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La prospettiva pubblicistica: fede pubblica, sicurezza e certezza del

Nel documento Le falsità documentali (pagine 40-49)

diritto vigente e diritto vivente

2. La “modellistica” delle falsità documental

2.1. Il modello di tutela basato sulla particolare idoneità ingannatoria del

2.1.1. La prospettiva pubblicistica: fede pubblica, sicurezza e certezza del

traffico giuridico, concezioni processualistiche. – Più precisamente, per quan-

to riguarda la prospettiva pubblicistico-ingannatoria, come accennato si possono individuare tre varianti. La prima individua il bene giuridico tutelato nella fede

pubblica. Tale bene conosce due diverse articolazioni ulteriori. Da un lato, infatti

v’è chi ha fatto leva soprattutto su una dimensione statale od oggettiva della fede pubblica, ragion per cui la particolare fiducia trarrebbe origine dalla funzione pubblica che il documento svolge: in questa prospettiva è il carattere pubblicisti- co del documento, la sua provenienza da un potere pubblico, che fa sorgere la particolare fiducia, nel senso che i consociati sono indotti a fare affidamento su quei documenti che provengono da una pubblica autorità, da un pubblico potere, il quale, proprio perché “pubblico”, non può che operare secondo canoni di cor- rettezza e buon andamento [in argomento cfr. S. FIORE, 41 ss., il quale richiama il

pensiero di Carrara e Pessina]. Dall’altro lato, v’è chi fa leva invece su una dimen-

sione sociale o soggettiva della fede pubblica, ragion per cui essa è la fiducia che

usualmente e diffusamente la società ripone in alcune forme di rappresentazione, come può essere ad esempio per l’appunto il documento. In questa prospettiva ciò che imprime al documento fede pubblica non è la pubblica funzione, ma il destinatario pubblico, la collettività [MANZINI, 503; MIRTO, 81 s.; ANTOLISEI, 64; BRICOLA, 281; CATELANI, 3 ss.; CRIMI, 295; (a) GIACONA, 27 ss. e 291 ss., il quale, facendo leva sulla “funzione sociale della scrittura”, afferma che «l’atto

scritto non è di per sé un mezzo particolarmente ingannevole, esistendone certa- mente di più subdoli […] né il rigore punitivo previsto per il falso si giustifica sul rilievo che il pericolo può riguardare anche soggetti indeterminati […] In realtà […] non bisogna trascurare che vi è un’antichissima esigenza avvertita in tutte le comunità con un minimo di evoluzione, e cioè in cui s’instaurino rapporti commer- ciali e si conosca l’uso della scrittura, di attribuire credito a quest’ultima» (28). Nel- lo stesso senso sembra muoversi anche (a) NAPPI, 33 s., il quale fa riferimento alla «aspettativa di corrispondenza tra rappresentazione e realtà». In argomento v. an- cora S. FIORE, 43 ss.].

È bene precisare che si tratta di due visioni molto diverse tra di loro. Mentre infatti nella prospettiva “statale” il documento diviene tutelabile solo in quanto proveniente da un pubblico potere; al contrario, nella prospettiva sociale il do- cumento diviene tutelabile al di là della sua natura pubblica o privata, purché ab- bia quei requisiti minimi in presenza dei quali la società tende a riporvi la propria fiducia.

D’altra parte è anche interessante notare fin d’ora come queste due diverse prospettive tendano alla fin fine ad avvicinarsi, se non addirittura a combinarsi tra di loro, potendosi forse affermare che la prospettiva sociale è portata – per così dire – ad assorbire quella “statale”. Ed infatti, a ben vedere, il sentimento di fidu- cia che la collettività ripone su un documento proveniente da un potere pubblico finisce per essere maggiore rispetto a quello riposto in un documento proveniente da un soggetto privato, aprendosi così la possibilità di attribuire rilevanza alla di- stinzione tra atti pubblici e privati. E che le cose stiano in questi termini si ricava proprio da un passo della Relazione del Guardasigilli di accompagnamento del Codice penale del 1930, dove si afferma che la fede pubblica altro non è che «la fiducia che la società ripone negli oggetti, segni e forme esteriori, ai quali l’ordi- namento giuridico attribuisce un valore importante» [MINISTERO DELLA GIUSTI- ZIA E DEGLI AFFARI DI CULTO, § 490]. Ebbene, mentre la prima parte di questa

affermazione richiama il sentimento sociale della fiducia nel documento (a pen- sarci bene riconducibile in definitiva al brocardo latino verba volant, scripta ma-

nent), la seconda parte richiama il valore normativamente attribuito al documento

attraverso il coinvolgimento dei pubblici poteri statali. Del resto, in entrambe le prospettive ciò che viene in gioco è comunque il tradimento della fiducia che si viene a realizzare allorquando un documento è falso.

In una prospettiva ingannatoria e pubblicistica si muove anche la seconda va- riante che fa riferimento alla sicurezza e certezza del traffico giuridico. In una so- cietà moderna, caratterizzata da molte attività particolarmente dinamiche, il do- cumento è destinato ad assumere un ruolo fondamentale, perché consente di do- cumentare e quindi “stabilizzare” le situazioni giuridicamente rilevanti sottese alle diverse attività. D’altra parte, perché tale traffico possa essere certo e sicuro è ne- cessario che gli strumenti con cui si realizza siano in grado di garantire tale sicu- rezza e tale certezza, con la conseguenza che ancora una volta il documento deve risultare affidabile e quindi genuino e vero.

co può apparire come una riformulazione della fede pubblica intesa in senso so- ciale, come affidamento della collettività su ciò che è scritto, con l’unica differen- za, a dire il vero non molto rilevante, che mentre la fede pubblica si presentereb- be come il “lato” soggettivo di tale bene (il “sentimento” di fiducia), la sicurezza del traffico giuridico rappresenterebbe invece il “lato” oggettivo, vale a dire quei presupposti che devono oggettivamente sussistere affinché il sentimento di fiducia non sia frustrato. In altri termini, il passaggio dalla fede pubblica alla sicurezza del traffico giuridico sembra segnare il passaggio dalla prospettiva del sentimento sociale a quella delle condizioni sociali che consentono la sussistenza di quel sen- timento.

D’altra parte, è anche possibile riconoscere autonomia all’idea di certezza e si- curezza del traffico giuridico, affermando l’esistenza di una relazione strumentale tra tale certezza e la fede pubblica, ragion per cui mentre quest’ultima rappresen- ta lo scopo ultimo della tutela, la certezza costituisce lo strumento (ma anche il bene giuridico tutelato), e quindi la premessa, per perseguirlo, consentendo con ciò anche quella scissione tra bene tutelato e scopo della fattispecie molto spesso auspicato in funzione di garanzia.

Infine, rientra in questo filone basato sulla idoneità ingannatoria del falso an- che l’orientamento che identifica il bene giuridico tutelato dalle falsità documen- tali nella funzione probatoria del documento [con sfumature differenti, cfr. CAR- NELUTTI, 3 ss.; PROTO, 97 s.; (a) MALINVERNI, 225 ss.; (b) MALINVERNI, 77 s.;

SPASARI, 6; GALIANI, 180 ss.; (b) CRISTIANI, 184 s. Nello stesso senso, in buona sostanza, anche DE MARSICO, 564]. All’interno di questa concezione c.d. proces- sualistica si deve compiere ancora una volta una distinzione. Originariamente, in- fatti, la funzione probatoria era intesa in termini rigorosamente processuali, nel senso che si riteneva tutelato il valore probatorio del documento che veniva ad assumere rilevanza come mezzo di prova all’interno di un processo, precisando ulteriormente che non si tutelava tanto il mezzo di prova, ma la prova in sé, il con- tenuto stesso – per così dire – del mezzo di prova. D’altra parte tale soluzione venne ben presto abbandonata in virtù del fatto che il documento poteva e può avere una funzione probatoria anche nel traffico giuridico extragiudiziale: con la conseguenza che se si fosse tutelata la prova in senso giudiziale, si sarebbe finito per non tutelare i documenti con valore probatorio extragiudiziale. Ecco allora che in un secondo momento la funzione probatoria è stata concepita anche in termini extragiudiziali. Non solo, ma poiché un documento non è necessariamen- te destinato alla prova, mentre può assumere valore probatorio in un momento successivo, si è ulteriormente precisato che ciò che si tutela è l’efficacia probato-

ria – per così dire – potenziale (l’eventuale valore probatorio) del documento.

Al di là di tutti questi aspetti, ciò che si deve sottolineare è ancora una volta lo stretto legame che anche nella prospettiva processualistica intercorre tra falso e inganno. Come infatti è stato affermato, le falsità documentali «hanno il fine di evitare che, in base alla documentazione falsa […] possa pervenirsi ad un giudizio sbagliato. Detto scopo è comune a tutte le norme incriminatrici di pur differenti forme di falso. L’alterazione di un documento esistente, la formazione di un do-

cumento che in precedenza non esisteva, la soppressione di un documento preesi- stente, come le menzogne che vengono dette in un documento, sono incriminabili appunto in quanto creano il pericolo di un giudizio erroneo» e «l’indagine circa la probabilità di un giudizio esatto o di un giudizio sbagliato, in base a un documen- to vero o falso, attiene al valore probatorio del documento stesso» [(b) MALIN- VERNI, 77 e 79].

2.1.1.1. Le conseguenze di disciplina. – Quali dovrebbero essere le conseguenze di disciplina nell’ipotesi in cui un legislatore adottasse un sistema di falsità do- cumentali che si ispira a siffatta prospettiva ingannatoria? Il primo aspetto che mi preme sottolineare è che, contrariamente a quanto si possa credere, il con-

tenuto di disvalore del fatto si concentra più sul documento oggetto materiale

della condotta che sulla stessa condotta di falsificazione. Se da un lato infatti è vero che la condotta di falsificazione si caratterizza per una capacità ingannatoria è anche vero che il quid pluris che fa emergere la particolare aspettativa e fiducia rendendo le fattispecie di falso “autonome” da quelle di frode, è il documento. Detto in altri termini, se si facesse leva soltanto sulla capacità ingannatoria della condotta di falsificazione, le falsità documentali sarebbero destinate a perdere autonomia e ad essere ricomprese in quelle basate sulle modalità della frode. Da qui il disvalore espresso soprattutto dal particolare mezzo consistente nel docu- mento.

In secondo luogo, per quanto riguarda il documento, si deve osservare come assuma rilevanza soprattutto la distinzione tra documento pubblico e documento

privato quale che sia la condotta di falsificazione che viene in gioco, e ciò perché i

consociati sono indotti a fare maggiore affidamento sul documento pubblico che su quello privato, proprio in virtù del fatto che il documento pubblico proviene da un soggetto qualificato che esercita una funzione pubblica e quindi ha doveri di correttezza e imparzialità e persegue scopi di buon andamento. Non solo, ma in una prospettiva ingannatoria lo stesso atto pubblico finisce per essere concepi- to in termini molto ampi e vaghi, con la conseguenza che esso può anche non coincidere con la nozione di atto pubblico fidefacente. Inoltre, la distinzione tra scrittura privata e atto pubblico tende ad attenuarsi, con ulteriore estensione del concetto di atto pubblico, nel momento in cui “vittima” della falsità risulta essere una pubblica amministrazione. In tali ipotesi, infatti, si è indotti a qualificare co- me atto pubblico la scrittura privata ideologicamente falsa e capace di ingannare nel momento in cui fa ingresso nel procedimento amministrativo.

Ancor più nel dettaglio, in ordine alla distinzione tra documenti pubblici e pri- vati, occorre notare come da un punto di vista storico, i primi documenti a essere tutelati dalle falsità documentali siano stati soltanto quelli pubblici, mentre le fal- sità in scritture private venivano tutelate nella misura in cui integravano reati con- tro il patrimonio (truffa, danneggiamento) [CATENACCI, 211 ss.; (a) GIACONA, 271 ss.]. In questa fase storica la fede pubblica veniva pertanto concepita in ter- mini statali o oggettivi. Soltanto in un secondo momento, si decise di estendere la

tutela delle falsità anche ai documenti privati, realizzando così una trasformazione del bene giuridico della fede pubblica in termini sociali e soggettivi.

In terzo luogo, per quanto riguarda la condotta, si deve osservare che in una prospettiva ingannatoria perde di rilevanza la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica: poiché la fiducia è compromessa nel momento in cui si genera un pericolo di inganno, questo pericolo di inganno sussiste sia che si faccia riferi- mento a una falsità materiale, sia che si faccia riferimento a una falsità ideologica. Detto diversamente, nella prospettiva dell’inganno se da un lato si può continuare a distinguere tra falsità materiali che aggrediscono la genuinità e falsità ideologi- che che compromettono la veridicità, dall’altro lato si tratta di una distinzione – per così dire – statica e ontologica, fondata più su considerazioni formali che su reali esigenze sostanziali, venendo considerate nella sostanza forme di inganno. Così, ad esempio, non è mancato chi ha basato la distinzione sui diversi significati linguistici attribuibili al termine falso [MANZINI, 829; ANTOLISEI, 63 e 109]; altri invece hanno fatto riferimento a categorie concettuali normative e formali scar- samente esplicative [(b) MALINVERNI, 79, che fa leva sul tipo di dovere violato] o

comunque avulse dal dato normativo [(a) NAPPI, 17 ss., che si basa sulla distinzio-

ne tra atto e documento].

Ancora, per quanto riguarda il rapporto tra condotta e documento, in una prospettiva ingannatoria, falso materiale e falso ideologico sono quindi configura- bili rispetto a tutti i tipi di documento, e ciò perché ancora una volta, quale che sia il documento falsificato, si viene a creare un identico pericolo di inganno.

Una considerazione a parte deve essere fatta per il rapporto che intercorre tra

condotta e qualifiche soggettive. Ed infatti, già abbiamo visto come in una visio-

ne basata sull’inganno la distinzione tra falso materiale e falso ideologico sia de- stinata a passare in secondo piano. Tuttavia, essa può tornare in gioco nel mo- mento in cui ad agire sia un pubblico ufficiale. Più precisamente, in presenza di una falsità materiale, la qualifica soggettiva non sembra destinata ad assumere alcun rilievo, perché un pubblico ufficiale che falsifica un documento non può che agire al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, e quindi come privato. Rilevante potrà essere tutt’al più, come già accennato, la tipologia di documento, ma non il soggetto. Per quanto riguarda la falsità ideologica, il discorso sembra invece diverso. La qualifica soggettiva è destinata infatti ad assumere rilevanza perché un conto è la dichiarazione non veritiera del pubblico ufficiale rispetto al quale si ripone una fiducia in quanto esercente una funzione pubblica (anche a prescindere dal gravare su di esso di uno specifico dovere di dire la verità); un conto è la dichiarazione non veritiera del privato sul quale non incombono parti- colari doveri.

Se quanto detto fin qui è vero si può allora ritenere che nella prospettiva in- gannatoria la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica non assume rile- vanza in prima battuta, perché ciò che conta è l’idoneità ad ingannare, la quale può essere realizzata indifferentemente mediante entrambe le condotte. Tuttavia, può assumere rilevanza in seconda battuta nel momento in cui si attribuisce rile- vanza alla qualifica del soggetto agente.

Infine, si deve osservare come nell’ottica ingannatoria il disvalore del fatto possa essere connesso alla fraudolenza oppure alla realizzazione di un danno, e come tali requisiti possano essere previsti in forma oggettiva oppure soggettiva. In particolare, per quanto riguarda la fraudolenza, si potrebbe richiedere l’esistenza di un vero e proprio pericolo di inganno [come vedremo, si tratta della soluzione adottata dalla nostra giurisprudenza nelle ipotesi in cui si dà rilevanza alla figura del falso c.d. grossolano: v. infra, 2.1.1.3. e Cap. VIII, 2] oppure che il soggetto abbia agito allo scopo di provocare un inganno nel traffico giuridico [in questa prospettiva si muove il sistema penale tedesco prevedendo un dolo specifico: si v. il § 267 StGB]. Per quanto riguarda il danno, si potrebbe subordinare la punizio- ne del falso alla produzione di un pericolo di danno pubblico o privato [in questa prospettiva si muoveva il codice Zanardelli che subordinava la punibilità del falso alla possibilità del verificarsi di un «pubblico o privato nocumento» (artt. 275 ss. c.p.), come anche la c.d. concezione plurioffensiva] oppure si potrebbe prevedere il dolo specifico del fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno [come è previsto nel nostro sistema vigente nella falsità in scrittura privata di cui all’art. 485 c.p.].

In conclusione, in una prospettiva sistematica complessiva, si può osservare come il falso realizzato dal privato venga perseguito senza distinguere tra falsità materiale e falsità ideologica, potendo tutt’al più essere attribuita rilevanza alla distinzione tra documento pubblico e documento privato. Nel falso del soggetto pubblico, invece, la qualifica soggettiva assume rilevanza soprattutto rispetto alla falsità ideologica, dovendosi notare però come il pericolo di inganno sia presente quale che sia l’atto pubblico che viene in gioco. Ecco allora che nella prospettiva ingannatoria le falsità documentali si caratterizzano per un ambito applicativo molto ampio, che se da un lato consente di punire fatti che altrimenti sarebbero privi di tutela penale (falsità materiali e frodi alla pubblica amministrazione prive di un danno patrimoniale), dall’altro lato, però, rappresentando le falsità una sor- ta di ipotesi speciali di frode, tende a sovrapporsi ad altri ambiti della tutela pena- le, ed in particolare proprio alle frodi, là dove si incrimina ad esempio la falsità ideologica in scrittura privata, come anche ad alcuni delitti a tutela della pubblica amministrazione (in particolare abuso d’ufficio od omissione d’atti d’ufficio), là dove si incrimina la falsità ideologica rispetto ad atti pubblici non fidefacenti.

2.1.1.2. Alcune osservazioni critiche. – Rispetto alla prospettiva ingannatoria si possono formulare alcune considerazioni critiche, volte a metterne in evidenza non tanto limiti – per così dire – insuperabili e invalidanti (“delegittimanti”), ma piuttosto criticità in una visione di fondo che comunque riconosce legittimità a tale opzione interpretativa [per una critica “assoluta” al bene della fede pubblica v. invece (b) COCCO, 73 ss., secondo il quale le fattispecie di falso altro non sa-

rebbero che «reati di pericolo astratto rispetto ai beni concreti direttamente tutela- ti»]. Anche perché, come avremo modo di vedere in seguito, questa concezione non solo è del tutto legittima, ma ad essa si è in parte ispirato il nostro legislatore

nella configurazione delle falsità documentali vigenti e ad essa fa spesso riferimen- to la giurisprudenza nella sua attività interpretativa.

In particolare, anzitutto la concezione ingannatoria, soprattutto se basata sulla fede pubblica, tende ad essere vaga e indeterminata. Da ciò consegue, non tanto che risulta incapace di spiegare la specificità delle falsità documentali, quanto piuttosto che finisce per radicare tale specificità nella mera scrittura, dilatando così a dismisura l’ambito della tutela penale.

In secondo luogo, la fede pubblica comporta un eccesso di formalismo, perché non c’è dubbio che l’affidamento riposto su un documento viene frustrato quale che sia il documento e quale che sia il comportamento posto in essere, con la con- seguenza che si ha falso in presenza di qualsiasi immutatio veri.

Inoltre, si deve mettere in evidenza come la sua “unitarietà” sia destinata ad entrare in crisi. Non si può fare a meno di sottolineare infatti come la fiducia nella autenticità e veridicità del documento possa essere frustrata dalle falsità materiali e ideologiche, come anche dall’uso dell’atto falso, ma non anche invece dalla di- struzione del documento, trattandosi di condotta volta a compromettere la stessa esistenza del documento.

Si deve sottolineare, infine, come la prospettiva ingannatoria spinga inevitabil- mente verso la dimensione individualistica. Detto diversamente, allorquando si va- lorizza l’idoneità ingannatoria del falso v’è un’inevitabile attrazione dello stesso verso la prospettiva individualistico-ingannatoria, proprio in virtù della compo- nente della fraudolenza, la quale, volenti o nolenti, e in termini più o meno accen- tuati, fa comunque riferimento a un destinatario, il quale potrà essere reale o nor- mativo, ma comunque la sua individuazione risulta indispensabile proprio per pen- sare l’inganno stesso. Individualizzazione che tende ad accentuarsi là dove, come vedremo sùbito, si attribuisce rilevanza agli interessi concreti o alle aspettative “pro- batorie” dei singoli destinari del documento.

2.1.1.3. I correttivi al formalismo della prospettiva pubblicistica: plurioffensività e

specifica funzione probatoria del singolo documento. – Prima di concludere su questo filone basato sulla fiducia in una prospettiva pubblicistica (e formalistica), si deve osservare come a ben vedere la concezione in esame abbia in realtà finito per conoscere una sorta di processo di individualizzazione (e concretizzazione) attraverso l’elaborazione di alcuni correttivi.

Più precisamente, come accennato, le concezioni pubblicistiche si caratteriz- zano per un eccesso di formalismo: se si fa riferimento al bene giuridico della fede

Nel documento Le falsità documentali (pagine 40-49)

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