• Non ci sono risultati.

Il problema del falso c.d consentito – La figura del falso c.d consentito

Nel documento Le falsità documentali (pagine 192-195)

Capitolo IV Le falsità material

2. Le falsità materiali in “documenti” pubblici (artt 476, 477, 482 c.p.) Il bene giuridico tutelato.

2.1. Il soggetto attivo ovvero la distinzione tra pubblico ufficiale (artt 476-

2.2.4. Il problema del falso c.d consentito – La figura del falso c.d consentito

si ha quando la sottoscrizione è apposta da un soggetto diverso da quello legitti- mato, ma in virtù del consenso di quest’ultimo, con la conseguenza che la diffe- renza tra autore apparente ed autore reale attiene più all’esecuzione fisico-mate- riale della sottoscrizione che alla paternità “spirituale” della dichiarazione. Il proble- ma che si pone concerne la sua punibilità o meno.

Sul tema si deve registrare una netta contrapposizione tra dottrina e giurispru-

denza. Mentre infatti per la stragrande maggioranza della giurisprudenza non v’è

alcuno spazio per una rilevanza del consenso, all’interno della dottrina, invece, gli si attribuisce rilievo, ancorché con argomentazioni diverse.

In particolare, la giurisprudenza nega qualsiasi rilevanza al falso consentito, sia che abbia ad oggetto un atto pubblico, sia che riguardi una scrittura privata [per quanto riguarda l’atto pubblico, v. Cass., Sez. V, 9.5.2001, Annunziata, in Foro it., 2002, II, 123; Cass., Sez. VI, 19.11.1998, Rosiello, in Riv. pen., 1999, 354; Cass., Sez. V, 5.7.1990, Ceccarelli, in Foro it., 1993, II, 436. Con riferimento alla scrittura privata cfr. Cass., Sez. V, 10.3.2009, Livi, in CED, n. 16328/2009; Cass., Sez. V, 14.2.2006, Parocco, in CED, n. 12181/2006; Cass., Sez. II, 24.10.2003, Del Miglio, in Riv. pen., 2005, 214; Cass., Sez. V, 12.2.2004, Cossia, in CED, n. 19644/2004; Cass., Sez. V, 9.12.1981, Moretti, in CED, rv 152227. Per un’ipotesi peculiare, in cui è stata attribuita rilevanza al consenso, v. Cass., Sez. V, 13.5.1987, Dell’Acqua, in CED, rv 176302, relativa a ritenuta insussistenza di falsità in atti pubblici nell’ap- posizione di firma di un collega, dopo averne ottenuto l’esplicito consenso, da parte di medico in un documento di denuncia, già sottoscritto da lui e da altro medico, per la cui validità ed efficacia la falsa sottoscrizione non poteva incidere in alcun modo. In dottrina, v. NAPPI, 182 ss.].

Le argomentazioni utilizzate a sostegno di questa soluzione sono fondamen- talmente due. Da un lato, si fa riferimento alla circostanza che la fede pubblica è un bene pubblico, come tale indisponibile dal singolo soggetto, con la conseguen- za che il consenso dell’avente diritto di cui all’art. 50 c.p. non può avere efficacia scriminante. Dall’altro lato, si nega validità – per così dire – civilistica al mandato

ad scribendum, in virtù del fatto che la sottoscrizione “apparterrebbe” al soggetto

titolare della firma.

Al di là della questione se il consenso scrimini o faccia venir meno la tipicità, si deve notare come ciò che porta ad adottare questa soluzione rigoristica sembra essere soprattutto l’idea (implicita) di una falsità materiale strettamente connessa all’inganno. Ed infatti, affermare che il consenso a sottoscrivere non ha alcun ri- lievo, significa nella sostanza affermare che autore della dichiarazione non è tanto colui che è “padre spirituale” della dichiarazione, bensì il redattore materiale del- l’atto, vale a dire colui che lo forma materialmente [cfr. NAPPI, 183, il quale, dopo

aver distinto tra atto e documento, afferma che «solo l’atto, invero, può essere og- getto di un mandato, che ne affidi il compimento al mandatario per conto ed even- tualmente anche in nome del mandante. Il documento, invece, in quanto mezzo di esternazione, è sempre e solo riferibile a colui che lo confezioni»]. E la ragione per cui si attribuisce rilevanza alla redazione materiale, più che alla “paternità i- deale” risiede proprio nel pericolo di inganno: essendo la firma del soggetto non titolare inevitabilmente diversa da quella del soggetto legittimato, quest’ultimo po- trà sempre disconoscere la firma, finendo così per compromettere gli eventuali in- teressi di terzi. Detto in altri termini le ipotesi di falso consentito finiscono per es- sere trattate come quelle della falsificazione della propria firma, le quali tuttavia non dovrebbero essere qualificate come falso, poiché sul piano della paternità il do-

cumento è senza dubbio genuino (v. infra, 3.1). E una conferma di quanto appena affermato proviene dalla constatazione che gran parte delle ipotesi in cui si pone un problema di falso consentito riguarda titoli di credito e cambiali. Infatti, è proprio rispetto a questi atti che entrano in gioco interessi di terzi suscettibili di inganno.

Molto più articolata la posizione della dottrina. Anzitutto v’è chi distingue tra

atto pubblico e scrittura privata: mentre nella prima ipotesi il falso consentito non

opera, nella seconda può trovare margini d’applicazione. In particolare, rispetto all’atto pubblico si ritiene che il consenso non operi perché la firma del pubblico ufficiale sarebbe una garanzia della genuinità dell’atto, così da essere condizione della stessa esistenza dell’atto. Rispetto alla scrittura privata, invece, il consenso opererebbe poiché tale scrittura non richiederebbe come elemento essenziale quel legame che intercorre tra sottoscrizione e autenticità [DE MARSICO, 473 ss.].

All’interno di questo orientamento si possono individuare due varianti. Per la

prima, rispetto alle scritture private si dovrebbe distinguere ulteriormente. Se in-

fatti si tratta di scritture private i cui effetti si producono soltanto nell’ambito giu- ridico del soggetto che acconsente ad apporre la firma apocrifa, il consenso opera; al contrario, se si tratta di scritture private che producono effetti che incidono in ambiti di soggetti diversi da quelli strettamente interessati, allora il consenso non può operare [MALINVERNI (e), 86]. Così, ad esempio, non potrebbe assumere ri- levanza il consenso nel falso in cambiale, in quanto tale documento produce effet- ti non solo verso il primo prenditore-creditore, ma anche nei confronti dei pren- ditori successivi [BRICOLA, 284]. In questa prospettiva, si tende ancora una volta a valorizzare soprattutto il possibile effetto ingannatorio nei confronti dei terzi.

Per un’altra variante, che si ispira alla plurioffensività [evidenzia questo aspet- to GIACONA, 47 s.], il consenso rileverebbe soltanto in presenza di tutte le falsità

privatistiche, in quanto il bene della fede pubblica non sarebbe altro che l’interes- se «dell’operatore economico ad essere garantito contro false apparenze che pos- sano minare le sue operazioni». Di conseguenza, essendo in tali fattispecie «asso- lutamente necessario che sussista una lesione concreta degli interessi di qualche altro consociato», nel caso di falso consentito verrebbe a mancare l’elemento dell’offesa [GRANDE, 61 s.].

In secondo luogo, v’è un orientamento che attribuisce sempre rilevanza al fal-

so consentito, senza tuttavia compiere alcuna distinzione tra atti pubblici e scrit- ture private: «è da ritenere che ai fini della paternità di un atto, decisiva non sia la

sua compilazione materiale da parte dell’autore: ciò che veramente conta, è che l’atto (pur fisicamente redatto da un terzo) provenga intellettualmente dal sogget- to legittimato ad apparirne come l’autore reale» [C.FIORE, 276 ss.; FIANDACA,

MUSCO, 584]. Detto in altri termini, se chi ha apposto la firma ha agito senza con- senso, non c’è dubbio che si è in presenza di un falso materiale, in virtù della non corrispondenza tra autore apparente e autore reale. Ma se ha agito con il consen- so, appare difficile negare l’esistenza di una corrispondenza “ideale” tra autore apparente e autore reale. Diversamente, il titolare della sottoscrizione potrà essere punibile per truffa se ha autorizzato la sua apposizione con la riserva di discono- scere la firma o comunque di realizzare un inganno.

Alla base di questa soluzione sta l’idea che il falso materiale tutela l’autenticità del documento, la quale non deve essere concepita in termini fisico-materiali, ma in termini – per così dire – spirituali. Autore del documento è il dichiarante, vale a dire colui al quale si può attribuire la paternità della dichiarazione da un punto di vista spirituale, intellettuale, non il redattore, colui che nella sostanza scrive il documento. In quest’ottica ci si emancipa quindi dalla prospettiva ingannatoria.

D’altra parte, anche questa soluzione necessita di qualche correttivo. Non v’è dubbio infatti che l’autografia della firma sia necessaria in presenza di atti pubbli- ci fidefacenti, e ciò in virtù del fatto che la stessa funzione certificante passa attra- verso la sottoscrizione di colui che è legittimato ad esercitare tale funzione [C. FIORE, 334. Di contrario avviso (b)GIACONA, 55 ss., secondo il quale sarebbe comunque più coerente adottare una soluzione unitaria, sia essa orientata o meno nel senso della punibilità].

Nel documento Le falsità documentali (pagine 192-195)

Outline

Documenti correlati