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Il rapporto tra attività di documentazione e funzione pubblica – La

Nel documento Le falsità documentali (pagine 141-146)

Capitolo III Le tipologie di documento

B) Parimenti problematici risultano essere gli atti redatti da soggetti (ingegneri, geometri, ecc.) che intervengono nei procedimenti amministrativi relativi a prov-

6.2. Alcune ipotesi problematiche: tra “mero” atto pubblico e scrittura pri-

6.2.1. Il rapporto tra attività di documentazione e funzione pubblica – La

prima ipotesi problematica si ha soprattutto in presenza di falsi ideologici. Ed in- fatti, come abbiamo visto, il falso ideologico non è limitato agli atti pubblici, es- sendo esteso anche ad alcune tipologie di scrittura privata. Ecco allora che in pre- senza di un falso ideologico si può porre il problema della natura dell’atto, perché, se l’atto è qualificato come pubblico, si avrà la punizione e un trattamento sanzio- natorio particolarmente rigoroso; se invece si tratta di scrittura privata, occorre ulteriormente distinguere: se l’atto rientra in una delle due tipologie suscettibili di falsità ideologica, il fatto è punibile, ma con un trattamento sanzionatorio molto meno afflittivo rispetto a quello della falsità ideologica in atto pubblico; se invece si tratta di scrittura privata diversa da quella prevista dagli artt. 481 e 484 c.p., viene meno la stessa possibilità di punire, visto che il falso ideologico in “mera” scrittu- ra privata non è punibile.

La questione della natura pubblica o meno di un determinato atto non può che essere risolta facendo riferimento alla qualifica soggettiva, e più precisamente all’attività posta in essere dal soggetto agente che può essere espressione o meno di una pubblica funzione: come avremo modo di vedere meglio in seguito, non è la natura di un atto a condizionare la qualifica soggettiva dell’agente, né l’esercizio di una mera attività di documentazione, bensì è la qualifica soggettiva dell’agente che determina la natura dell’atto [in argomento, v. anche (b) VALLINI, 55; FIORE

S., 277]. D’altra parte, vero che il criterio risolutivo della questione è offerto dalla qualifica soggettiva, è anche vero che il tipo di problema e il modo di operare di tale criterio muta a seconda che si tratti di falso ideologico oppure di falsità mate- riale. Nella prima ipotesi, il problema riguarda la qualifica soggettiva e il criterio è offerto dalla stessa qualifica soggettiva dell’autore del fatto storico, con la conse- guenza che risolvendo il problema della qualifica soggettiva si risolve anche quello della natura giuridica dell’atto. In presenza di un falso materiale, invece, il pro- blema è sempre da risolvere attraverso la qualifica soggettiva, tuttavia si deve fare riferimento a un soggetto – per così dire – astratto, in quanto la questione attiene all’oggetto materiale del reato. Detto diversamente, nel falso materiale il problema della qualifica soggettiva del soggetto autore del reato può essere slegato da quel- lo della natura dell’atto (ancorché risolvibile sempre facendo riferimento alla qua- lifica soggettiva), in quanto si danno ipotesi in cui in concreto è possibile che si sia in presenza di un soggetto che non è pubblico ufficiale, ma che il documento rap- presenti un atto pubblico (si pensi alla falsità materiale in atto pubblico commessa dal privato), così come, è possibile che in concreto si sia in presenza di un sogget- to che è qualificato, ma che l’atto sia una scrittura privata. Essendo quindi la qua- lifica soggettiva dell’autore reale sganciata dal documento, per comprendere la na- tura del documento in presenza di falsità materiali si deve sempre fare riferimento alla qualifica del soggetto attivo, ma non a quella dell’autore del fatto storico, bensì a quella di un soggetto – per così dire – astratto, avulso dal fatto concreto [per tali questioni, v. infra, Cap. IV, 2.1, per quanto riguarda il falso materiale, e Cap. V, 2.1, per quanto attiene al falso ideologico].

soggetti “suscettibili” di rivestire una qualifica pubblica e attestanti ideologica- mente il falso si è posta in diverse ipotesi. Nella maggior parte si trattava di atti adottati da soggetti esercenti un servizio di pubblica necessità, aprendosi così la questione se il fatto fosse punibile ai sensi dell’art. 479 oppure sulla base dell’art. 481 (v. infra, 6.2.1.2 e 6.1.2.3). Vi sono stati però anche alcuni casi in cui si tratta- va di soggetti diversi dagli esercenti un servizio di pubblica necessità, per cui l’alternativa era tra pubblico ufficiale e punizione del fatto ai sensi dell’art. 479 oppure soggetto privato e quindi non punibilità del fatto (v. il paragrafo che se- gue).

6.2.1.1. Le “vicende” del cartellino segnatempo e del registro di classe. – A) Ini- ziando da queste ultime ipotesi, un’alternativa tra punibilità per falso ideologico in atto pubblico e non punibilità si è posta anzitutto rispetto ai cartellini c.d. se-

gnatempo, o schede magnetiche (c.d. badge) o fogli di presenza, vale a dire in re-

lazione a tutti quegli atti destinati a documentare la presenza del lavoratore pub- blico dipendente sul luogo di lavoro.

Per un primo orientamento l’attività del pubblico dipendente che timbra il cartellino, o che comunque omette di timbrare il cartellino quando esce senza giu- stificato motivo dal luogo di lavoro, costituisce l’esercizio di una pubblica funzio- ne.

Così è stato affermato che «il pubblico dipendente che eserciti una pubblica funzione am- ministrativa risponde del reato di falsità ideologica in atto pubblico quando, sui fogli di presen- za, faccia falsamente risultare l’osservanza di un determinato orario di entrata o di uscita dal lavoro» [Cass., Sez. V, 17.1.2005, Santamaria, in Riv. pen., 2005, 1049. Nello stesso senso, Cass., Sez. II, 11.11.2005, Lupo, in CED, n. 769/2006; Cass., Sez. V, 22.9.2005, Magli, in CED, n. 45062/2005; Cass., Sez. V, 10.11.2004, Matarelli, in Giust. pen., 2006, II, 506; Cass., Sez. V, 6.10.2004, Di Matteo, in CED, n. 16495/2005; Cass., Sez. V, 4.10.2004, Amendola, in Cass. pen., 2006, 1464; Cass., Sez. V, 7.7.2004, Orlando, ivi, 2006, 2177; Cass., Sez. V, 21.9.2004, Passerella, ivi, 2006, 2178; Cass., Sez. V, 16.6.2004, Bergamini, in CED, n. 28856/2004; Cass., Sez. V, 3.2.2004, Cei, in Cass. pen., 2006, 1465; Cass., Sez. V, 18.11.2003, Leo, in Giust. pen., 2005, II, 184; Cass., Sez. II, 14.1.2004, Dalmasso, in CED, n. 7626,/2004; Cass., Sez. V, 2.12.2003, Longo, in CED, n. 2297/2004; Cass., Sez. V, 13.10.2003, Pizzolla, in Dir. giust., 2004, 11, 111; Cass., Sez. V, 17.6.2003, Martinelli, in Foro it., 2004, II, 214; Cass., Sez. V, 22.9.2003, Tesoro, in Cass. pen., 2004, 1994, con nota di (a) LEPERA; Cass., Sez. V, 14.5.2003,

Giambò, in Riv. pen., 2004, 250; Cass., Sez. V, 18.10.2002, Capasso, in Cass., pen, 2004, 3632].

A sostegno di questa soluzione sono state utilizzate in buona sostanza due di- verse argomentazioni. Da un lato, facendo leva sulla natura del cartellino segna- tempo, si è osservato che «le annotazioni sui fogli di presenza hanno non soltanto lo scopo “privato” di stabilire il numero di ore lavorate per le connesse finalità retributive del pubblico ufficiale, ma anche e soprattutto quello “pubblico” di consentire il controllo sulla attività effettivamente espletata, onde evitare disservi- zi». Dall’altro lato si è precisato che «l’attività di attestazione avrebbe natura “cer- tificativa” relativa ad attività compiuta direttamente dal pubblico ufficiale […] E

ciò anche nella ipotesi che il pubblico ufficiale, pubblico di pendente o soggetto che eserciti una pubblica funzione, sia legato all’ente da un rapporto convenzio- nale» [Cass., Sez. V, 17.1.2005, Santamaria, cit.].

Per altro orientamento minoritario, invece, il cartellino segnatempo non sareb- be un atto pubblico perché frutto di un’attività che non consiste nell’esercizio di una funzione pubblica.

Così, si è affermato che «a seguito della entrata in vigore delle norme che hanno privatizza- to i rapporti di lavoro nel settore delle poste e telecomunicazioni, tale generale efficacia proba- toria non possiedono le annotazioni sui fogli di presenza e sul registro dei permessi apposte dai dipendenti dell’ente […] Tali annotazioni, infatti, documentano un dato che rileva in via diretta ed immediata unicamente ai fini della retribuzione e comunque del regolare svolgimento della prestazione di lavoro e soltanto indirettamente e mediatamente ai fini del regolare svolgimento del servizio nel suo complesso» [Cass., Sez. V, 9.10.2002, Bua, in Cass. pen., 2004, 2000, con osservazioni di MORLACCHINI. Nello stesso senso, Cass., Sez. V, 12.4.2005, Piano Del Balzo, ivi,

2006, 936; Cass., Sez. V, 9.10.2002, Marchese, in Guida dir., 2003, 12, 75; Cass., Sez. V, 15.12.2000, Pizzimenti, in Cass. pen., 2002, 2366].

A risolvere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno fatto proprio l’indirizzo minoritario che qualifica il cartellino marcatempo come scrit- tura privata [nello stesso senso in dottrina v. (b) LEPERA, 371 ss.].

In questa prospettiva, muovendo dalla premessa che è necessario un collegamento tra eser- cizio di funzioni pubbliche e attività di documentazione dei pubblici ufficiali, è stato affermato che «il cartellino marcatempo ed i fogli di presenza sono destinati ad attestare solo una circo- stanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra il pubblico dipendente e la pubblica amministrazione, ed in ciò si esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Il pubblico dipendente, in sostanza non agisce neppure indirettamente per conto della p.a., ma opera come mero soggetto privato, senza attestare alcunché in ordine alla attività della pubblica amministrazione» [Cass., Sez. Un., 10.4.2006, Sepe, in Cass. pen., 2006, 2792, con nota di (d) LEPERA, 2796 e di PICCARDI, 2475; anche in Corr. merito, 2006, 1061, con nota di (a) PICCIALLI,;

anche in Dir. pen. proc., 2006, 1253, con nota di PALMERO; anche in Foro it., 2006, II, 416; an-

che in Giust. pen., 2006, II, 673; anche in Guida dir., 2006, 25, 87, con nota di GALDIERI; an-

che in Riv. pen., 2006, 789].

La sentenza delle Sezioni Unite non può che essere condivisa. Come avremo modo di vedere meglio in seguito, il rapporto tra attività di documentazione e pubblica funzione può essere di due tipi [v. infra, Cap. IV, 2.1]: la stessa attività di documentazione può consistere in una funzione pubblica certificatrice (art. 357 comma 2 c.p.: ciò accade per gli atti pubblici fidefacenti); oppure l’attività di do- cumentazione è strumentale all’esercizio di una pubblica funzione legislativa, giu- diziaria o amministrativa (art. 357 comma 1 e 2 c.p.), con la conseguenza che, in quest’ultima ipotesi, se manca il rapporto strumentale tra tale attività e la pubbli- ca funzione oppure manca addirittura la stessa pubblica funzione, l’attività di do- cumentazione può essere qualificata come attività privatistica [in argomento, si v. per tutti ROMANO M., 267 s.].

mancando la stessa pubblica funzione. Più precisamente, che l’attività di timbra- tura non rientri nei poteri certificativi fidefacenti si ricava dal fatto che tale attività non è disciplinata dalla legge mediante la previsione di forme particolari. Che manchi la funzione pubblica si ricava dal fatto che l’attività di documentazione non è strumentale ad alcuna funzione pubblica amministrativa, in quanto il pub- blico dipendente non esercita né poteri autoritativi (coercitivi o comunque inci- denti unilateralmente sulla sfera di altri soggetti) né forma o manifesta la volontà della pubblica amministrazione. Certo, un legame con la pubblica amministrazio- ne è stato individuato nel fatto che l’atto è suscettibile di un controllo da parte della pubblica amministrazione stessa, tuttavia, perché si possa parlare di funzione pubblica e di rapporto strumentale dell’attività di documentazione con tale fun- zione è necessario che il controllo sia posto in essere dallo stesso soggetto che compie l’attività di documentazione. Tuttavia il soggetto che timbra il cartellino non esercita tale funzione di controllo, ma soltanto una mera attività privatistica di documentazione.

Anche alla luce di quanto appena detto si deve osservare come le Sezioni Unite abbiano concluso la motivazione della sentenza precisando che «ove, poi, tali at- testazioni del pubblico dipendente siano utilizzate, recepite, in atti della pubblica amministrazione a loro volta attestativi, dichiarativi o di volontà della stessa, tanto può dar luogo ad ipotesi di falso per induzione, ai sensi dell’art. 48 c.p.».

Ebbene, la giurisprudenza successiva a quella delle Sezioni Unite ha piena- mente aderito all’orientamento tracciato da queste ultime. Ed infatti, da un lato si è ribadita la natura privatistica dell’attività e del documento, dall’altro lato, però, è stata attribuita rilevanza al falso ideologico per induzione.

Così, sotto il primo profilo, si è affermato che i cartellini marcatempo «sono documenti che non hanno natura di atto pubblico, costituendo una mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, oggi soggetto a disciplina privatistica. Detti documenti non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla Pubblica amministrazione, esaurendo in via immediata i loro effetti nella sola dichiarazione relativa al rapporto di lavoro» [Cass., Sez. II, 13.6.2006, Tomasello, in CED, n. 31194/2006. Nello stesso senso, Cass., Sez. V, 6.11.2006, Naselli, in CED, n. 40635 /2006; Cass., Sez. V, 26.9.2006, Randazzo, in Foro it., 2006, II, 642; Cass., Sez. II, 16.5.2006, Buscemi, in CED, n. 32670/2006; Cass., Sez. V, 11.5.2006, Di Bella, in CED, n. 21189/2006].

In ordine al secondo aspetto, relativo al falso ideologico per induzione, si è messa in evi- denza «la differenza tra l’atto autocertificatorio posto in essere dal dipendente e quello, riporta- bile alla volontà della pubblica amministrazione ed avente funzione di attestazione, posto in essere dal soggetto al quale l’amministrazione pubblica affida compiti di controllo del lavoro del dipendente. La natura pubblicistica ai fini penali di questo atto non può essere discussa e il comportamento induttivo o concorrente del dipendente pubblico nella sua formazione com- porta la corresponsabilità» [Cass., Sez. II, 10.8.2008, Gravina, in CED, n. 35058/2008; Cass., Sez. II, 20.5.2008, Gattuso, in CED, n. 25525/2008; Cass., Sez. V, 15.11.2007, Catarinelli, in CED, n. 46424/2007. Tuttavia, prima della sentenza delle Sezioni Unite si v. anche Cass., Sez. V, 6.10.2004, Ruver, in CED, n. 46797/2004, dove si afferma che «con l’apposizione della fir- ma lo stesso dirigente non si fa garante della veridicità intrinseca dell’atto presenza, non essen- do chiamato ad assolvere anche funzioni di controllo in ordine al puntuale disimpegno del- l’attività lavorativa del dipendente; questi si limita infatti a una mera attestazione della regolarità intrinseca dell’atto». In senso analogo a quello dell’ultima sentenza, v. Cass., Sez. V, 15.1.2008,

Di Manici Proietti, in Guida dir., 2008, 14, 80, dove si ribadisce che «deve escludersi dal nove- ro degli atti pubblici quello consistente nella determinazione del corrispettivo, nei confronti del dipendente, posto in essere dall’organo amministrativo»; nonché, Cass., Sez. V, 28.4.2004, Del Medico, in Giust. pen., 2006, II, 71, dove si afferma che «la sottoscrizione da parte del dirigente di un ufficio pubblico dei fogli di presenza dei dipendenti, effettuata in assenza di un effettivo controllo del personale in ufficio, non integra il reato di falso ideologico in atto pubblico», in quanto «non sussiste alcun obbligo di controllo, positivamente sancito, che gravi sul dirigente in ordine all’apposizione della firma dei dipendenti in sua presenza, con la conseguenza che egli si limita ad una mera attestazione della regolarità estrinseca dell’atto»].

B) Di identico tenore a quella del cartellino segnatempo è la questione concer- nente la natura del registro personale del professore, detto anche giornale di clas-

se. A differenza di ciò che accade per il registro di classe, pacificamente qualifi-

cato come atto pubblico dalla giurisprudenza (v. retro, 3.1], rispetto al registro personale del professore sussiste un contrasto di opinioni. Ed infatti, per un pri-

mo orientamento, tale documento è una scrittura privata, in quanto la nozione

di atto pubblico richiede necessariamente una estrinsecazione dell’attività della pubblica amministrazione e un’attitudine ad assumere rilevanza ai fini della do- cumentazione di fatti ed operazioni inerenti all’attività e agli scopi della stessa.

Così si è affermato che «la funzione primaria del giornale del professore è quella di costitui- re un promemoria per il docente di tutte le attività espletate nel corso dell’anno scolastico e dei processi di maturazione degli alunni […] Si vuol dire cioè che il giornale del professore non è un atto che si inserisce in modo essenziale nella formazione dell’atto amministrativo che è costi- tuito dallo scrutinio, o meglio dai verbali di scrutinio» [Cass., Sez. V, 13.1.1999, Thaler, in Cass. pen., 2000, 880, con nota di SARTIRANA; Cass., Sez. II, 16.1.1968, Selvaggi, in Riv. pen., 1968,

1210].

Per altro orientamento, invece, il registro personale è un atto pubblico, non solo e non tanto perché previsto dall’art. 41, r.d. 30.4.1924, n. 965, ma anche e soprattutto perché postula una percezione diretta di fatti ed attività da parte del pubblico ufficiale, producendo altresì effetti nuovi.

In questa prospettiva la giurisprudenza ha affermato che «nel giornale di classe debbono es- sere registrati “i voti, la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancan- ze degli alunni”: è quindi indiscutibile la natura di atto pubblico di tutte le attestazioni di cui sopra riguardanti “attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l’atto di fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti”; natura che si ricava anche sotto il profilo di attestazioni rilevan- ti ed anzi essenziali nel procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica quali il con- seguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell’ordinamento giuridico statale» [Cass., Sez. V, 21.9.1999, Becattini, in Cass. pen., 2001, 876. Nello stesso senso, Cass., Sez. V, 6.11.2000, D’Itollo, ivi, 2002, 236].

Ebbene, stavolta è da condividere l’orientamento che qualifica il registro per- sonale del professore come atto pubblico, essendo indubbio che esso è strumenta- le all’esercizio di una pubblica funzione consistente nella formazione o manifesta- zione della volontà della pubblica amministrazione.

6.2.1.2. I documenti dell’esercente la professione forense. – Un’alternativa tra punibilità per falso ideologico in atto pubblico e punibilità ai sensi dell’art. 481 c.p. si è posta rispetto a molti documenti. Anzitutto, per quelli prodotti da chi e- sercita la professione legale di avvocato e in particolare per l’autentica del man- dato in calce alla citazione e per il verbale delle dichiarazioni rese nell’ambito del- le indagini difensive.

Prima di esaminare nel dettaglio le questioni, occorre compiere due precisa- zioni. Da un lato, non c’è dubbio che il difensore non è pubblico ufficiale in virtù della attività che svolge, in quanto egli non esercita una funzione giudiziaria, ma interviene nell’esercizio di tale funzione, affidata ad altri soggetti. Com’è stato no- tato «fintantoché all’avvocato si riconosce il potere – anzi, forse, il “dovere” – di non rilevare evidenze e non compiere attività che, pur in astratto utili per un mi- gliore accertamento della verità, nuocerebbero “agli interessi della parte da lui di- fesa”, deve negarsi che la sua attività risulti complessivamente e normalmente funzionale al perseguimento d’un pubblico interesse giudiziario, se non in un sen- so assolutamente astratto e generico, quindi inutilizzabile ai fini della identifica- zione d’un fatto tipico di reato (del soggetto attivo d’un reato proprio)» [(b) VAL- LINI, 59 s.]: da ciò consegue che nell’esercizio della sua attività il difensore rico- pre spesso la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità di cui all’art. 359 c.p. Dall’altro lato, tuttavia, non è da escludere l’ipotesi che il difenso- re “diventi” pubblico ufficiale, là dove svolga particolari attività, tra le quali può rientrare proprio l’attività di documentazione. Anzi, si può dire che un problema di qualifica pubblicistica del difensore si è posto proprio soprattutto allorquando questi si trova ad attestare fatti o dichiarazioni avvenuti in sua presenza.

A) Ciò premesso, per quanto riguarda l’autentica di firma, è indubbio che il

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