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Il “mero” atto pubblico e il certificato (artt 476 comma 1 e 477 c.p.).

Nel documento Le falsità documentali (pagine 113-117)

Capitolo III Le tipologie di documento

G) Un discorso più complesso deve essere fatto per le relazioni c.d di servizio redatte dalla polizia giudiziaria per documentare le proprie attività Secondo un

3. Il “mero” atto pubblico e il certificato (artt 476 comma 1 e 477 c.p.).

Per quanto riguarda l’atto pubblico di cui all’art. 476, comma 1, c.p., anzitutto si deve osservare che la sua nozione non coincide con quella di atto pubblico pre- vista dagli artt. 2699 ss. c.c.

Ha affermato la giurisprudenza che «il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 c.c., dovendo rientrare in detta nozione non soltanto i documenti che sono redatti, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico im- piegato, nell’esercizio delle loro funzioni o attribuzioni, per uno scopo diverso da quello di con- ferire ad essi pubblica fede» [Cass., Sez. V, 28.4.1998, Tramontana, in Cass. pen., 1999, 3431; di contrario avviso, isolatamente e senza argomentare, Cass., Sez. III, 29.9.1999, Calanni, in CED, n. 12639/1999, in cui si identifica in modo espresso l’atto pubblico a fini penalistici con quello disciplinato dall’art. 2699 c.c.].

Ciò significa che mentre nel diritto extrapenalistico la nozione di atto pubblico è unica e coincide con quella di atto pubblico fidefacente, in diritto penale, inve- ce, si ha una nozione di atto pubblico in senso lato, all’interno della quale si de- vono distinguere due diverse tipologie, l’atto pubblico fidefacente e l’atto pubbli- co in senso stretto, o meglio, il “mero” atto pubblico.

La nozione di “mero” atto pubblico è molto problematica, ponendosi la ne- cessità di distinguerla da quella di certificato e di autorizzazione. Per quanto ri- guarda la differenza tra atto pubblico e certificato, carattere comune a entrambi questi atti è la loro provenienza da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue fun- zioni, dovendosi precisare come in essi l’attività di documentazione non consista nell’esercizio di una pubblica funzione, ma piuttosto sia strumentale all’esercizio di una pubblica funzione. Detto in altri termini, mentre rispetto all’atto pubblico fi- defacente la stessa attività di documentazione è esercizio di una funzione pubbli- ca, vale a dire l’esercizio di una funzione pubblica certificativa, negli altri atti pro- venienti dai pubblici ufficiali l’attività di documentazione non è – per così dire – autonoma, bensì strumentale e quindi collegata all’esercizio di una determinata funzione pubblica.

Al di là di questo carattere comune, la distinzione tra atto pubblico e certifica- to – come accennato – non è agevole. Originariamente, con riferimento al criterio distintivo, si potevano individuare tre orientamenti. Secondo il primo, basato sul- la natura degli effetti giuridici prodotti dagli atti, erano atti pubblici quelli che a- vevano efficacia costitutiva o dispositiva, mentre erano certificati quelli che pro- ducevano effetti dichiarativi. Tale soluzione tuttavia non poteva essere accolta in quanto, confondendo l’effetto con la natura della dichiarazione, finiva per identi- ficare il certificato con la mera dichiarazione narrativa, ma come vedremo meglio in seguito, anche l’atto pubblico può consistere in una dichiarazione narrativa, potendosi anticipare fin d’ora che il problema della natura della dichiarazione è un problema – per così dire – trasversale, che riguarda tutti gli atti quale che sia la loro natura, essendo piuttosto legato al tipo di condotta [v. infra, Cap. V, 2.1.2.1].

Per un altro indirizzo, si doveva fare riferimento all’oggetto della documentazio- ne, ragion per cui era atto pubblico quello che documentava un fatto percepito dal pubblico ufficiale, mentre era certificato quello che documentava il contenuto di atti pubblici preesistenti o di fatti risultanti aliunde. Infine, v’era un terzo indi-

rizzo denominato eclettico, secondo cui era pubblico l’atto caratterizzato da di-

retta percezione, avesse o meno efficacia costitutiva [su questi orientamenti, an- che per ampi riferimenti giurisprudenziali, v. Cass., Sez. Un., 10.10.1981, Di Car- lo, in Cass. pen., 1982, 444].

Tra questi tre orientamenti le Sezioni Unite accolsero l’ultimo, affermando che il “mero” atto pubblico «è caratterizzato, in via congiuntiva o anche solo alterna- tiva, dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, modificativi o estensivi ri- spetto a situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l’atto o di fatti avvenuti alla sua presenza o dai lui percepiti. Per converso, deve considerarsi certificato la mera attestazione di verità o di scienza – priva di qualsiasi contenuto negoziale e svincolata dal compimento di attività direttamente effettuate o perce- pite dal pubblico ufficiale – relativa a fatti dei quali è già stata accertata altrimenti la esistenza» [Cass., Sez. Un., 10.10.1981, Di Carlo, cit., 445].

Da questa formula, a dire il vero non troppo felice, si è ricavato che mero atto pubblico e certificato vengono distinti anzitutto in virtù del tipo di attività posta in essere dal pubblico ufficiale, per cui se il pubblico ufficiale percepisce diretta- mente fatti e attività, si è in presenza del primo tipo di documento, mentre se il pubblico ufficiale percepisce indirettamente questi fatti ed attività, nel senso che ne viene a conoscenza soprattutto in virtù di documenti preesistenti, si sarebbe in presenza di certificati. In secondo luogo, si è ricavato che se è vero che tutti gli atti con percezione diretta sono atti pubblici, tuttavia non è altrettanto vero che tutti gli atti con percezione “indiretta” sono certificati. Esisterebbero infatti atti qualificati pacificamente come pubblici che tuttavia si basano su una percezione indiretta da parte del pubblico ufficiale. Ecco allora che in queste ipotesi la di- stinzione tra atto pubblico e certificato non si può cogliere facendo riferimento al tipo di percezione, bensì sulla base degli effetti prodotti dagli atti, per cui è atto pubblico quello che ha effetti costitutivi di diritti, mentre il riferimento all’effi- cacia dichiarativa del certificato, per le ragioni già viste, è progressivamente venu- to meno.

D’altra parte, rispetto a questa seconda tipologia di atti pubblici, sembra esse- re ormai superata la soluzione delle Sezioni Unite basata sulla natura dichiarativa o costitutiva degli effetti, essendosi piuttosto affermata l’idea che si debba fare ri- ferimento alla novità o riproduzione degli effetti, ragion per cui, in assenza di una diretta percezione, se si tratta di atti che costituiscono diritti ed obblighi o co- munque producono effetti nuovi, prima inesistenti, offrendo un contributo di co- noscenza all’interno del procedimento amministrativo, tali documenti si devono qualificare come pubblici; se invece si tratta di atti che non producono effetti co- stitutivi, né producono effetti nuovi, né aggiungono informazioni, e quindi nella sostanza riproducono ciò che già esiste, allora si tratta di certificati.

Quest’ultimo orientamento si ricava da quel recente filone giurisprudenziale che dà la se- guente definizione di certificato: «per poter qualificare come certificato amministrativo un atto proveniente da un pubblico ufficiale, devono concorrere due condizioni: a) che l’atto non atte- sti risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attesta- zioni già documentate; b) che l’atto, pur quando riproduca attestazioni desunte da altri atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a ripro- durre anche gli effetti dell’atto preesistente» [Cass., Sez. V, 14.3.2000, De Marco, in Cass. pen., 2001, 1790. Nello stesso senso cfr. Cass., Sez. V, 24.1.2007, Marigliano, ivi, 2008, 621; Cass., Sez. V, 26.9.2006, Roselli, in CED, n. 35788/2006; Cass., Sez. V, 19.12.2002, Basilari, in Guida dir., 2003, 13, 74, con nota di FORLENZA; Cass., Sez. V, 30.11.1999, Moro, in Cass. pen., 2001, 139; Cass., Sez. V, 9.2.1999, Andronico, ivi, 2000, 377; Cass., Sez. V, 27.4.1999, Gallinelli, ivi, 2000, 1592; Cass., Sez. V, 11.2.1997, Giglio, ivi, 1998, 104; Cass., Sez. V, 11.11.1997, Marino- ne, ivi, 1999, 857; Cass., Sez. V, 22.10.1996, Ungaro, in Giust. pen., 1998, II, 132; Cass., Sez. V, 24.6.1996, Battaglia, in Cass. pen., 1997, 2050, con nota di TOMEI; Cass., Sez. V, 10.7.1995,

Russomando, ivi, 1996, 1421; Cass., Sez. V, 21.2.1995, Calami, ivi, 1995, 2547, con nota di MAGRO]. In argomento si v. anche Cass., Sez. V, 30.11.1999, Giglio, in CED, n. 1004/2000, se-

condo cui «ciò che caratterizza il certificato è la riproduzione non solo del contenuto, ma anche dell’efficacia di un atto già compiuto e documentato. E la necessità che il certificato esprima una conoscenza già documentata come pertinente a un ufficio rende, innanzitutto, evidente l’inaccettabilità della tesi dottrinale e giurisprudenziale che vi ricomprende anche le attestazioni di fatti oggetto di una conoscenza personale del pubblico ufficiale, acquisita anteriormente alla redazione dell’atto. Quanto agli effetti giuridici dell’atto, non è la loro natura costitutiva o di- chiarativa a distinguere l’atto pubblico in senso stretto dal certificato, bensì la loro preesistenza (certificato) o la loro novità (atto pubblico), dato che il certificato, quale atto derivativo, non produce effetti giuridici suoi propri, ma riproduce solo quelli dell’atto che necessariamente pre- suppone».

Con riferimento all’atto pubblico, si è fatto riferimento alla “novità” degli effetti, o comun- que alla capacità contributiva dell’atto sul piano dell’iter procedimentale, nelle seguenti senten- ze: Cass., Sez. V, 15.2.2008, Domanico, in CED, n. 10048/2008, relativa ad una dichiarazione da parte di un componente di una commissione per l’espletamento di un concorso pubblico in merito alla insussistenza di situazioni di incompatibilità con alcuno dei concorrenti: trattasi di di- chiarazione «“destinata a spiegare effetto giuridico rilevante” ai fini della regolare composizione della suddetta commissione»; Cass., Sez. V, 10.10.2005, Rizzo, in Cass. pen., 2007, 1651, rela- tiva a proposta di delibera formulata dal Sindaco: «si tratta di atto pubblico, in quanto proviene, pur come atto interno, da un organo che opera sulla base della specifica competenza funziona- le e concorre a realizzare l’atto conclusivo costituente la manifestazione del potere pubblicistico della p.a.»; Cass., Sez. V, 11.11.1997, Marinone, cit., dove si afferma che «costituisce atto pub- blico la lettera con la quale il Sindaco risponde ad una formale richiesta di informazioni rivolta all’ufficio comunale, quando essa comprovi una attività valutativa e ricognitiva da parte del pub- blico ufficiale redigente»; Cass., Sez. VI, 12.1.1996, Macrì, in Cass. pen., 1997, 1721, dove si afferma che costituisce atto pubblico «qualsiasi documento proveniente da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e destinato ad inserirsi con contributo di conoscenza e deter- minazione in un procedimento della pubblica amministrazione».

In sostanza, da quanto detto fin qui consegue che si hanno due tipologie di at-

ti pubblici: da un lato, l’atto pubblico derivante da una percezione diretta; dal-

l’altro lato, l’atto pubblico derivante dalla mancanza di una percezione, ma carat- terizzato dalla novità dell’effetto prodotto.

Vero quanto affermato, a questo punto si rendono necessari alcuni chiarimen-

ti. Anzitutto, su un piano complessivo, si deve osservare come il risultato che si è

conseguito è coerente con il diverso disvalore delle fattispecie, nel senso che la falsificazione di un “mero” atto pubblico esprime maggior disvalore, in quanto tale

atto implica una peculiare attività – per così dire – diretta e immediata del pub- blico ufficiale o comunque produce effetti giuridici “innovativi” destinati ad avere conseguenze nel traffico giuridico. Diversamente, la falsificazione del certificato esprime un disvalore minore perché tale documento è un atto – per così dire – for- malmente derivativo, ma sostanzialmente originale, in quanto, da un lato riprodu- ce fatti ed effetti emergenti da altri documenti, dall’altro lato però ha una propria “autonomia e individualità”, essendo del tutto indipendente da quello originario e svolgendo soprattutto una funzione informativa immediata [in dottrina, ancorché in termini diversi, si v. (b) MALINVERNI, 134; DE MARSICO, 576; (a) RAMACCI,

97; (a) DE AMICIS, 96].

In secondo luogo, in ordine all’atto pubblico caratterizzato da una diretta per-

cezione, occorrono due precisazioni ulteriori. Da un lato, posto che sono senza

dubbio suscettibili di falsità gli atti che attestano fatti e attività contestuali all’at- tività di documentazione, si deve chiarire se siano suscettibili di falsità anche fatti percepiti e attività compiute prima della attività di documentazione [(i) NAPPI, 108]. Dall’altro lato, occorre specificare se la diretta percezione implichi anche un potere di controllo immediato e contestuale in ordine alla veridicità di quanto si attesta.

Ebbene, per quanto riguarda la prima questione, v’è sostanziale accordo nel ri- tenere che atto pubblico sia anche quello che attesta fatti e attività precedenti alla

attività di documentazione. Proprio perché quest’ultima non è autonoma, ma stru-

mentale ad altra funzione, può ben accadere che la funzione sia precedente alla documentazione (si pensi alla relazione di servizio oppure alla cartella clinica).

Molto più delicata la seconda questione relativa al potere di controllo. Non c’è dubbio infatti che a rigore la percezione dovrebbe essere accompagnata da un po- tere di controllo, nel senso che dovrebbero assumere rilevanza tutti quei fatti e quelle attività che il pubblico ufficiale è in un certo senso capace di controlla- re/verificare, anche perché solo se esiste un controllo è possibile attestare la verità di un fatto o di una attività e quindi il pubblico ufficiale compie un’attività che non consiste in una mera trascrizione. Tuttavia, come vedremo meglio in seguito, si tende ad attribuire rilevanza anche alla mera percezione svincolata da un effet- tivo potere di controllo, anche perché, una volta qualificata come atto pubblico la dichiarazione che non presuppone una percezione diretta, ma solo effetti nuovi (e che quindi non presuppone un potere di controllo), non c’è ragione di non inclu- dere anche la dichiarazione che postula una percezione, ma è pur sempre priva di controllo.

Ebbene, tale soluzione così estensiva, se ha senso in presenza di un falso mate- riale, rischia di essere contraddittoria rispetto al falso ideologico. Quando infatti si tratta di falsità materiale è del tutto logico attribuire rilevanza sia all’atto pub- blico basato su un’attività di percezione, sia a quello che si fonda sulla novità degli effetti e quindi in buona sostanza attribuire rilevanza anche alle dichiarazioni che non presuppongono un controllo. Si pensi ad un atto come il piano regolatore (oggi piano strutturale e regolamento urbanistico). Ebbene, non c’è dubbio che si tratti di atto che proviene da soggetti pubblici e che produca effetti nuovi; tuttavia non

si può dire che vi sia una percezione diretta e un potere di controllo: eppure viene qualificato come “mero” atto pubblico [Cass., Sez. I, 9.3.1998, in Cass. pen., 1999, 2146, in cui si afferma che il piano regolatore ha natura di atto pubblico perché tende a regolare l’incremento degli insediamenti abitativi per mezzo della scelta da parte dei pubblici poteri, della destinazione delle aree suscettibili di edifica- zione, onde i vincoli e le limitazioni imposti ai soggetti privati rivestono carattere eminentemente pubblicistico]. Si pensi anche alla richiesta che, se sottoscritta dal- la prevista quota di consiglieri comunali, impone di sottoporre al vaglio del comi- tato regionale di controllo deliberazioni delle Giunte ritenute illegittime dai fir- matari [Cass., Sez. V, 1.10.1996, in Cass. pen., 1997, 3014]. Ma si pensi anche alla proposta di delibera del Consigliere comunale o del Sindaco.

Al contrario, in presenza di un falso ideologico, non è funzionalmente coeren- te attribuire rilevanza agli atti che non postulano un controllo (e quindi una per- cezione immediata), proprio perché una dichiarazione di verità implica pur sem- pre la possibilità di accertarla.

Alla luce di quanto affermato, non mi parrebbe pertanto del tutto fuori luogo distinguere due diversi concetti di “mero” atto pubblico a seconda della condotta che viene in gioco, per cui se si tratta di falso materiale si deve ritenere che ogget- to di falsificazione possa essere sia il documento basato sulla diretta percezione, comprensivo anche dell’ipotesi in cui manca un potere reale di controllo, sia il documento basato sulla novità degli effetti; se invece si tratta di falso ideologico sarà suscettibile di falsificazione solo l’atto basato su una diretta percezione e su un contestuale potere di controllo/verifica. E come avremo modo di vedere, que- sti aspetti potrebbero avere importanti conseguenze in presenza di una dichiara- zione resa dal privato al pubblico ufficiale, sul piano della distinzione tra art. 483 e 48/479, in quanto se il pubblico ufficiale ha potere di controllo, il privato ri- sponderà ex 48/479; se invece non ha tale potere o è comunque rinviato a un momento successivo, verrà integrata la fattispecie di cui all’art. 483 [v. infra, Cap. V, 2.2 ss.].

3.1. Alcune ipotesi di “mero” atto pubblico. – Scendendo nel dettaglio, vi sono

atti che non pongono particolari problemi di qualificazione nel senso dell’atto pub-

blico. La maggior parte di questi si caratterizza per una percezione diretta, come

anche per l’esercizio di una vera e propria attività di controllo da parte del pub- blico ufficiale. Occorre tuttavia notare come a volte questi atti siano qualificati co- me atti pubblici fidefacenti.

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