• Non ci sono risultati.

Il documento informatico (art 491-bis c.p.).

Nel documento Le falsità documentali (pagine 157-170)

Capitolo III Le tipologie di documento

B) Per quanto riguarda il verbale dell’intervista difensiva, occorre muovere dal fatto che vi è stata una pronuncia delle Sezioni Unite ben prima che si venisse

7. Il documento informatico (art 491-bis c.p.).

Il documento c.d. informatico può essere definito come quel supporto che rappresenta dichiarazioni di pensiero in forma elettronica. Esso pone due pro-

blemi: da un lato, quello della sua riconducibilità o meno all’interno del concetto

di documento che abbiamo tratteggiato nel capitolo precedente, vale a dire la questione se in esso siano presenti o meno tutti gli elementi costitutivi necessari ai fini della esistenza di una dichiarazione penalmente rilevante; dall’altro lato, il do- cumento informatico pone un problema di tipicità, dovendosi chiarire se ad esso siano o meno applicabili le fattispecie previste per gli altri documenti oppure sia necessaria la previsione di fattispecie ad hoc. Com’è agevole comprendere, si tratta di due problematiche strettamente connesse, nel senso che un problema di tipicità si pone soltanto se la prima questione della nozione è stata risolta in termini tali da negare la riconducibilità del documento informatico all’interno del concetto classico, ovvero, detto in altri termini, se si ritiene che tale documento costituisca un documento classico, è giocoforza ritenere che per esso non si debba prevedere né una norma estensiva della tipicità, né tanto meno fattispecie ad hoc con una propria struttura del tutto peculiare.

Vero questo, è anche vero che all’interno del nostro sistema penale è stata pre- vista una disciplina che invece di risolvere i problemi a cui abbiamo appena ac- cennato ha finito per aggravarli. Più precisamente, in estrema sintesi, la vicenda del documento informatico può essere suddivisa in tre fasi. Fino al 1993, i pro- blemi si ponevano soltanto a livello di dottrina [v. per tutti, (a) PICOTTI, 939 ss.].

Dal 1993 fino al 2008, invece, problemi interpretativi si sono posti anche a livello di prassi applicativa in quanto con l’art. 3, legge 23.12.1993, n. 547 il legislatore ha introdotto nel codice penale l’art. 491-bis appositamente dedicato al documen- to informatico e disciplinante due profili: al primo periodo, si è esteso l’ambito applicativo delle falsità documentali, sancendo che «se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o privato, si ap- plicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubbli- ci e le scritture private»; nel secondo periodo è stata fornita la definizione di do- cumento informatico, da intendersi come «qualunque supporto informatico con- tenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamen- te destinati ad elaborarli». Ebbene, come vedremo, rispetto a questa disciplina si sono formati due diversi orientamenti interpretativi: da un lato, v’è stato un indi- rizzo che ha interpretato la definizione di documento in termini tali da ricondurlo al concetto classico di documento, con la conseguenza che la prima parte dell’art. 493-bis c.p. relativa alla applicazione delle fattispecie è stata interpretata come norma meramente “dichiarativa”; dall’altro lato, v’è stato invece chi ha interpreta- to la definizione in esame in termini tali da riconoscere al documento particolarità strutturali, attribuendo alla prima parte una funzione innovativa e quindi anche incriminatrice. Infine, nel 2008 con l’art. 3 comma 1 legge 18.3.2008 n. 48 sembra essere iniziata una nuova fase, in quanto il legislatore nel modificare l’art. 491-bis

c.p., ha soppresso la definizione del secondo periodo, mantenendo in vita la locu- zione “avente efficacia probatoria”, anticipata nel primo periodo dopo la parola “privato”.

Ebbene, tralasciando la prima, in ordine alla seconda fase (1993-2008) si deve evidenziare come dottrina e giurisprudenza fossero pienamente d’accordo nel ri- tenere che l’art. 491-bis c.p. avesse efficacia innovativa nella parte riguardante i

“programmi specificamente destinati ad elaborare” i dati informatici [in giuri-

sprudenza cfr. Cass., Sez. V, 12.3.2004, Russello, in CED, n. 11915/2004; Trib. Roma, 3.3.2000, Scafuri, in Giur. merito, 2001, II, 720]. E rispetto a tale disposi- zione, che a quanto mi consta ha trovato applicazione in una sola ipotesi, e in termini a dire il vero non del tutto condivisibili [Cass., Sez. V, 21.9.2005, De Marzo, in Cass. pen., 2006, 4043], non erano mancate critiche volte a mettere in risalto come tutelare gli stessi programmi di elaborazione portasse in sé il rischio di un’eccessiva e ingiustificata estensione dell’area penale, potendosi arrivare alla criminalizzazione di condotte certamente del tutto prive di disvalore, come l’in- tegrazione, la modificazione o l’aggiornamento di determinati programmi, attività queste a ben vedere fisiologiche per la stessa vita dei sistemi informatici [BOR- GOGNO, 82 s.].

Al contrario, la questione della efficacia dichiarativa o incriminatrice era molto

discussa in ordine alla parte riguardante “il supporto informatico contenente dati o informazioni”. Ed infatti, per la totalità della giurisprudenza, la norma aveva

un’efficacia meramente dichiarativo-interpretativa.

Così, si è affermato che l’art. 491-bis ha natura interpretatrice in quanto «si limita a chiarire che le fattispecie di falso sono ravvisabili anche quando la falsificazione sia avvenuta a mezzo di un supporto informatico o comunque con la sua alterazione» [Cass., Sez. V, 18.6.2001, Balbo, in Cass. pen., 2002, 2363 ss. Nello stesso senso Cass., Sez. V, 6.3.2008, Abrami, in Riv. pen., 2008, 1040; Cass., Sez. V, 13.2.2006, Manfrè, in CED, n. 10978/2006; Cass., Sez. V, 24.11.2003, Russello, in CED, n. 11915/2004; Cass., Sez. VI, 18.4.2003, Falciola, in Giust. pen., 2004, II, 410; Cass., Sez. V, 14.3.2003, Sciamanna, in Dir. giust., 2003, n. 22, 50 ss., con nota di FUMO;

App. Roma, 7.1.2002, Scafuri, in Ind. pen., 2003, 247, con nota di (b) CANTAGALLI; Trib. Roma,

3.3.2000, Scafuri, cit.; Trib. Como, 25.9.1995, Palazzo, in Informaz. prev., 1995, 1547, con nota di MARCELLI. Nello stesso senso anche Cass., Sez. V, 27.1.2005, Occhetta, in Cass. pen.,

2005, 446, la quale, però, dopo aver escluso l’efficacia innovativa dell’art. 491-bis c.p., ricono- sce «le diversità strutturali che caratterizzano il documento informatico e la relativa condotta che lo attua, rispetto al documento scritto e alla condotta che lo realizza»].

E da tale funzione meramente dichiarativa si facevano derivare due conse- guenze: che i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge del 1993 po- tevano essere puniti e che il titolo della responsabilità era di falsità consumata e non tentata. Con la conseguenza ulteriore che il fatto di alterare i dati poteva esse- re punito indipendentemente dalla esistenza di una copia cartacea.

A sostegno di questa soluzione si affermava l’identità del documento informa- tico rispetto al documento tradizionale e quindi si poneva in evidenza la presenza di tutti gli elementi costitutivi del documento. In particolare, su un piano funzio- nale, si evidenziava la stessa funzione svolta dal documento informatico rispetto a quello cartaceo di conservazione di dati giuridicamente rilevanti.

In questa prospettiva si è precisato che «un archivio informatico di una p.a. deve essere considerato alla stessa stregua di un registro (costituito da materiale non cartaceo) tenuto da un soggetto pubblico», con la conseguenza che «la condotta del pubblico ufficiale che, nell’eser- cizio delle sue funzioni e facendo uso dei supporti tecnici di pertinenza della pubblica ammini- strazione, confezioni un falso atto informatico destinato a rimanere nella memoria dell’elabo- ratore, integra una falsità in atto pubblico, a seconda dei casi, materiale o ideologica, ininfluen- te restando la circostanza che non sia stato stampato alcun documento cartaceo» [Cass., Sez. V, 18.6.2001, Balbo, in Cass. pen., 2002, 2364].

Su un piano strutturale, si metteva in risalto come in ordine al documento in ambito penalistico ciò che contasse non fosse tanto il mezzo di incorporazione al- la fin fine irrilevante, purché idoneo a conservare la dichiarazione per un certo lasso di tempo, quanto piuttosto la forma di manifestazione del pensiero consi- stente nella scrittura [Cass., Sez. V, 13.2.2006, Manfrè, in CED, n. 10978/2006; App. Roma, 7.1.2002, Scafuri, in Ind. pen., 2003, 247].

Di ben altra opinione era invece la maggioranza della dottrina, la quale era o- rientata a marcare le differenze strutturali che intercorrevano tra il documento tradizionale e quello informatico, affermando così la natura innovativa dell’art. 491-bis c.p. [MERLI, 183; PARODI, 369 ss.; (a) PECORELLA C., 127; (b) ID., 3515; BORGOGNO, 77 ss.; MELONI, 384 ss.; SCOLETTA, 5 ss. In argomento v. anche (a) MEZZETTI, 306 ss.]. Con la conseguenza che l’applicazione delle fattispecie di fal-

sità rispetto a fatti relativi a documenti informatici commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 491-bis dava luogo a un’interpretazione analogica interdetta al giu- dice.

In ordine alle argomentazioni utilizzate a sostegno di questa soluzione, si pote- vano distinguere quelle a ben vedere del tutto prive di plausibilità da quelle inve- ce con un certo fondamento. Circa le prime, si metteva in risalto anzitutto l’im- possibilità di attribuire la paternità del documento a causa della mancanza di una

sottoscrizione autografa [BORGOGNO, 85 s.; MELONI, 385. In argomento cfr. an-

che PARODI, 371 ss.; (a) MEZZETTI, 307, il quale precisa che in assenza del sup-

porto cartaceo e quindi della sottoscrizione, non è individuabile l’autore apparen- te del documento]. Si trattava tuttavia di un’obiezione non del tutto fondata, per- ché ciò che conta (anche in ambito civilistico) non è tanto la certa riferibilità di un documento a un determinato soggetto, quanto piuttosto la possibilità di accertare concretamente la provenienza soggettiva del documento. E ciò è dimostrato an- che dalla disciplina contenuta nel c.d. codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005, così come modificato dal d.lgs. n. 159/2006), la quale individua tre tipi di sottoscrizione che pur esprimendo un grado di certezza assai diverso sono tuttavia considerati tutti legittimi: la firma elettronica digitale, quella elettronica avanzata e infine la firma elettronica semplice, realizzata cioè tramite la mera digi- tazione del nome in calce.

In secondo luogo, si è fatto riferimento alla circostanza che il documento in-

formatico non è direttamente rappresentativo del pensiero, nel senso che l’effetto

rappresentativo è sempre mediato dalla azione di un elaboratore, con la duplice conseguenza che il documento è leggibile solo con l’ausilio di determinati stru-

menti e che la scrittura e il pensiero sono il frutto di un segnale elettronico pro- dotto da un linguaggio meccanico di per sé non intelligibile [BORGOGNO, 78 ss.; SCOLETTA, 6]. Tuttavia, in ordine alla prima conseguenza, la necessità di una mediazione ai fini della produzione e della lettura non ha rilevanza, in quanto la leggibilità immediata non è un requisito del documento (altro è il problema della incorporazione che affronteremo tra poco). In ordine alla scrittura e al pensiero, vero che si impiega un linguaggio elettronico, è anche vero che il prodotto finale è pur sempre un linguaggio comunicativo capace di esprimere un pensiero.

Ben più significativa un’altra argomentazione basata sulla incorporazione, vale a dire sulla peculiarità del supporto informatico. Sul punto occorre preliminar- mente chiarire che per supporto informatico non si deve intendere il supporto materiale (hard disk, floppy disk, Cd-rom) [in questa prospettiva sembra muover- si BORGOGNO, 78], quanto piuttosto il supporto di memoria elettronico, come

tale immateriale [(b) PECORELLA C., 3516 s.; MELONI, 384; SCOLETTA, 6 s.]. Ebbene, proprio questa immaterialità del supporto sarebbe ciò che differenzia il documento informatico da quello tradizionale. Da un lato, infatti, mancherebbe quella fissità e quella definitività che caratterizzano il documento tradizionale, visto che consente la modifica e l’aggiornamento continui; dall’altro lato, in virtù del fatto che il supporto informatico avrebbe una consistenza immateriale, si do- vrebbe giungere alla conclusione che l’alterazione del dato non passa mai dal sup- porto, ma incide sul dato stesso con notevoli ripercussioni in ordine alla condotta, la quale sembra consistere in una “manipolazione”: «nel caso di documenti in- formatici, l’agente che voglia falsificarli, alterarli o distruggerli, non ha necessità di agire sul supporto informatico, bensì sui dati registrati su di esso, senza che dalla sua azione derivi alcun danno al supporto e senza che questo conservi alcuna trac- cia dell’azione compiuta, se non per le modificazioni apportate ai dati, che risulte- ranno, dopo l’azione illecita, registrati come prima con le sole variazioni apportate dal falsificatore» [(a) PICA, 124. Nello stesso senso, BORGOGNO, 79; (a) MEZ- ZETTI, 308; SCOLETTA, 7].

Tutto ciò precisato, è indubbio che la previsione di una norma ad hoc deponga a favore della sua funzione innovativa: solo muovendo dalla diversità si giustifica un intervento legislativo vòlto a sancire espressamente l’applicazione delle falsità anche ai documenti informatici. D’altra parte, il tipo di incorporazione (materiale o immateriale) non ha tutta quella specificità strutturale che gli si vuole attribuire. Il fatto che non derivi alcun danno visibile al supporto non è poi così decisivo, in quanto le stesse condotte di formazione ex novo di un documento o di aggiunta rispetto a un documento già esistente sono condotte che non comportano alcun danno visibile. Inoltre, ciò che rileva non è il dato in sé e per sé considerato, l’im- pulso elettronico, bensì il dato memorizzato (incorporato nella memoria), per cui è ben possibile individuare una non corrispondenza tra quello memorizzato da un autore e quello memorizzato da un altro autore. In altre parole, anche il docu- mento informatico conosce una incorporazione capace di far perdurare una di- chiarazione nel tempo e questa incorporazione si ha con la registrazione del dato nel supporto di memoria elettronica. Con la conseguenza che la definizione con-

tenuta nella seconda parte dell’art. 491-bis finiva per essere non solo corretta, ma anche orientata a precisare che il documento informatico è riconducibile a quello classico. E quindi con l’esito finale che l’orientamento giurisprudenziale aveva buoni argomenti a proprio sostegno.

Come accennato, nel 2008 è intervenuta una riforma che non pare destinata ad incidere in termini significativi sulla prassi applicativa [in tal senso si esprime anche SCOLETTA, 18], mentre dovrebbe offrire un contributo a riavvicinare dot-

trina e giurisprudenza. Da un lato, è stata abrogata l’incriminazione di chi incide sui programmi necessari alla elaborazione dei dati. Dall’altro lato, è stato elimina- to il riferimento al supporto informatico, con la conseguenza che adesso la defini- zione si ricava da quella generale nel frattempo sviluppatasi nell’ordinamento extrapenale, secondo cui documento informatico è «la rappresentazione informa- tica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (art. 1 lett. p) d.lgs. 7.3.2005 n. 82) [(e) PICOTTI, 703]: come si può vedere, si tratta di una nozione diretta a far leva sull’elemento del dato rappresentato piuttosto che su quello del supporto. Tuttavia, non si può non ribadire che i dati informatici esistono in quanto suscet- tibili di essere incorporati all’interno di un supporto da intendersi come memoria elettronica.

Due ultime considerazioni. Anzitutto si deve osservare come siano del tutte

estranee alla dimensione penalistica le problematiche connesse alla firma digitale e alla rilevanza giuridica del documento informatico in ambito civilistico [in senso contrario, si v. BORGOGNO, 87 ss.; MELONI, 385 ss.]. Ed infatti, si deve ritenere che trovino tutela penale sia i documenti informatici sottoscritti mediante firma digitale o firma elettronica qualificata, sia i documenti informatici sottoscritti con firma diversa da queste ultime, c.d. semplice e che in ambito civilistico vengono ricondotti all’art. 2712 c.c. [in termini analoghi, si v. SCOLETTA, 14 s., secondo il quale «l’ordinamento normativo attribuisce pertanto ai documenti informatici – anche attraverso il sistema delle firme elettroniche – un’efficacia giuridica e pro- batoria parallela e speculare a quella dei documenti tradizionali, ponendoli così sotto il sicuro presidio penalistico delle fattispecie codicistiche» (15); si v. tuttavia Trib. Brescia, 11.3.2008, in Dir. internet, 2008, 474, con nota di GARBAGNATI].

Inoltre, è opportuno ricordare che l’art. 65 della legge n. 69/2009 contiene una delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi che andranno a disciplinare le “procedure informatiche e telematiche” con le quali sarà possibi- le redigere l’atto pubblico notarile, autenticare le sottoscrizioni delle scritture pri- vate, tenere i repertori e i registri del notaio, conservare i documenti notarili.

8. La copia (art. 492 c.p.).

I documenti vengono distinti in originali o derivativi: i primi sono quelli che rappresentano il contenuto di una determinata dichiarazione prima inesistente e riconnettono ad essa determinati effetti giuridici; i documenti derivativi sono in-

vece quelli che riproducono il contenuto di una dichiarazione contenuta in altri documenti.

In particolare, si considerano documenti originali l’originale in senso stretto, vale a dire il documento che anche cronologicamente è stato formato per primo, e il duplicato, cioè il documento che pur essendo formato quando un originale è già esistente, tuttavia è da ritenersi giuridicamente identico all’originale sul piano de- gli effetti in quanto confezionato con le stesse identiche formalità dell’originale [Cass., Sez. V, 3.5.2005, Di Bartolomeo, in CED, n. 24566/2005, relativa ad ipote- si in cui erano stati formati due esemplari di delibera di Giunta].

All’interno degli atti derivativi, si può distinguere una pluralità di tipologie. Anzitutto, vi sono le copie che contengono la riproduzione fedele e completa di un documento originale effettuata con qualsiasi mezzo (in particolare la copia fo- tografica: fotocopia). All’interno delle copie si può ulteriormente distinguere tra le copie autentiche e quelle semplici.

Le copie sono autentiche quando sono formate e rilasciate da un pubblico uf- ficiale che ne garantisce la conformità all’originale (art. 478, comma 1, c.p.). Le copie autentiche sono pertanto atti complessi costituiti da due dichiarazioni: quel- la in cui si riproduce il contenuto della dichiarazione originale e quella del pub- blico ufficiale in cui si dichiara la conformità della riproduzione all’originale (la c.d. autenticazione che è una dichiarazione a dire il vero originale).

Le copie autentiche si distinguono da quelle semplici, non solo perché è pre- sente la dichiarazione del pubblico ufficiale di autenticazione, ma anche per il fat- to che, in virtù dell’autenticazione, la natura del documento originale si trasmette alla dichiarazione riprodotta e autenticata, con la conseguenza che se l’originale è atto pubblico, la copia è atto pubblico, se è atto privato, la copia è atto privato, al netto della dichiarazione di autenticazione del pubblico ufficiale che è sempre un atto pubblico [v. Cass., Sez. V, 6.7.1994, Ferrofino, in Cass. pen., 1995, 919 ss., in cui si afferma che «nella scrittura privata autenticata si ha la documentazione con- testuale di due atti che rimangono ben distinti, l’uno essendo un atto privato, l’altro un atto pubblico»].

All’interno delle copie autentiche, lo stesso legislatore penale ha distinto tra copie che tengono luogo degli originali e quelle che non tengono luogo degli ori- ginali. Sancisce infatti l’art. 492 c.p. che «agli effetti delle disposizioni precedenti, nella denominazione di atti pubblici e di scritture private sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo de- gli originali mancanti».

Rispetto a questa disposizione si deve chiarire se nel concetto di documento a fini penalistici rientrino solo le copie autentiche che tengono luogo dell’originale mancante, come sembra dedursi dal tenore letterale dell’art. 492 c.p., oppure an- che le copie autentiche che non tengono luogo dell’originale mancante. La giuri- sprudenza e una parte della dottrina non hanno mancato di esprimersi nel primo senso affermando che va esclusa la punibilità, come delitto contro la fede pubblica, della soppressione delle copie autentiche, quando non tengano luogo degli origi- nali mancanti [Cass., Sez. V, 6.3.1998, Ridella, in Cass. pen., 1999, 1450; in senso

analogo, in ordine a una falsità materiale di copia, v. Cass., Sez. V, 27.2.2001, Ter- signi, in Foro it., 2001, II, 464, con nota di RUSSO; DE MARSICO, 586; PERDONÒ, 552, il quale si spinge ad affermare che «la tutela penale […] concerne solo la co- pia autentica che tiene luogo dell’originale mancante, e non le altre copia autenti- che o gli originali duplicati o, ancora, gli attestati»]. Tuttavia, si deve ritenere che la tutela debba essere estesa anche alle copie autentiche che non tengono luogo dell’originale mancante, in quanto si verrebbe a creare un vuoto di tutela davvero inspiegabile, non potendosi dimenticare che il concetto di documento in ambito penale è decisamente diverso da quello in ambito civilistico e quindi del tutto in- dipendente dalle problematiche degli effetti che si pongono in tale ultimo ambito. Per quanto riguarda le fattispecie alle quali sono riconducibili le falsità in copie autentica, si v. infra, Cap. VI, 2.

La copia semplice consiste nella mera riproduzione di un documento originale in assenza di autenticazione. Essa pone due problemi non sempre distinti chiara- mente: da un lato, se configuri o meno un documento ai fini del diritto penale e se quindi sia suscettibile di alterazione; dall’altro lato, se la riproduzione fotostatica integri gli estremi della falsità materiale nella forma della contraffazione.

In ordine alla prima questione si può osservare come la soluzione muti a se- conda che si mutui o meno la rilevanza giuridica dal diritto civile oppure no. Se infatti si muove dalla prospettiva civilistica secondo cui la fotocopia non ha di per sé valore di documento e può essere produttiva di effetti giuridici solo se autenti-

Nel documento Le falsità documentali (pagine 157-170)

Outline

Documenti correlati