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Infine, per quanto riguarda le dichiarazioni rese da terzi, si deve distingue re tra l’attestazione della loro ricezione e la responsabilità per il loro contenuto In

Nel documento Le falsità documentali (pagine 102-107)

Capitolo III Le tipologie di documento

C) Infine, per quanto riguarda le dichiarazioni rese da terzi, si deve distingue re tra l’attestazione della loro ricezione e la responsabilità per il loro contenuto In

ordine al primo profilo non c’è dubbio che l’attestazione contraria al vero di avere ricevuto dichiarazioni integra gli estremi del falso ideologico [v. Cass., 5.5.1999, Gerardi, in Cass. pen., 2000, 1590 ss., relativa a falsa attestazione in un atto di compravendita di aver ricevuto dal venditore la denuncia di cui all’art. 18 d.P.R. 26.10.1972, n. 643 (c.d. denuncia INVIM)]. Rispetto al secondo profilo, si deve precisare che il pubblico ufficiale di regola non è responsabile per il loro contenu- to: in ordine a tali dichiarazioni il notaio si limita ad attestare la loro ricezione, ma non si spinge a verificare la corrispondenza al vero di quanto dichiarato: ciò è do- vuto non solo al fatto che nessun obbligo di tal fatta incombe sul notaio, ma an- che alla circostanza che una attestazione di intrinseca veridicità necessita di un corrispondente potere di controllo.

sa dichiarazione dell’alienante e dell’acquirente di conformità dell’immobile alla concessione (adesso permesso a costruire); Cass., Sez. V, 10.4.2008, Frascarelli, in CED, n. 19385/2008, re- lativa a falsa attestazione dell’acquirente di avere già versato all’alienante la somma concordata per la compravendita; Cass., Sez. V, 4.12.2007, Bonventre, in CED, n. 5365/2008, relativa a falsa dichiarazione in un atto di donazione di avere usucapito alcuni terreni di proprietà altrui; Cass., Sez. V, 14.7.1999, Franco, in Riv. pen., 2000, 155, relativa a falsa attestazione del- l’alienante un immobile dell’esistenza della licenza di abitabilità, all’interno di un rogito notarile].

Tuttavia, può accadere che l’ordinamento in alcune ipotesi particolari possa pre- vedere tale obbligo. Quando ciò si verifica, il pubblico ufficiale deve essere dotato di un potere di controllo, e spesso si tratta di dichiarazioni di terzi concernenti fatti che lo stesso pubblico ufficiale percepisce in maniera diretta [v. verbale d’assemblea di cui all’art. 2375 c.c.: infra, 2.4].

2.2. Il giudice vincolato dalla fidefacenza. – In ordine alla questione della indi-

viduazione del giudice vincolato alla valutazione delle prove, si deve registrare un contrasto interpretativo. Per un primo orientamento, il giudice penale può valu- tare liberamente gli atti e quindi eventualmente disattendere l’attestazione in essi contenuta [Cass., Sez. II, 19.6.2003, Frattini, in CED, rv 225166; Cass., Sez. V, 2.10.2002, Giardino, in CED, n. 38240/2002; Cass., Sez. II, 8.5.2001, Verdinelli, in CED, rv 219640; Cass., Sez. V, 28.10.1999, Giardini, in CED, rv 215798; Cass., Sez. II, 19.10.1999, Fazio, in Cass. pen., 2000, 3374; Cass., Sez. V, 22.5.1998, To- nini, ivi, 1999, 2270; Cass., Sez. V, 10.1.1994, Capuzzi, ivi, 1995, 112; Cass., Sez. V, 22.2.1993, Jovanovich, in CED, rv 195014]. Alla base di questa soluzione v’è l’idea che nel processo penale, in tema di valutazione della prova (anche docu- mentale), la regola è il libero convincimento del giudice (art. 192, comma 1, c.p.p.), mentre le eccezioni alla utilizzabilità della prova devono essere espressa- mente previste dalla legge. Con la conseguenza che il giudice deve decidere sulla questione della veridicità dei fatti documentati in via incidentale nell’ambito del procedimento stesso, senza che la sua decisione faccia stato in altro processo e perciò possa pregiudicare l’eventuale accertamento di responsabilità per il delitto di falso [Cass., Sez. V, 2.10.2002, Giardino, cit., dove si afferma che «la questione di non rispondenza al vero del tenore del verbale deve essere risolta dal giudice nel procedimento in corso, nei limiti dell’art. 2, comma 2, c.p.p., secondo il quale la risoluzione di una questione incidentale non ha efficacia vincolante in nessun altro procedimento»].

Per altro orientamento, invece, il giudice penale non può valutare la falsità di un estremo documentato in un atto pubblico fidefacente, operando anche all’in- terno del processo penale quanto previsto dall’art. 2700 c.c. [Cass., Sez. IV, 23.1.2007, Volante, in Cass. pen., 2008, 2017; Cass., Sez. III, 7.10.2004, Delle Co- ste, in CED, rv 239315; Cass., Sez. VI, 26.4.2004, Cecchetelli, in Cass. pen., 2006, 189; Cass., Sez. II, 15.4.1998, Alessi, ivi, 1999, 2271].

Per risolvere questo contrasto giurisprudenziale occorre distinguere tra atti pubblici fidefacenti relativi a circostanze attinenti il fatto oggetto del processo e

atti pubblici fidefacenti relativi a circostanze attinenti il processo in corso. In or- dine agli atti pubblici fidefacenti relativi a circostanze attinenti il fatto oggetto

del processo, non c’è dubbio che il giudice penale possa valutare la veridicità del

contenuto di un atto pubblico fidefacente: così, ad esempio, là dove si ponga un problema di prova della effettiva presenza di un soggetto nel luogo del delitto, è evidente che l’eventuale produzione di un atto pubblico fidefacente redatto da un notaio in cui si attesta che in quello stesso giorno e a quella stessa ora in cui è sta- to commesso il reato l’imputato era a compiere una alienazione immobiliare, il giudice è libero di valutare questa circostanza.

Con riferimento agli atti pubblici fidefacenti relativi a circostante attinenti al

procedimento, come ad esempio la relazione di notifica e il verbale di udienza, il

discorso è destinato a farsi più complesso.

Anzitutto si pone il problema se tali atti abbiano ancora natura fidefacente. Sul punto occorre considerare che gli artt. 158 e 176 vecchio codice di procedura pe- nale qualificavano rispettivamente il verbale e la relata di notifica come atti pub- blici fidefacenti, sancendo che tali atti facevano fede fino a querela di falso di quanto il pubblico ufficiale aveva attestato di aver fatto o essere avvenuto in sua presenza, ma non pregiudicano la libera valutazione da parte del giudice dei fatti attestati e delle dichiarazione ricevute nel verbale medesimo. Tuttavia il nuovo codice non contiene disposizioni analoghe.

D’altra parte, si deve ritenere che tale omissione non sia dovuta alla volontà di negare a tali atti efficacia fidefacente, ma piuttosto alla contestuale soppres- sione del vecchio meccanismo dell’incidente di falso, al fine di semplificare il procedimento. Ecco allora che il giudice penale non può valutare liberamente quanto fatto dal pubblico ufficiale o avvenuto in sua presenza e attestato in que- sti atti, potendo invece compiere lui stesso una sorta di giudizio d’incidente di falso.

Così, si è affermato che «la mancata previsione nell’attuale dizione dell’art. 168 c.p.p. del principio contenuto nel previgente art. 176 comma 2, c.p.p. – in virtù del quale la relazione di notifica fa fede sino ad impugnazione di falso, per quanto l’ufficiale che eseguì la notificazione attesta aver fatto o essere avvenuto in sua presenza – non significa che il giudice possa libera- mente valutare la falsità di un estremo documentato dalla relazione, sulla base di quanto addu- ce la parte, e quindi non implica la soppressione della natura fidefacente dell’atto pubblico con conseguente potere del giudice di procedere alla libera valutazione non solo del contenuto de- gli atti ma degli stessi elementi ai quali l’art. 2700 c.c. assegna rilievo pubblicistico, ma implica semplicemente la caduta dell’incidente di falso in omaggio alla direttiva della massima semplifi- cazione nello svolgimento del processo» [Cass., Sez. VI, 15.6.1999, Piccione, in Cass. pen., 2000, 3097].

2.3. Alcune ipotesi di atto pubblico fidefacente. – A) Come accennato nei pre-

cedenti paragrafi, l’autentica di firma da parte del notaio (o di altro pubblico uffi- ciale: es. giudice di pace rispetto alle perizie giurate) può essere considerata senza dubbio un atto pubblico fidefacente. Essa si ha quando il notaio dichiara che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza e di aver precedentemente accertato

l’identità del sottoscrittore. In buona sostanza si autentica la genuinità dell’atto, per cui esiste certezza “assoluta” che l’atto proviene dall’autore apparente e che pertanto v’è coincidenza tra autore apparente e autore reale [Cass., Sez. V, 7.7.2005, Captano, in Riv. pen., 2006, 1242; Cass., Sez. V, 11.3.2004, Franzolin, in

Cass. pen., 2005, 1949; Cass., Sez. V, 17.11.2000, Talevi, ivi, 2002, 2366; Cass.,

Sez. V, 7.6.2001, Missino, ivi, 2002, 2099; Cass., Sez. V, 7.10.1983, Favuzza, in

CED, rv 161511].

A sostegno di questa soluzione si deve ricordare come l’art. 72, legge 16.2.1913 n. 89 prevede che «l’autenticazione delle firme apposte in fine delle scritture pri- vate ed in margine dei loro fogli intermedi è stesa di seguito alle firme medesime e deve contenere la dichiarazione che le firme furono apposte in presenza del nota- ro e, quando decorrano, dei testi e dei fidefacenti, con la data e l’indicazione del luogo».

D’altra parte, si deve osservare come in molte sentenze l’autentica di firma sia qualificata come semplice atto pubblico la cui falsificazione è pertanto punita ai sensi dell’art. 476, comma 1, c.p. [Cass., Sez. V, 1.4.2004, Ambrosi, in CED, n. 32082/2004; Cass., Sez. VI, 6.5.2003, Fedeli, in Riv. pen., 2005, 214, relativa ad autentica di sottoscrizione apposta su un foglio bianco; Cass., Sez. V, 7.6.2001, Missino, in Cass. pen., 2002, 2099; Cass., Sez. V, 11.10.2000, Limona, in CED, n. 12688/2000; Cass., Sez. V, 7.10.1987, Candian, in CED, rv 177808]. Si tratta tut- tavia di una soluzione che non può essere condivisa proprio in virtù della discipli- na legislativa che regola l’attività del notaio in modo tale da conferire certezza al contenuto della dichiarazione.

Merita precisare poi che la materiale falsificazione dell’atto di autentica notari- le di una scrittura di compravendita, commessa dal privato, integra il reato di fal- sità materiale in atto pubblico di cui agli artt. 476-482 c.p. in quanto nella scrittu- ra privata autenticata è contenuta la documentazione contestuale di due atti che sono tuttavia distinti essendo l’uno privato e l’altro (l’autentica notarile) pubblico [Cass., Sez. V, 7.4.2004, Franzolin, in Cass. pen., 2005, 1949 ss.].

In ordine alla questione della autentica di firma rispetto alle autocertificazioni, v. retro, 2.1.

Alla stessa stregua, si deve ritenere atto pubblico fidefacente il registro crono-

logico degli effetti cambiari [Cass., Sez. V, 10.2.2009, Marta, in CED, n. 26537/

2009; Cass., Sez. V, 7.6.2001, Sevi, in Cass. pen., 2002, 2755; Cass., Sez. V, 29.1.1996, Balestrieri, ivi, 1997, 408; Cass., Sez. V, 5.3.1982, Pastore, in CED, rv 153583; Cass., Sez. V, 2.12.1980, Curti, in CED, rv 147872]: l’art. 65, r.d. 21.12.1933, n. 1736, pre- scrive infatti che l’annotazione dei protesti debba avvenire giorno per giorno ed in ordine di data, con l’indicazione dei requisiti di cui all’art. 63 dello stesso decreto.

2.4. Alcune ipotesi problematiche. – A) La c.d. vera di firma o autentica mino- re può essere considerata un atto problematico. Essa si ha quando il notaio di-

chiara la veridicità della firma senza fare menzione di attività da lui compiute o percepite. In tal caso risulta difficile parlare di atto pubblico fidefacente, in quan-

to l’attività compiuta dal pubblico ufficiale presenta caratteri di netta diversità ri- spetto all’autenticazione di firma: nessuna indicazione di operazioni eseguite dal notaio (identificazione del firmatario e presenza all’apposizione della firma), ma semplice dichiarazione di riconoscere per vera la sottoscrizione di un soggetto. E proprio sulla base di questa diversità, l’orientamento prevalente è nel senso che la vera di firma non costituisce un atto pubblico fidefacente [isolata, nel senso della fidefacenza, v. Cass., Sez. V, 21.10.1975, Gelpi, in Giust. pen., 1979, II, 333, con nota critica di (b) D. GROSSO].

D’altra parte, posto che non si tratta di atto pubblico fidefacente, si pone il problema di stabilire se si tratta di “mero” atto pubblico oppure di certificato, e quindi se il soggetto debba rispondere ai sensi dell’art. 476, comma 1, c.p. oppure ai sensi dell’art. 477 c.p. La giurisprudenza è orientata nel senso del certificato [v. Cass., Sez. V, 11.10.2000, Limona, in CED, n. 12688/2000; Cass., Sez. V, 21.3.2000, Barbolini, in Cass. pen., 2001, 1205; Cass., Sez. V, 9.10.1997, Rossetti, in Giust. pen., 1998, II, 720; Cass., Sez. V, 10.10.1990, Colombo, in Cass. pen., 1992, 1805; Cass., Sez. V, 23.11.1986, Giuliani, ivi, 1988, 599]. Tuttavia c’è da chiedersi se non sia più opportuna un qualificazione come “mero” atto pubblico, in quanto, a ben vedere, stando ai criteri distintivi tra atto pubblico e certificato (v. infra, 3), il pubblico ufficiale compie comunque un’attività di percezione diret- ta dei fatti avvenuti in sua presenza, ovvero non sembra si possa affermare che c’è riproduzione di una precedente attestazione, né riproduzione degli effetti di un precedente atto.

B) Problematica è anche la natura del verbale di assemblea di cui all’art. 2375 c.c. [in argomento, v. BARTOLO, 157; NAPOLEONI, 2571; QUAGLIARO, 762; GIUN-

TA,207]. Com’è noto, tale disposizione distingue tra il verbale di assemblea ordina- ria (comma 1), il quale è «sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio» e il verbale di assemblea straordinaria (comma 2), il quale «deve essere redatto da un notaio».

Ebbene, per la giurisprudenza, entrambi i verbali, quando redatti da un no- taio, costituiscono atti pubblici fidefacenti.

Così, con riferimento al verbale di assemblea ordinaria si è affermato che «sembra di ovvia evidenza la proposizione che, se a redigere il verbale sia chiamato un notaio – com’è previsto, sia pure a livello di opzione della parte interessata – la funzione che il medesimo assolve non potrà che compiutamente omologarsi alle previsioni combinate degli articoli 2699 e 2700 c.c.» [Cass., Sez. V, 30.10.1995, Sciumbata, in Cass. pen., 1996, 2567, con nota di NAPOLEONI; App.

Roma, 4.10.1994, Abbate, ivi, 1996, 157, con nota di BARTOLO, sentenza in cui si afferma che

«il verbale notarile d’assemblea societaria è un atto che fa fede fino a querela di falso di quanto accaduto nel corso dell’assemblea. Pertanto il notaio che verbalizza circostanze di fatto diverse da quelle da lui percepite, anche se la verbalizzazione è stata effettuata su espressa richiesta del presidente, deve considerarsi colpevole del reato di falso in atto pubblico fidefacente, ex art. 479 c.p.»].

Con riferimento all’assemblea straordinaria, v. Cass., Sez. V, 3.3.1987, Frascarolo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1988, 395, relativa a falsa attestazione che il deliberato aumento di capita- le era stato contestualmente coperto e versato in contanti. Di contrario avviso, Cass., Sez. V,

4.10.1989, Fasano, in Cass. pen., 1990, 1482 ss., dove si afferma che il Presidente e il notaio dovrebbero rispondere in concorso ai sensi dell’art. 483 c.p., in quanto «la falsa attestazione attiene esclusivamente al contenuto della dichiarazione resa dal privato al pubblico ufficiale e non all’attività riconducibile a quest’ultimo».

Il punto è molto delicato, anche perché si intreccia alla problematica dell’ogget- to della dichiarazione fidefacente, vale a dire alla questione se il pubblico ufficiale debba dichiarare non solo che è vero che il terzo ha reso una determinata dichiara- zione, ma anche la veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese dal terzo al no- taio (v. retro, 2.1).

Ebbene, non c’è dubbio che di regola il notaio non è responsabile per il con- tenuto delle dichiarazioni del terzo, con la conseguenza che quando le dichiara- zioni rese da persone intervenute nell’atto sono state fedelmente registrate, pur essendo false nel loro contenuto, il notaio non ha realizzato una falsa attestazione. D’altra parte, per quanto riguarda l’assemblea straordinaria, è anche vero che in questa ipotesi non solo il notaio può controllare la veridicità del contenuto della dichiarazione del terzo, ma se il notaio fosse tenuto puramente e semplicemente a riportare le dichiarazioni del presidente, la scelta legislativa del suo intervento in luogo del segretario risulterebbe del tutto priva di senso, poiché al cambiamento formale dell’autore del verbale non si affiancherebbe alcuna utilità effettiva, visto che l’autore sostanziale rimarrebbe il presidente dell’assemblea. Detto in altri termini, questa ipotesi di dichiarazione del terzo può essere considerata del tutto peculiare in quanto si viene a creare una situazione in cui si tratta di stabilire se il contenuto della dichiarazione del terzo prevalga o meno rispetto a quanto perce- pito dal notaio oppure se sia quest’ultimo a prevalere sul primo. E poiché il pub- blico ufficiale è in grado di compiere un controllo e viene coinvolto proprio con la funzione di garantire l’assemblea rispetto al ruolo del Presidente, esistono buo- ne ragioni per ritenere che in questa ipotesi del tutto peculiare il notaio abbia ec- cezionalmente un potere di sindacato del contenuto della dichiarazione del terzo [in termini sostanzialmente analoghi BARTOLO, 169, il quale distingue a seconda che la verbalizzazione avvenga in forma analitica (responsabilità del notaio) oppu- re sintetica (irresponsabilità)]. Più controversa la questione con riferimento all’assemblea ordinaria, anche in virtù del fatto che la redazione del verbale è frut- to di una scelta.

Una cosa appare comunque certa: il notaio non potrà rispondere in concorso con il Presidente ai sensi dell’art. 483 c.p. [così, invece, Cass., Sez. V, 4.10.1989, Fasano, cit.], in quanto se il notaio non è consapevole della falsità, sarà esente da ogni responsabilità, mentre se è consapevole, sarà responsabile ex art. 479 c.p.:

tertium non datur, in ordine al pubblico ufficiale, mentre rispetto al privato sarà

possibile discutere se trovi applicazione l’art. 483 c.p. oppure il falso ideologico per induzione di cui agli artt. 48-479 c.p.

C) Anche la relazione (o relata) di notifica dell’ufficiale giudiziario ha natura

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