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L’elemento soggettivo: il dolo – I delitti di falso materiale in document

Nel documento Le falsità documentali (pagine 197-199)

Capitolo IV Le falsità material

2. Le falsità materiali in “documenti” pubblici (artt 476, 477, 482 c.p.) Il bene giuridico tutelato.

2.4. L’elemento soggettivo: il dolo – I delitti di falso materiale in document

pubblici sono puniti a titolo di dolo generico, il quale pertanto consiste nella rap- presentazione e nella volontà di contraffare o alterare e nella rappresentazione della particolare qualifica soggettiva (là dove prevista) e dell’oggetto materiale del- la condotta, con i suoi requisiti minimi (es. rilevanza giuridica della dichiarazione, riconoscibilità dell’autore) e con le sue particolari qualità (es. genuinità del docu- mento in presenza di una condotta di alterazione).

La gran parte delle questioni problematiche che attengono all’elemento psi- chico del falso materiale non sono altro che il risvolto soggettivo di questioni con-

cernenti la dimensione oggettiva del fatto tipico, nel senso che la questione inter-

pretativo-applicativa nasce, prima ancora che dalla dimensione soggettiva in sé e per sé considerata, dal modo in cui si ricostruisce l’elemento oggettivo.

In argomento esistono nella sostanza due diversi orientamenti: da un lato, quel- lo giurisprudenziale, caratterizzato da una ricostruzione della componente ogget- tiva in senso formalistico, con la conseguenza che lo stesso elemento psichico vie- ne concepito in termini altrettanto formali; dall’altro lato, quello dottrinale, diret- to a valorizzare sempre sul piano oggettivo l’eventuale offesa degli interessi sottesi al documento.

mali, affermando che per la configurabilità del dolo è sufficiente la sola coscienza e volontà dell’alterazione del vero, indipendentemente dallo scopo che l’agente si sia proposto (perseguire un vantaggio o recare un danno) e al di là della convinzio- ne di non produrre alcun danno [Cass., Sez. V, 17.11.1998, Marino, in Cass. pen., 1999, 377; Cass., Sez. VI, 22.3.1995, Ventura, in Riv. pen., 1996, 101; Cass., Sez. V, 25.11.1986, Fiaccabrino, in CED, rv 175320; Cass., Sez. VI, 10.10.1984, Sai, in

Giust. pen., 1985, II, 626; Cass., Sez. V, 17.10.190, Comastri, in Cass. pen., 1982,

251].

Tale posizione rigoristica è del tutto coerente con la formulazione della fatti- specie espressa dalla legge, in quanto negli artt. 476, 477 e 482 c.p. manca la pre- visione di un dolo specifico come quello previsto dall’art. 485 c.p.

L’unico margine che in questa prospettiva può esistere per l’esclusione della responsabilità sul piano soggettivo sembra risiedere nelle espressioni “falso” e “vero” utilizzate dal legislatore per qualificare l’atto suscettibile di falsificazione materiale. Ed infatti, posto che tali espressioni fanno riferimento al carattere “non autentico” oppure “autentico” del documento falsificato [v. retro, 2.2.1.2], po- trebbe accadere che un soggetto le interpreti nel senso di “contenutisticamente vere” oppure “false”, con la conseguenza che si dovrà escludere la responsabilità in presenza di una correzione nel senso della verità. Detto diversamente, se un soggetto ritiene che l’alterazione del vero deve comportare non solo l’offesa alla paternità, ma anche – e prima ancora – l’offesa alla veridicità, appare evidente che il soggetto che corregge il documento nel senso della verità finisce per essere in errore in ordine alla alterazione della genuinità dell’atto [tuttavia, di contrario av- viso, v. Cass., Sez. V, 17.11.1998, Marino, cit.].

D’altra parte, riconosciuta rilevanza a questo tipo di errore, si deve ritenere che esso non costituisca un errore sul fatto escludente il dolo, bensì un errore sul precetto idoneo ad eliminare la colpevolezza soltanto se inevitabile. In questa ipo- tesi, infatti, l’errore non riguarda l’errata percezione di un elemento costitutivo oppure l’errata interpretazione del significato di norme extrapenali, bensì il signi- ficato stesso (la portata) di un elemento costitutivo normativo in una prospettiva – per così dire – astratta, con la conseguenza che l’errore su tale significato deter- mina un errore sull’estensione della illiceità della fattispecie e quindi un errore sul precetto [in argomento, v. PALAZZO, 299; PULITANÒ, 397 ss.].

Decisamente diverso l’orientamento dottrinale che tende ad attribuire rilevan- za all’intenzione di ingannare o comunque all’intenzione di ledere o porre in peri- colo interessi di terzi, con la conseguenza che si dovrebbe escludere la punibilità per mancanza di dolo in quei casi in cui il soggetto abbia agito nella erronea con- vinzione che il falso fosse giuridicamente irrilevante ovvero inidoneo all’inganno [per la prima prospettiva plurioffensiva, ancorché con sfumature diverse, v. AN- TOLISEI, 81 s.; SERENI, 324 s.; per la seconda prospettiva ingannatoria, v. DE MAR- SICO, 598; FIANDACA,MUSCO, 587, secondo i quali «il dolo non si esaurisce nella

coscienza e volontà di immutare il vero, ma ricomprende la consapevolezza di porre in pericolo la certezza del traffico giuridico»; CRISTIANI, 196; PADOVANI, 1542 ss.].

Ebbene, alla base di questa soluzione interpretativa v’è nella sostanza una tra- sformazione del fatto tipico, nel senso che ad esso vengono aggiunti come elemen- ti costitutivi l’offesa o comunque la messa in pericolo di un interesse ulteriore ri- spetto alla fede pubblica (concezione c.d. plurioffensiva delle falsità) oppure la fattispecie viene arricchita della idoneità ingannatoria della condotta (concezione c.d. realistica del reato), elementi aggiuntivi che se non voluti e/o conosciuti de- terminano un errore sul fatto. Vero questo, non possiamo non rinviare alle consi- derazioni critiche mosse a questi correttivi [v. retro, Cap. I, 2.1.1.3 e infra, Cap. VIII].

A ben vedere, un margine per escludere il dolo, senza alterare la previsione le- gislativa dell’elemento oggettivo, può esistere in merito al falso c.d. consentito. Già abbiamo visto come rispetto agli atti pubblici il consenso a sottoscrivere non possa operare sul piano oggettivo anche là dove si muova da una prospettiva di tutela della genuinità/paternità del documento [v. retro, 2.2.4]. Tuttavia, si può ritenere che il consenso possa determinare un errore sul fatto, nel momento in cui il soggetto agisce nella convinzione che la propria attività si svolga su un piano meramente fisico-materiale, riconoscendo con ciò la paternità spirituale del do- cumento all’autore che ha prestato il consenso. E lo stesso ragionamento può es- sere compiuto anche là dove viene in gioco un atto pubblico fidefacente, doven- dosi tuttavia ammettere che a causa delle particolari modalità con cui si svolge l’attività di documentazione, sarà molto difficile che il soggetto agisca nella con- vinzione di essere del tutto estraneo rispetto alla attività di documentazione.

Nel documento Le falsità documentali (pagine 197-199)

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