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Il diritto vivente Una conferma della “doppia anima” delle falsità documental

Nel documento Le falsità documentali (pagine 62-67)

diritto vigente e diritto vivente

4. Il diritto vivente Una conferma della “doppia anima” delle falsità documental

Venendo adesso al modello vivente, così come configurato dalla giurispruden- za, è opportuno distinguere tra le prese di posizione espresse e quelle tacite. In ordine alle prime, non c’è dubbio che la prassi si muove nella prospettiva ingan- natoria della fede pubblica, discutendosi se la tutela debba essere concepita in termini formali oppure in termini più sostanziali e quindi discutendo se si debba adottare una prospettiva pubblicistica oppure aperta alla considerazione di inte- ressi individuali. In ordine alle prese di posizione tacite, invece, la giurisprudenza ricostruisce l’intero assetto facendo leva soprattutto sulla tutela della pubblica am- ministrazione. Risultando così confermata, ancora una volta, la doppia anima del- le falsità documentali.

4.1. Le prese di posizione della giurisprudenza espresse, orientate alla tutela

della fede pubblica e alla plurioffensività. – In particolare, per quanto riguarda

le prese di posizione espresse, da sempre la giurisprudenza individua nella pub-

blica fede il bene giuridico tutelato dalle falsità documentali. Il problema che si

pone è se si debba privilegiare la valenza pubblicistica di detta tutela, con esclusi- vo riferimento alla fede pubblica quale esigenza dei cittadini di poter fare affida- mento sulla genuinità e veridicità dei documenti, oppure se, pur riconoscendo la fede pubblica come bene primario, si possa attribuire rilievo anche alla relazione

che intercorre tra il documento falso ed il privato sulla cui sfera giuridica la falsi-

tà va in concreto ad incidere.

Ebbene, nella maggioranza delle ipotesi in cui questo problema si è posto, la

giurisprudenza ha negato qualsiasi rilevanza alla concezione della plurioffensivi- tà, affermando che l’eventuale offesa a un bene giuridico diverso dalla fede pub-

blica non era elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice [v. infra, Cap. VIII, 4].

Soltanto rispetto ad un’ipotesi del tutto peculiare, relativa all’individuazione del soggetto legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazio- ne, si è creato un vero e proprio contrasto che oltretutto ha dato luogo ad una pronuncia delle Sezioni Unite. In particolare, la questione che più volte si è posta è se i delitti contro la fede pubblica tutelino l’interesse pubblico e solo di riflesso l’interesse del singolo al quale di conseguenza non verrebbe riconosciuta la quali- fica di persona offesa, oppure, in quanto reati plurioffensivi, tutelino anche la sfe- ra giuridica del soggetto (denunciante-danneggiato) nei cui confronti il documen- to o la falsa dichiarazione vengano fatti valere, soggetto che in tal caso sarebbe le- gittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione.

Ebbene, per un primo indirizzo interpretativo maggioritario, il bene giuridico tutelato sarebbe la fede pubblica in sé e per sé considerata.

Così, in giurisprudenza si è affermato che «con la norma che punisce il falso ideologico in atto pubblico non viene tutelato l’affidamento dell’immediato destinatario di tale atto, che può anche essere a conoscenza della falsità o concorrere nella sua commissione: trattandosi di reato contro la fede pubblica, l’interesse protetto è la fiducia che la generalità dei consociati ripone negli atti pub- blici» [Cass., Sez. Un., 30.6.1984, Nirella, in Cass. pen., 1985, 587 ss.; Cass., Sez. Un., 22.3.1969, Brunetti Flodiola, ivi, 1969, 1020; Cass., Sez. V, 15.1.2007, Reggiani, in CED, n. 5698/2007; Cass., Sez. V, 17.1.2006, Giacalone, in CED, n. 25565/2006; Cass., Sez. V, 24.3.2005, Gerace, in CED, n. 13/2006; Cass., Sez. V, 19.9.2005, Zaccaria, in CED, n. 45721/2005; Cass., Sez. V, 19.9.2005, Scarano, in CED, n. 45706/2005; Cass., Sez. VI, 7.11.2005, Sacchetto, in CED, n. 42789/2005; Cass., Sez. V, 17.2.2005, Erdas, in CED, n. 11669/2005; Cass., Sez. V, 16.3.2004, Cucullo, in CED, n. 17967/2004; Cass., Sez. V, 18.10.2002, Saccucci, in Cass. pen., 2003, 3444, con note di SAPONARO e TRIGGIANI; Cass., Sez. V, 27.5.2001, Della Gatta, ivi, 2002, 3113].

Per un opposto orientamento, invece, quello della fede pubblica non sarebbe l’unico bene giuridico tutelato dalle falsità documentali, dovendosi attribuire rile- vanza anche all’interesse offeso attraverso l’utilizzo del documento falsificato.

Così è stato affermato che, pur essendo i reati di falso qualificati come reati contro la fede pub- blica «ciò non toglie che gli stessi siano, il più delle volte, reati plurioffensivi, in quanto idonei a le- dere anche la sfera giuridica dei soggetti nei cui confronti l’atto, il documento o la dichiarazione fal- sa sono fatti valere» [Cass., Sez. V, 12.3.2001, Arnoldi, in CED, rv 219472. Nello stesso senso cfr. Cass., Sez. V, 13.6.2006, Ziino, in CED, n. 29898/2006; Cass., Sez. V, 23.5.2006, Di Guglielmo, in CED, n. 25617/2006; Cass., Sez. V, 4.7.2005, Moscato, in CED, n. 28712/2005; Cass., Sez. V, 10.5.2005, Roberto, in CED, n. 22377/2005; Cass., Sez. V, 15.1.2004, Consolo, in CED, n. 7562/2004; Cass., Sez. V, 24.2.2003, Tomaselli, in CED, n. 12711/2003; Cass., Sez. V, 5.11.2002, Todesca, in CED, n. 43703/2002].

Come accennato, sulla questione sono intervenute di recente le Sezioni Unite, risolvendola nel senso della plurioffensività:

Così si è affermato che «ai delitti contro la fede pubblica deve riconoscersi, oltre ad un’of- fesa alla fiducia che la collettività ripone in determinati atti, simboli, documenti, ecc. – bene oggetto, senza dubbio di primaria tutela dei delitti in argomento – anche una ulteriore e poten- ziale attitudine offensiva che può rivelarsi poi concreta in presenza di determinati presupposti,

avuto riguardo alla reale e diretta incidenza del falso sulla sfera giuridica di un soggetto il quale, in tal caso, è di conseguenza legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archivia- zione» [Cass., Sez. Un., 25.10.2007, Pasquini, in Cass. pen, 2008, 1283, con nota di FERRARI;

anche in Corr. merito, 2008, 363, con nota di PICCIALLI; anche in Dir. pen. proc., 2008, 1128,

con nota di DE FLAMMINEIS; anche in Foro it., 2008, II, 203, con nota di (b) GIACONA; anche in

Guida dir., 2008, n. 11, 114, con osservazioni di AMATO; anche in Riv. pen., 2008, 382. Nello

stesso senso, dopo la sentenza delle Sezioni Unite, v. Cass., Sez. V, 20.1.2009, Serafini, ivi, 2009, 1459].

Gli argomenti utilizzati dalle Sezioni Unite possono essere così sintetizzati. Anzitutto si è fatto riferimento alla circostanza che sempre di più la giurispruden- za utilizza la figura del falso c.d. innocuo, la quale si caratterizza per la circostanza che l’inoffensività è apprezzata in relazione a un interesse ulteriore rispetto a quel- lo della fede pubblica, con la conseguenza che la nozione di falso innocuo finisce per confortare l’indirizzo interpretativo della plurioffensività. In secondo luogo, la Corte si è basata sulla disciplina prevista dall’art. 493-bis c.p. che ha subordinato al regime della perseguibilità a querela della persona offesa la punibilità delle ipotesi di falso in atti privati, per cui l’introduzione di tale regime avrebbe fatto emergere la lesività di tipo privatistico sottostante ai reati di falso.

Ebbene, la soluzione adottata dalle Sezioni Unite presta il fianco ad alcune considerazioni critiche. Anzitutto, con riferimento al falso innocuo, si deve osser- vare che si tratta di una figura elaborata dalla stessa giurisprudenza e che la stessa Corte Cassazione ha da sempre seguito un orientamento molto rigoristico in tema di falso inoffensivo, essendo in realtà rarissime le ipotesi in cui gli è stata attribuita rilevanza [v. infra, Cap. VIII, 4].

In secondo luogo, rispetto alla procedibilità a querela, oltre a notare che tale disposizione si riferisce soltanto ai documenti privati e non anche a quelli pubblici, occorre mettere in evidenza come il regime di querela di per sé non significhi ne- cessariamente attribuire rilevanza anche all’interesse ulteriore. Se infatti si muove dall’idea della tutela della paternità del documento, la perseguibilità a querela della persona offesa rispetto alle falsità materiali concernenti documenti privati significa riconoscere tale diritto al soggetto al quale viene falsamente attribuita la paternità del documento (es. titolare della firma falsificata). Detto in altri termini, la querela sembra essere – per così dire – neutra in ordine al bene giuridico tutelato.

Inoltre, si deve osservare come, al di fuori della questione del soggetto legittima- to ad opporsi alla richiesta di archiviazione, rispetto ad altre questioni dove si pone un problema analogo di bene giuridico tutelato, la giurisprudenza adotta soluzioni in cui si distingue tra atto pubblico e scrittura privata. Così, ad esempio, con rife- rimento alla questione della applicabilità ai delitti di falso delle circostanze comuni relative all’entità del danno patrimoniale «cagionato alla persona offesa» (artt. 61 n. 7 e 62 n. 4), la giurisprudenza è costante nel ritenere che tali circostanze non trova- no applicazione rispetto alle falsità in documento pubblico, privilegiando così una interpretazione formalistica e pubblicistica, mentre ammette che possano trovare ap- plicazione rispetto alle falsità in scrittura privata [v. infra, Cap. IV, 2.5, per quanto riguarda la negazione dell’applicabilità rispetto all’atto pubblico e 3.4, per quanto riguarda l’affermazione dell’applicabilità in presenza di scrittura privata].

Ma l’aspetto che si deve mettere in evidenza è soprattutto il seguente: la giuri-

sprudenza finisce per mutare atteggiamento rispetto alla concezione plurioffensiva

a seconda che la sua adozione comporti un’estensione oppure una riduzione

dell’ambito applicativo delle falsità documentali. Ed infatti, là dove la sua adozione

porta ad un esito estensivo della tutela, la giurisprudenza tende ad adottare inter- pretazioni dal tenore più sostanzialistico (come per l’appunto rispetto alla questione del soggetto legittimato ad opporsi alla richiesta di archiviazione, anche in conside- razione del fatto che molto spesso nella prassi chi sporge denuncia è soprattutto il soggetto che ha subìto il danno ad altri interessi invece di quello che si è visto usur- pare la paternità del documento); al contrario là dove si giunge ad un esito che in un certo qual modo restringe l’ambito della tutela, la giurisprudenza tende ad adot- tare soluzioni più formalistiche. Tuttavia non è ammissibile condizionare l’attività interpretativa ispirandosi al c.d. favor libertatis, e quindi facendo riferimento al suo esito estensivo o restrittivo dell’ambito di applicazione della fattispecie.

4.2. Le prese di posizione della giurisprudenza tacite, tra prospettiva “me-

ramente” ingannatoria e tutela del buon andamento della pubblica ammini- strazione. – Per quanto riguarda le prese di posizione tacite, la giurisprudenza

sembra confermare la doppia anima del sistema delle falsità documentali, anche se nel complesso pare venga privilegiato il modello posto a tutela del buon andamen- to della pubblica amministrazione. Più precisamente, in ordine al criterio di di-

stinzione tra falso materiale e falso ideologico, la giurisprudenza non ha una vi-

sione – per così dire – unitaria, adottando piuttosto una criteriologia che potrem- mo definire differenziata. Ed infatti, come avremo modo di vedere più in detta- glio in seguito [v. infra, Cap. II, 3], quando si è in presenza di un documento pubblico e di un pubblico ufficiale, la distinzione tra falsità materiale e falsità ideo- logica sembra basarsi sull’usurpazione/abuso del potere in una prospettiva di tu- tela del buon andamento della pubblica amministrazione; quando invece viene in gioco un documento privato (art. 485) o comunque un soggetto privato (art. 482) tale distinzione viene effettuata utilizzando la dicotomia autenticità/veridicità.

Rispetto ad alcune questioni, poi, non c’è dubbio che la giurisprudenza adotti

soluzioni interpretative ispirate a una prospettiva meramente ingannatoria. Si

pensi ad esempio all’orientamento che qualifica la mera riproduzione fotostatica come falso materiale oppure a quello che attribuisce rilevanza all’errore materiale, riconducendolo a un’ipotesi di falso inidoneo a ingannare. Oppure si pensi alla tendenza a qualificare come atti pubblici anche scritture private ideologicamente false (quindi di per sé non punibili) e destinate ad entrare in un procedimento am- ministrativo, e pertanto idonee a trarre in inganno la pubblica amministrazione.

Ma soprattutto che il modello vivente sia ispirato alla tutela del buon anda-

mento della pubblica amministrazione si può dedurre da alcune prese di posizio-

ne della giurisprudenza relative al falso ideologico in atti pubblici. Ed infatti, complice la previsione di una fattispecie come quella di cui all’art. 480 c.p., la giurisprudenza considera suscettibili di falso ideologico gli atti dispositivi e va-

lutativi, vale a dire quegli atti che si caratterizzano per una manifestazione di vo-

lontà o per la formulazione di un giudizio da parte della pubblica amministra- zione. È vero che le dichiarazioni volitive e valutative non sono considerate og- getto “diretto e immediato” delle falsità, attribuendo rilevanza alle dichiarazioni descrittive concernenti fatti che costituiscono il presupposto per assumere la de- cisione o compiere la valutazione. Tuttavia è altrettanto vero che la rilevanza di tali dichiarazioni è ottenuta attraverso l’impiego del falso c.d. implicito, il quale può essere considerato una sorta di artificio. Ebbene, com’è stato notato, «l’uni- co modo per risolvere questa contraddizione sarebbe quello di considerare la condotta descritta dall’art. 479 c.p. come svincolata da qualsiasi, specifica fun- zione “probatoria” del documento oggetto di falsificazione, e di considerarla “meritevole di pena” in quanto mera espressione di “infedeltà” del pubblico uf- ficiale alle norme che disciplinano la funzione di cui l’atto è espressione» [CA- TENACCI, 249].

In secondo luogo, la giurisprudenza considera suscettibili di falso gli atti c.d.

interni, vale a dire gli atti in cui il legame che intercorre tra la funzione pubblica

esercitata dal pubblico ufficiale e l’attività di documentazione risulta essere deci- samente tenue. Ed infatti, per atto pubblico, la giurisprudenza intende non solo l’atto pubblico fidefacente e il mero atto pubblico, caratterizzato da un rapporto tra funzione pubblica e attività documentale di strumentalità immediata e diretta, ma anche l’atto che il pubblico ufficiale redige più per i rapporti che ha con altri pubblici ufficiali che per le specifiche funzioni esercitate.

Un discorso a parte merita la figura del falso ideologico per induzione, la qua- le, combinando in sé le due prospettive di tutela, rappresenta una miscela puniti- va davvero esplosiva. Ed infatti, da un lato, complice l’adozione di un concetto ampio di atto pubblico, il falso per induzione ha finito per essere configurato co- me una sorta di fattispecie vólta a punire tutti quei fatti in cui il privato attraverso una dichiarazione resa a un pubblico ufficiale produce o tenta di produrre un in- ganno ai danni della pubblica amministrazione. Dall’altro lato, proprio questo in- ganno finisce per compromettere il buon andamento della sua attività.

Una disamina sintetica del sistema vivente non sarebbe completa se infine non si accennasse al “ruolo di chiusura” attribuito alle falsità dagli attori processuali che si muovono in una prospettiva “accusatoria”. Ed infatti, anzitutto le falsità sono spesso contestate in quanto all’interno delle vicende criminose è quasi sem- pre possibile rintracciare l’esistenza di un documento. Inoltre, si deve considerare che soprattutto le falsità poste in essere dai pubblici ufficiali sono quelle che mag- giormente resistono alla prescrizione. Con la conseguenza che il sistema delle fal- sità costituisce una sorta di strumento per garantire una responsabilità penale ri- spetto a vicende sempre più spesso destinate a rimanere impunite.

Nel documento Le falsità documentali (pagine 62-67)

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