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L’atto pubblico fidefacente (art 476 comma 2 c.p.) I requisiti.

Nel documento Le falsità documentali (pagine 94-99)

Capitolo III Le tipologie di documento

2. L’atto pubblico fidefacente (art 476 comma 2 c.p.) I requisiti.

Iniziando la nostra disamina dall’atto pubblico fidefacente di cui all’art. 476 comma 2 c.p, in dottrina e giurisprudenza è pacifica l’idea che la sua nozione coincida con quella di atto pubblico prevista dagli artt. 2699 ss. c.c. [Cass., Sez. V, 24.10.1980, Saccone, in Cass. pen., 1982, 470; ANTOLISEI, 105; (i) NAPPI, 62], con la conseguenza che tale atto si caratterizza per un’efficacia probatoria del tut- to particolare, in quanto «fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazio- ni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua pre- senza o da lui compiuti» (art. 2700 c.c.).

Questa particolare efficacia probatoria comporta che il giudice è vincolato, nel valutare le prove, da un’efficacia predeterminata dalla legge: non a caso si parla di “prova legale”. Al giudice risulta pertanto preclusa la possibilità di apprezzare li- beramente l’efficacia persuasiva dell’atto pubblico fidefacente, nel senso che gli è sottratto il giudizio sulla “verità” del contenuto della dichiarazione.

Rispetto all’atto pubblico fidefacente, sono tre le questioni che devono essere affrontate: quali siano i suoi requisiti costitutivi, anche in vista della necessità di distinguerlo dall’atto pubblico non fidefacente; quale sia l’oggetto della dichiara- zione fidefacente; se il vincolo nella valutazione delle prove riguardi soltanto il giudice civile oppure anche quello penale.

Per quanto riguarda i requisiti, v’è pieno accordo nel ritenere che l’atto pub- blico fidefacente si caratterizza per una diretta percezione di determinati fatti o attività da parte del pubblico ufficiale. Tuttavia c’è da chiedersi se la diretta per- cezione in sé e per sé considerata costituisca l’unico carattere determinante la na- tura di atto pubblico fidefacente. Ed infatti, per un primo orientamento della giu- risprudenza, avallato anche dalla dottrina, ciò che caratterizzerebbe l’atto pubbli- co fidefacente sarebbe proprio e soltanto l’attestazione di fatti appartenenti al-

l’attività del pubblico ufficiale, vale a dire la diretta percezione di determinati fat-

ti o attività da parte del pubblico ufficiale.

Così in giurisprudenza si è affermato che «la qualità di atti fidefacenti deriva ai documenti pubblici, oltre che per la provenienza da un pubblico funzionario qualificato, anche per gli spe- ciali caratteri del fatto da essi documentato ed ancora per la forma e il contenuto dell’atto stes- so, per cui l’essenza del documento viene ad imporsi con un principio di verità assoluta relati- vamente a fatti compiuti o avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui verificati» [Cass., Sez. V, 28.10.1997, Mentasti, in Cass. pen., 1999, 2520. In senso sostanzialmente analogo, si v. Cass., Sez. V, 5.12.2008, Giordano, in CED, n. 11944/2009, relativa a certificati di funzionari presso la dogana attestanti la realizzazione di un prelievo da alcuni fusti contenenti olio, in cui si afferma che «l’annotazione compiuta dagli imputati faceva fede fino a querela di falso, se- condo la definizione dell’art. 2700 c.c., perché con essa è stato attestato il compimento da par- te del pubblico ufficiale di una specifica attività e cioè il prelievo di campioni di olio da un ben determinato numero di fusti»; Cass., Sez. I, 20.12.2005, Brasacchio, in Riv. pen., 2007, 96, re- lativa ad attestazione da parte di un finanziere di avvenuta distruzione di merce in calce ad in- ventario formato da un ditta: si tratterebbe di atto «attestante un fatto avvenuto sotto gli occhi dei due sottoufficiali della guardia di finanza, del quale si certificava l’effettiva realizzazione, e quindi di atto pubblico facente fede fino a querela di falso»; Cass., Sez. V, 24.2.2003, Favale, in Cass. pen., 2004, 1266; Cass., Sez. V, 11.10.2002, Marino, ivi, 2005, 841; Cass., Sez. V, 4.11.1993, Buraccini, ivi, 1995, 561; Cass., Sez. V, 5.7.1990, Ceccarelli, in Foro it., 1993, II, 436 ss., con nota di (a) GIACONA, sentenza relativa a verbale di ricezione di una dichiarazione di

appello da parte di un cancelliere, in cui si afferma: è atto pubblico fidefacente «il processo verbale con il quale il cancelliere, nell’ambito della sua specifica competenza funzionale, attesta che, in sua presenza, e con determinate modalità di tempo e di luogo, alcuni soggetti da lui i- dentificati hanno dichiarato di proporre una certa impugnazione contro un provvedimento dell’Autorità giudiziaria: l’identificazione delle parti, l’attestazione relativa alla ricezione di quel- la specifica dichiarazione, la registrazione delle modalità con le quali quell’attività di impulso processuale è stata esercitata, sono tutti aspetti compresi nell’attività attestatrice che l’ordina- mento giuridico attribuisce al cancelliere»].

Tuttavia, l’idea di basare la fidefacenza sulla sola percezione non persuade in quanto ciò che assume rilevanza non è tanto l’attività del pubblico ufficiale in sé e per sé considerata, quanto piuttosto l’attribuzione alla dichiarazione del pubblico ufficiale di una efficacia probatoria legale. Ed infatti, vero che per poter attribuire una forza probatoria particolare occorre inevitabilmente una percezione diretta, è anche vero che la percezione diretta di per sé non è mai sufficiente per affermare la fidefacenza, la quale ha – per così dire – carattere normativo. Detto in altri ter- mini, se si facesse riferimento ai fatti da documentare oppure alla mera efficacia e comunque alla attività di per sé considerata di percezione diretta e immediata del pubblico ufficiale, la nozione si estenderebbe fino a comprendere qualsiasi attività compiuta da un qualsiasi pubblico ufficiale, e quindi potrebbero essere qualificati come atti pubblici fidefacenti tutti gli atti pubblici di cui all’art. 476, comma 1, c.p., e ciò perché, come vedremo, la maggior parte di essi si caratterizza proprio per la circostanza che attestano fatti e attività avvenuti o compiuti dal pubblico ufficiale [v. infra, 4].

Ciò è confermato da alcune prese di posizione della giurisprudenza nella sostanza non con- divisibili. Così, ad esempio, non si è mancato di qualificare come atto pubblico fidefacente il registro tenuto presso il reparto di pronto soccorso dei pubblici ospedali, affermando che «l’atto

pubblico si qualifica come atto facente fede fino a querela di falso, sotto l’aspetto penalistico, quando sia l’espressione di una potestà certificatrice del pubblico ufficiale che lo redige e serva nel suo contenuto intrinseco a documentare l’attività compiuta dallo stesso pubblico ufficiale e quanto da lui attestato ovvero dichiarato o avvenuto alla sua presenza. Non sembra, quindi dubbio che il registro tenuto presso il reparto di pronto soccorso risponda ai requisiti richiesti per il riconoscimento della fisionomia caratterizzante l’atto fidefacente, considerato che in detto registro il medico addetto al reparto […] è tenuto a menzionare la data e l’ora delle registrazio- ni, le indicazioni relative all’identificazione delle persone assistite da lui effettuata, le visite compiute etc.» [Cass., Sez. V, 21.4.1989, Corona, in Foro it., 1990, II, 232].

In buona sostanza sia l’atto pubblico fidefacente, che quello “meramente” pubblico si caratterizzano per fatti ed attività percepite/compiute direttamente dal pubblico ufficiale. Quindi la particolare efficacia probatoria non può derivare dalla mera attività di percezione, ma da un quid pluris che non può che provenire da una qualificazione dell’ordinamento. In breve, delle due l’una: o tutti gli atti in cui v’è diretta percezione divengono atti pubblici fidefacenti o “meri” atti pubbli- ci; oppure si deve ammettere che non tutto ciò che postula una diretta percezione comporti fidefacenza.

Ecco allora che per un altro orientamento occorre fare per l’appunto riferi- mento a un quid pluris. Tuttavia, al suo interno si possono distinguere tre varianti ulteriori. Per un primo indirizzo, la natura fidefacente si ricaverebbe anche dalla particolare destinazione probatoria dell’atto, per cui, se esso è destinato ab origi-

ne alla prova, si sarebbe in presenza di un atto pubblico fidefacente; mentre se

l’atto non è destinato ab origine alla prova, e quindi è “casuale”, non sarebbe atto pubblico fidefacente.

Così in giurisprudenza si è affermato che «ciò che caratterizza l’atto pubblico fidefacente è, oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, la circostanza che esso sia destinato ab inizio alla prova, ossia precostituito a garan- zia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una specia- le funzione certificatrice, diretta, cioè per legge, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redi- gente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui» [Cass., Sez. V, 16.1.2007, Amo- roso, in Giust. pen., 2008, II, 148, relativa a un referto medico; Cass., Sez. V, 9.2.1983, Betti- nelli, in CED, rv 184934, relativa ad un atto con cui un notaio aveva attestato di aver identifica- to un soggetto, firmatario di atti di costituzione di una società e accettazione di carica, che non era invece comparso alla sua presenza; Cass., Sez. V, 17.10.1980, Comastri, in Cass. pen., 1982, 251].

Tuttavia si deve osservare come la destinazione probatoria ab inizio non possa essere – per così dire – la causa della natura di un atto, quanto piuttosto l’effetto, nel senso che essa o dipende dalla volontà dei soggetti, ma allora anche una scrit- tura privata potrebbe essere qualificata come atto pubblico fidefacente qualora sia confezionata con intenzione probatoria, oppure dipende dalla legge, e quindi de- ve essere la legge stessa, una fonte normativa, che qualifica un atto come fidefa- cente. Dovendosi precisare, inoltre, che non v’è coincidenza tra previsione per legge di un atto e sua efficacia fidefacente, ben potendo esistere atti che pur es- sendo previsti per legge non hanno comunque una efficacia probatoria legale (si pensi ai numerosi atti posti in essere all’interno di una pubblica amministrazione).

Per un secondo indirizzo molto più recente, basato essenzialmente sulla giuri- sprudenza in sede civile, occorrerebbe compiere una distinzione tra diverse tipo-

logie di verbali e quindi nella sostanza di attestazioni.

In questa prospettiva è stato affermato: «vi sono verbali che costituiscono pura e semplice documentazione di fatti o atti, ma in altri casi è richiesta la verbalizzazione come esternazione necessaria di certi atti, per cui essa assume la natura di elemento essenziale di una fattispecie, che non può considerarsi perfezionata senza la verbalizzazione. La verbalizzazione con caratte- re meramente documentale produce una certezza su quanto verbalizzato, contestabile con qualsiasi mezzo di prova; la verbalizzazione che è elemento essenziale della fattispecie produce una certezza legale che può essere oppugnata solo con la querela di falso» [Cass., Sez. IV, 19.3.1999, Manzo, in CED, n. 888/1999, relativa a verbale di udienza, dove si precisa ulterior- mente: «ancorché il nuovo codice di rito non abbia riprodotto la disposizione di cui all’art. 158 (né quelle di cui ai successivi artt. 215-218) del c.p.p. del 1930, tale verbale di udienza (art. 480 c.p.p.) è atto pubblico di fede privilegiata, sicuramente sussumibile nella previsione dell’art. 2700 c.c.»; nello stesso senso, sempre con riferimento al verbale di udienza, Cass., Sez. III, 9.7.1996, Rizzo, in Cass. pen., 1997, 91].

D’altra parte, questo criterio non fa altro che ripetere che gli atti di fede privi- legiata e quelli di fede non privilegiata si distinguono sulla base degli effetti, ma a ben vedere non fornisce alcun criterio in ordine al come si distinguono.

Infine, il terzo indirizzo prospettato soprattutto dalla dottrina e a volte recepi- to anche dalla giurisprudenza, ritiene che il potere fidefacente debba essere attri- buito da una norma. In questa prospettiva si definisce atto pubblico fidefacente «lo scritto che attesta nelle forme prescritte, ed in base ad una norma di legge che ciò autorizza, la provenienza del documento dal soggetto che lo ha formato, ed i fatti da lui compiuti od avvenuti in sua presenza» [(c) MALINVERNI, 274; (i) NAP- PI, 62 s.].

Sulla stessa scia, in giurisprudenza si è precisato che «l’atto pubblico agli effetti delle norme sul falso documentale, non è di fede privilegiata per il solo fatto che il pubblico ufficiale sia rive- stito ed esplichi una funzione di attestazione relativa a fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, essendo necessario che egli sia fornito di una speciale potestà documentatrice, attri- buita da una legge o da norme regolamentari anche interne, ovvero desumibile dal sistema, in forza della quale l’atto assume una presunzione di verità assoluta» [Cass., Sez. V, 24.11.1983, Grandieri, in CED, rv 162429. Nello stesso senso Cass., Sez. V, 24.11.2003, Canese, in Cass. pen., 2005, 1950, dove si precisa che «la natura e il valore probatorio dell’atto vanno individua- ti con riferimento alle norme che lo regolano specificamente»].

Tale indirizzo è condivisibile. Gli atti pubblici fidefacenti si fondano infatti su una speciale funzione pubblica di certificazione e il conferimento di un potere di certificazione fidefacente non può che avere un carattere giuridico-formale, con la conseguenza che soltanto una fonte normativa può essere in grado di attribuire il potere di documentazione fidefacente. L’atto pubblico fidefacente è quindi il

prodotto di una attività di documentazione che coincide con una funzione pub- blica consistente nella certificazione fidefacente, nel senso che la stessa attività di

documentazione fidefacente costituisce esercizio di una specifica pubblica fun- zione.

Chiarita la necessità di una previsione normativa, si pongono due problemi ul-

teriori, di grandissimo rilievo sul piano applicativo. Anzitutto si deve chiarire quale sia la fonte legittimata a conferire un siffatto potere (legge o anche fonti seconda-

rie). Come abbiamo visto, la giurisprudenza non esita ad aprire anche a fonti diver- se dalla legge, mentre la dottrina risulta assai più rigorosa richiedendo una previ- sione legislativa. Sembra preferibile la seconda soluzione proprio in virtù della particolare efficacia probatoria di questo atto che, a ben vedere, finisce per inci- dere sulla stessa divisione dei poteri. Se infatti è vero che attraverso l’atto pubbli- co fidefacente si vincola il giudice nella valutazione delle prove, restringendo così il suo potere discrezionale, tale limitazione non può che avvenire ad opera della leg- ge: la legge e soltanto la legge è legittimata a ridisegnare – per così dire – il rap- porto tra i poteri giudiziario e amministrativo. Ecco allora che l’atto pubblico fi- defacente deve provenire non da un pubblico ufficiale qualsiasi, bensì da un pub- blico ufficiale titolare per legge di uno specifico potere di fidefacenza.

La seconda questione attiene al modo in cui la legge deve prevedere l’efficacia

fidefacente: è necessaria una previsione espressa della natura fidefacente dell’atto

oppure è sufficiente la disciplina dettagliata dell’attività di documentazione svol- ta? Sul punto si deve osservare come in realtà all’interno del nostro ordinamento manchi – per così dire – la consapevolezza (e una “cultura” legislativa) della fide- facenza, nel senso che il nostro stesso legislatore non ha mai mostrato rigore nella disciplina del potere fidefacente. Da ciò consegue che la previsione espressa della natura fidefacente risulta essere assai rara, mentre la tendenza è quella a discipli- nare in termini dettagliati l’attività di documentazione consistente in una funzione pubblica certificatrice. Con la conseguenza che si deve optare per la fidefacenza non solo in presenza di una qualificazione espressa, ma anche quando la legge tende a disciplinare dettagliatamente un’attività di documentazione.

Se quanto detto fin qui è vero, allora gli elementi dell’atto pubblico fidefacen-

te sono: fatti o attività percepite direttamente dal pubblico ufficiale; attribuzione

da parte di una legge di un potere certificatorio specifico attraverso la disciplina dettagliata delle modalità di certificazione.

Due ultime considerazioni. La nozione di atto pubblico fidefacente è identica, quale che sia la condotta che viene in gioco, in quanto si tratta di nozione neces- sariamente unitaria proprio in ragione dei particolari effetti che esplica. Nel tem- po la fidefacenza è venuta a perdere rilevanza in virtù della necessità di snellire e velocizzare i rapporti tra i soggetti nel traffico giuridico. Tuttavia è prevedibile il ritorno a una sua espansione a causa dello sviluppo del documento informatico e della firma digitale, che consentono di ottenere adempimenti formali senza appe- santimenti procedurali.

Sulla natura (fattispecie autonoma o circostanza aggravante) dell’ipotesi previ- sta dall’art. 476, comma 2, c.p., v. infra, Cap. IV, 2.5.

2.1. L’oggetto della dichiarazione fidefacente. – Per quanto riguarda l’oggetto della dichiarazione fidefacente, dalla circostanza che l’attività di documentazione

del pubblico ufficiale attribuisce una particolare efficacia probatoria, consegue che i fatti oggetto di tale dichiarazione devono essere strettamente connessi alla stessa attività di documentazione, in quanto va da sé che una dichiarazione di ve- ridicità non può essere slegata da un potere di controllo e/o accertamento: come sarebbe possibile dichiarare che un certo fatto è intrinsecamente vero se rispetto a questo fatto non si fosse in grado di compiere una verifica in ordine alla sua veri- dicità?

Se v’è concordia su questo aspetto, tuttavia si discute se l’efficacia probatoria degli atti pubblici fidefacenti debba essere riferita soltanto alla provenienza del documento e delle dichiarazioni, oppure possa essere estesa anche ad altri profili pur sempre connessi all’attività di documentazione. Nella prima prospettiva si è mossa una parte della dottrina, sottolineando come la provenienza della dichiara- zione non includa il contenuto della stessa[PREZIOSI, 162]. D’altra parte, si deve

osservare come pur essendo vera la seconda affermazione, essa sia però slegata dalla prima, nel senso che negare efficacia di piena prova al contenuto della di- chiarazione non significa necessariamente limitarsi alla piena prova della sola pro- venienza, potendosi estendere anche ad altri fatti ed attività pur sempre connesse e contestuali all’attività di documentazione. In questa prospettiva, oltre alla pro-

venienza del documento e delle dichiarazioni, l’oggetto della dichiarazione fide-

facente può riguardare:

A) l’attività compiuta dal pubblico ufficiale in connessione con l’attività di do- cumentazione;

B) i fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale contestualmente all’attività di documentazione;

C) la ricezione di dichiarazioni rese da terzi.

A) In particolare, per quanto riguarda l’attività compiuta dal pubblico ufficia-

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