private, andando incontro a una di- sciplina nella sostanza identica per struttura delle fattispecie e per trattamento san- zionatorio agli atti pubblici.

Ebbene, sul punto la giurisprudenza è nel senso della equiparazione [Cass., Sez. V, 12.4.1983, Motta, in CED, rv 159879]. Soluzione da preferire, anche per- ché estendere il concetto di atto pubblico anche ai documenti redatti dagli incari- cati di un pubblico servizio significherebbe disgiungere completamente la natura di un atto dalle funzioni esercitate dal soggetto agente.

Alla luce di quanto detto, non si può non rilevare una contraddizione all’interno della giurisprudenza, là dove attribuisce all’art. 493 c.p. una funzione estensiva per quanto riguarda il soggetto ed una funzione di equiparazione per quanto attiene al documento. Al contrario, come accennato, coerenza vorrebbe che alla norma in esa- me venisse attribuita sempre una funzione di equiparazione in ragione del fatto che il legame che intercorre tra l’incaricato e il documento che redige è senza dubbio diverso da quello che sussiste tra il pubblico ufficiale e il suo documento.

Altra questione ancora: se si confronta il tenore letterale dell’art. 358 c.p. e

quello dell’art. 493 c.p. emerge che si tratta di formulazioni diverse. La definizio- ne generale di incaricato di pubblico servizio a seguito della riforma del 1990 si basa infatti sul profilo funzionale del pubblico servizio, avendo eliminato ogni ri- ferimento al tipo di rapporto intercorrente tra lo Stato o un altro ente pubblico e il soggetto che presta il servizio. Al contrario, la definizione dell’art. 493 c.p. ri- produce nella sostanza quella originaria dell’art. 358 c.p., e quindi fa riferimento ai due requisiti del rapporto di impiego con lo Stato o un Ente pubblico e del- l’esercizio di un pubblico servizio. Si pone pertanto il problema se l’art. 493 c.p.

faccia riferimento alla nozione di incaricato di pubblico servizio di cui all’art. 358 c.p. vigente oppure a una nozione autonoma. La questione ha grande rilievo:

se infatti si ritiene che si tratti di nozione autonoma, l’assenza di un rapporto di impiego o il venir meno del carattere pubblicistico di un ente determina, a rigore, il venir meno del reato.

All’interno della giurisprudenza si deve registrare un contrasto. Da un lato, v’è un orientamento che riconduce l’art. 493 all’art. 358 c.p.

In questa prospettiva si è affermato che «lo stesso art. 358 c.p. definisce il “pubblico servi- zio” e, conseguentemente, “l’incaricato di p.s.” non in una prospettiva soggettivistica quanto con riferimento all’attività svolta» [Cass., Sez. V, 15.12.2000, Pizzimenti, in Riv. pen., 2001, 364; Cass., Sez. V, 14.12.1999, Ferrara, in CED, n. 3282/1999].

In quest’ultima prospettiva si è considerato privato il soggetto che svolge mansioni di portapac- chi alle dipendenze di una ditta privata, alla quale l’amministrazione postale ha dato in appalto la consegna dei pacchi postali, proprio in virtù del fatto che il soggetto non riveste la qualità di impiegato dello Stato o di altro ente pubblico [Cass., Sez. V, 17.10.2005, Palmieri, in CED, n. 5490/2006: nel caso di specie si può notare per inciso come mancasse anche il requisito del servi- zio pubblico. Nello stesso senso, ma prima della riforma del 1990, si v. Cass., Sez. V, 2.3.1983, Flo- renzano, in Cass. pen., 1984, 1117, la quale precisa che «la nozione di pubblico impiegato non coincide con quella di persona incaricata di pubblico servizio; la prima infatti, a differenza della se- conda, postula l’esistenza di un rapporto di lavoro, a carattere permanente, tra il soggetto e l’ente pubblico»; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Lecce, 23.12.1991, Zecca, in Giur. merito, 1993, 453, con nota di SANTALUCIA, sentenza in cui si esclude la responsabilità di un addetto al controllo

sull’operato dei bigliettai in quanto «non dipendente né dello Stato, né di altro ente pubblico»].

In argomento occorre poi osservare come per la giurisprudenza la trasforma- zione di un ente da pubblico a società per azioni non comporti tuttavia l’applica- zione dell’art. 2 comma 3, e ciò non tanto in virtù di una interpretazione dell’art. 493 c.p. volta a negarne l’autonomia, quanto piuttosto per una particolare concezio- ne delle modifiche mediate [Cass., Sez. VI, 10.7.1995, Caliciuri, in CED, rv 202873, secondo cui «le trasformazioni che hanno interessato l’Azienda autonoma delle Fer- rovie dello Stato in società per azioni non hanno modificato la fattispecie incrimina- trice descritta negli artt. 479 e 493 c.p.»].

Ultima questione: posto che l’attività di documentazione deve essere connessa

alle mansioni cui l’impiegato è addetto, si pone il problema di stabilire cosa si in-

tenda per mansioni. La questione si è posta soprattutto per le attestazioni sui fogli

di presenza. Per un indirizzo maggioritario, l’attestazione relativa alla durata del- l’attività di lavoro svolta ha un nesso con le mansioni, avendo rilievo non solo ai fini della retribuzione (e quindi privatistici), ma anche ai fini del corretto svolgimento del servizio (e quindi pubblicistici), [Cass., Sez. V, 12.4.1996, Ricci, in Cass. pen., 1997, 1356, con nota di CIANI;Cass., Sez. V, 2.3.1983, Florenzano, cit.]. Per altro indirizzo, invece, non integra la fattispecie criminosa la condotta del netturbino che appone la firma di presenza, senza rispettare gli orari di inizio e cessazione di servi- zio, in quanto dette sottoscrizioni valgono solo a provare l’adempimento del sinal- lagma contrattuale e non costituiscono per l’appunto atto connesso alle mansioni cui l’impiegato è addetto [Cass., Sez. V, 15.12.2000, Pizzimenti, in Riv. pen., 2001, 364; Trib. Venezia, 2.12.1996, Scalari, in Giust. pen., 1998, II, 57].

Come avremo modo di vedere su tale questione sono intervenute di recente le Sezioni Unite, affermando che «il cartellino marcatempo ed i fogli di presenza so- no destinati ad attestare solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra il pubblico dipendente e la pubblica amministrazione, ed in ciò si esau- riscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni di- chiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Il pub- blico dipendente, in sostanza non agisce neppure indirettamente per conto della p.a., ma opera come mero soggetto privato, senza attestare alcunché in ordine alla attività della pubblica amministrazione» [Cass., Sez. Un., 10.4.2006, Sepe, in Cass.

pen., 2006, 2792, con nota di LEPERA, 2796 e di PICCARDI, 2475, sulla quale v.

infra, Cap. III, 6.2.1.1]. Si deve ritenere pertanto che l’attività di timbratura del

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