di falsità documentale
3. La condotta di falsificazione tra falsità materiale e falsità ideologica.
Per quanto riguarda la condotta, le falsità documentali possono essere distinte in quattro tipologie: falsità materiali, falsità ideologiche, uso di atto falso e sop- pressione (distruzione e occultamento) di atti veri.
Mentre le prime due condotte sono vere e proprie condotte di falsificazione perché hanno ad oggetto la dichiarazione contenuta nel documento, e solo in via mediata incidono sul documento inteso come contenitore, al contrario le altre due condotte si caratterizzano per il fatto che hanno ad oggetto immediato il docu- mento inteso come contenitore, mentre le conseguenze che eventualmente produ- cono sulla dichiarazione altro non sono che effetti indiretti di quelli prodotti sul contenitore [spunti in tal senso in CRISTIANI, 187. V. anche infra, Cap. VII, 1].
Delle quattro tipologie, le più complesse sono senza dubbio le condotte di fal-
sificazione, anche perché risulta molto difficile individuare il criterio che consen-
te di distinguere al loro interno tra falsità materiale e falsità ideologica. In partico- lare, stando alle rubriche delle singole fattispecie, sarebbero falsità materiali quel- le previste dagli artt. 476, 477, 478 e 482 c.p., e sarebbero falsità ideologiche le fattispecie previste dagli artt. 479, 480, 481 e 483 c.p., mentre per tutta un’altra serie di ipotesi, la rubrica nulla dice (artt. 484, 485, 486-490).
D’altra parte, anche in virtù di questo silenzio e della scarsa valenza ermeneu- tica espressa dalla rubrica, molto più proficua risulta la disamina del contenuto
delle singole fattispecie, dal quale emerge che le condotte possono consistere o
nella formazione/contraffazione e alterazione di un documento (artt. 476, 477, 482 e 485 c.p.) oppure nella falsa attestazione di fatti (artt. 479, 480, 481, 483, nel- la sostanza anche 484 il quale parla di scrittura di false indicazioni) oppure infine nel rilasciare o scrivere documenti o dichiarazioni diverse dall’originale o da quanto il soggetto era obbligato a scrivere (artt. 478 e 486-488 c.p.) [in argomento v. anche (a) MEZZETTI, 288 ss.]. Ebbene, mentre le condotte di falsità materiale consistono nella formazione e nella alterazione, quelle di falsità ideologica consi- stono nella falsa attestazione, ponendosi il problema ulteriore di stabilire poi se quelle consistenti nel rilasciare o scrivere documenti o dichiarazioni diverse (quin- di caratterizzate nella sostanza da una discrasia tra quanto “dovuto” e quanto tra- scritto) rientrino tra le falsità materiali oppure in quelle ideologiche.
Ciò premesso, in questo paragrafo si devono affrontare due profili: anzitutto, se e perché è importante distinguere tra falsità materiale e falsità ideologica; in se- condo luogo, se nella individuazione del criterio distintivo è opportuno procedere elaborando schemi “dogmatici” prenormativi oppure è più conveniente muovere dalle singole disposizioni legislative, operando caso per caso.
Per quanto riguarda la prima questione (se e perché è importante distingue-
re), si devono registrare due diversi orientamenti. Per una parte della dottrina, ta-
le questione non avrebbe tutta quella rilevanza che le viene attribuita, anche per- ché sarebbe stato lo stesso legislatore a ridurre i motivi di interesse attraverso la
previsione di un identico trattamento sanzionatorio per entrambe le condotte: co- sì ad esempio il falso materiale in atto pubblico (art. 476 c.p.) è punito con la stes- sa pena del falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.) [GRANDE, 59]. Al con- trario, per un’altra parte della dottrina, la distinzione avrebbe invece indubbio ri- lievo: vero che gli artt. 476 e 479 c.p. non distinguono sul piano del trattamento sanzionatorio, è anche vero che rispetto ad altre incriminazioni la pena commina- ta è diversa a seconda che si tratti di falsità materiale oppure ideologica. Così, ri- spetto alle falsità in certificati e autorizzazioni commesse da pubblico ufficiale so- no previsti trattamenti sanzionatorî differenziati, per cui la falsità materiale è pu- nita con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 477 c.p.), mentre quella ideologi- ca è punita con la reclusione da tre mesi a due anni (art. 480) [CATENACCI, 202]. Regime differenziato destinato a riflettersi sulle falsità (materiali o ideologiche) in certificati o autorizzazione commesse dal privato (art. 482 c.p.). Inoltre, rispetto alle falsità in scrittura privata si deve distinguere tra le falsità materiali punite con la reclusione da sei mesi a tre anni, e perseguibili a querela (art. 485) dalle falsità ideologiche di cui agli artt. 481 e 484, punite con la reclusione e la multa rispetti- vamente fino a un anno e da 51 a 516 euro e fino a sei mesi e a 309 euro, entram- be perseguibili d’ufficio. Detto in altri termini, rispetto alle scritture private la di- stinzione assume rilevanza in ordine all’an della punibilità, se si tratta di scritture diverse da quelle previste dagli artt. 481 e 484 (documenti di esercenti un servizio di pubblica necessità e registri e notificazioni destinati all’Autorità di pubblica si- curezza) oppure in ordine al quomodo della punibilità e al quantum di pena, se si tratta di queste ultime scritture private. Non solo, ma la distinzione tra le condot- te di falsificazione assume rilievo anche rispetto alla disciplina sul concorso di persone nel reato, dove l’art. 117 c.p. può trovare applicazione soltanto rispetto alle falsità materiali in atto pubblico e non anche a quelle ideologiche, posto che solo rispetto alle prime si verifica un mutamento del titolo di reato dal 476 al 482.
Anche per ciò che concerne la seconda questione (unitarietà o frammentarietà
dei criteri distintivi), esistono due orientamenti diversi. Da un lato v’è chi propu-
gna di ricavare la distinzione tra falso materiale e falso ideologico da una disamina non preconcetta delle norme positive, abbandonando del tutto elaborazioni a- prioristiche rispetto ai dati legislativi [RAMACCI, 7 s.; FIANDACA,MUSCO, 582].
Dall’altro lato v’è invece chi continua ad auspicare l’individuazione di criteri ge- nerali e omogenei di distinzione, immanenti a tutte le ipotesi [NAPPI, 1 ss.; CA- TENACCI, 203 s.].
Ebbene, entrambe le prospettive presentano punti di forza ma anche di debo- lezza. La prima – per così dire – frammentaria, ha il pregio di valorizzare il dato normativo, ma in sé ha anche il rischio di non consentire di cogliere le ragioni di fondo sottese al criterio che di volta in volta si adotta. La prospettiva – per così dire – unitaria, invece, ha il merito di fornire strumenti concettuali che permetto- no di cogliere caratteri di omogeneità e di indagare la visione di fondo che sta die- tro ai criteri; tuttavia presenta il rischio di trascurare i caratteri specifici di un si- stema così come configurato all’interno del diritto positivo.
pace di coniugare le due appena esposte, vale a dire una visione che da un lato sappia tracciare in chiave modellistica i criteri che sono stati elaborati, anche al fine di comprendere a quali scopi di tutela rispondono; ma anche, dall’altro lato, una visione che in seconda battuta sia capace di “verificare” quale modello entra di volta in volta effettivamente in gioco rispetto a una determinata fattispecie.
In particolare, in chiave modellistica, tralasciando tutta una serie di criteri che si possono considerare ormai superati o comunque non accolti dalla giurispru- denza e dalla prevalente dottrina [contrapposizione tra: documento e documenta- to (CARNELUTTI, 39; GRANDE, 59); forma e sostanza (DINACCI, 81); obbligo di
attestare il vero e obbligo di non alterare ((b) MALINVERNI, 351); atto e docu- mento (NAPPI, 17 s.; sembra fare riferimento a questa dicotomia, in una dimen- sione – per così dire – prenormativa, anche (a) MEZZETTI, 272 ss.)], sono due gli orientamenti principali che si contendono il campo [CATENACCI, 237 ss.]: quello
che fa leva sulla genuinità o veridicità della dichiarazione; e quello che si basa sul- la differenza tra usurpazione e abuso del potere.
In particolare, la distinzione tra genuinità e veridicità, a dire il vero, non è del tutto omogenea ed unitaria. V’è infatti chi fa riferimento ai diversi significati ter- minologici attribuibili al termine falso [MANZINI, 829] e chi invece distingue tra genuinità come corrispondenza tra autore apparente e autore reale, e veridicità, come corrispondenza tra contenuto della dichiarazione e realtà dei fatti [ANTO- LISEI, 63 e 109; CRIMI, 307 ss.; nonché, volendo, BARTOLI, 2393 ss.].
Sembra preferibile la seconda variante, anche perché è quella che consente di cogliere la prospettiva di fondo sottesa a questo criterio, vale a dire o la prospetti- va ingannatoria oppure quella basata sulle funzioni del documento, per cui si ha falso materiale quando un soggetto forma un documento inesistente facendolo ri- sultare riconducibile a un altro soggetto (c.d. soggetto apparente) oppure altera un documento esistente e genuino determinando un inganno sulla identità del- l’autore; si ha falso ideologico quando nella sostanza si mente, nel presupposto che il documento sia genuino.
Il secondo orientamento si basa invece sulla distinzione tra usurpazione e a-
buso del potere documentale [RAMACCI, 139 ss. e 205 ss.; GUERRINI, 688; DE
MARSICO, 583; FIANDACA,MUSCO, 572; nello stesso senso, ma con sfumature del
tutto peculiari, v. anche (a) MEZZETTI, 276 ss.; PREZIOSI, 182 ss.]. In questa pro-
spettiva, mentre la falsità materiale si ha quando il soggetto agisce in assenza tota- le dei presupposti per l’esercizio del potere, al contrario si ha falsità ideologica quando il soggetto ha il potere di formare l’atto e tuttavia esercita tale potere in modo distorto, dichiarando il falso. È interessante notare come questa prospettiva sia destinata a valorizzare soprattutto la tutela del buon andamento della pubblica amministrazione. Ed infatti, di vero e proprio potere documentale si può parlare soltanto in presenza di soggetti che esercitano un potere documentale avente ca- rattere pubblico, mentre in presenza di soggetti che non esercitano un tale potere risulta difficile attribuire autonoma rilevanza alla attività di mera documentazio- ne. Con la conseguenza che la dicotomia usurpazione-abuso può essere utilizzata soprattutto per le fattispecie caratterizzate da componenti pubblicistiche (in par-
ticolare soggetto attivo pubblico ufficiale), difficilmente per quelle “privatistiche” [in senso analogo (b) GIACONA, 34 ss.].
Tutto ciò chiarito, la questione che si apre a questo punto è quale sia – per così dire – l’impatto di questi orientamenti a confronto con il sistema positivo. E nel compiere questa verifica, emerge un profilo davvero interessante, e cioè che questi criteri se applicati in termini unitari, vale a dire a tutte le falsità materiali oppure a tutte le falsità ideologiche, portano a vere e proprie incongruenze, mentre consen- tono di raggiungere soluzioni plausibili se applicati in modo – per così dire – dif- ferenziato, e cioè distinguendo all’interno delle falsità materiali oppure delle falsi- tà ideologiche tra fattispecie e fattispecie a seconda che siano contraddistinte da componenti pubblicistiche o finalistiche concernenti l’autore o il documento.
In ordine alle incongruenze, si consideri anzitutto la condotta di formazione
(o contraffazione) nelle fattispecie di falsità materiale. Ebbene, se ci si basa sulla
genuinità in termini unitari, riferendola cioè a tutte le falsità materiali (in atto pub- blico, siano esse commesse da pubblico ufficiale o da privato, o in scrittura priva- ta), non c’è dubbio che si giunge ad esiti contraddittori. Così, nella fattispecie di falsità materiale in atti pubblici commessa dal pubblico ufficiale è difficile poter far leva sull’offesa alla genuinità, visto che il soggetto agente deve avere una com- petenza relativa e quindi essere titolare potenziale del potere, con la duplice con- seguenza che il documento può ben essere genuino, provenire cioè dall’autore rea- le, e che quindi viene in gioco il criterio della usurpazione del potere, vale a dire l’utilizzo del potere documentale in assenza dei presupposti di legittimazione.
Così in giurisprudenza si è affermato che «integra il reato di falsità materiale, assorbente quello di falsità ideologica, la formazione di un verbale attestante l’espletamento di una riunio- ne non svolta», in quanto «l’operatività dell’art. 479 c.p. presuppone la necessità della forma- zione grafica del documento e cioè che sia stata effettivamente svolta l’attività dell’organo della P.A. da attestare a verbale» [Cass., Sez. V, 27.9.2005, Strada, in Riv. pen., 2006, 1344. Nello stesso senso, cfr. Cass., Sez. V, 4.7.2006, Melli, in CED, n. 25346/2006, dove si afferma che «è al di fuori del paradigma dell’art. 479 c.p. l’ipotesi di falsificazione da parte di pubblici ufficiali del contenuto di atti che, in quanto non esternazione delle competenze funzionali dei soggetti che li hanno formati, non possono considerarsi emessi nell’esercizio delle loro attribuzioni», rientrando così tale ipotesi nell’art. 476 c.p.].
Tuttavia siffatto criterio della usurpazione, se può essere utilizzato per la fatti- specie di cui all’art. 476 c.p., non può essere impiegato sia per il falso materiale in scrittura privata, sia anche per il falso materiale in atto pubblico commesso dal privato, e ciò perché in quest’ultima ipotesi tale soggetto ha una incompetenza assoluta rispetto all’atto, con la conseguenza che egli realizza un documento fa- cendo apparire come autore un soggetto diverso da quello reale, andando così a intaccare la genuinità del documento.
Stesso identico discorso può essere fatto per le falsità ideologiche. Ed infatti, per quanto riguarda le falsità ideologiche in atti pubblici, non c’è dubbio che il soggetto abusa di un potere che gli è stato conferito, venendo così in gioco la di- cotomia usurpazione/abuso di potere. Al contrario nelle falsità ideologiche in scritture private, di abuso non si può parlare, in quanto manca la violazione di
uno specifico dovere di veridicità che incombe sul pubblico ufficiale, venendo co- sì in gioco il profilo della veridicità.
Ecco allora la prospettiva differenziata: là dove le fattispecie sono ricostruite dando rilievo alla componente pubblicistica sul piano delle qualifiche soggettive e delle tipologie di documento, la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica sembra basarsi (anche) sul modo di utilizzare il potere documentale, per cui la prima si ha in presenza di usurpazione del potere e la seconda in presenza di un abuso del potere derivante da una violazione di obblighi di veridicità; diversa- mente, là dove si è in presenza di fattispecie dove si valorizza la componente pri- vatistica, si fa strada il criterio basato sulla distinzione tra genuino e vero. Da altro angolo visuale, si può osservare che mentre rispetto alle falsità ideologiche viene in gioco soprattutto la veridicità, potendosi poi distinguere a seconda che riguardi poteri pubblici e quindi orientata al buon andamento della pubblica amministra- zione (in presenza di atti pubblici) oppure una mera attività di documentazione e quindi orientata a prevenire inganni (in presenza di scritture private), rispetto alle falsità materiali è opportuno distinguere tra quelle commesse da pubblici ufficiali o da soggetti privati, perché mentre rispetto a queste ultime si fa riferimento alla genuinità, rispetto alle prime si tende a basarsi anche (e forse soprattutto) sul po- tere e sulla sua usurpazione.