• Non ci sono risultati.

1. EVOLUZIONE DEL MERCATO DISCOGRAFICO

1.5. I NUOVI PROTAGONISTI

1.5.3. L'avvento dello streaming e Spotify

La crisi che ha colpito il mercato discografico negli anni Duemila, ha rivoluzionato completamente il modo di concepire la musica. Mai come adesso l'industria del disco si è rinnovata così tante volte. Nonostante l'avvento di iTunes sia avvenuto solo pochi anni fa, anche quel modo di usufruire della musica sembra ormai arrivato al capolinea. La Apple ha il pregio di aver rallentato la pirateria dilagante di questi anni, e salvato in parte molte industrie discografiche, ma il file sharing è ancora molto presente. La musica è praticamente diventata gratuita e la maggior parte degli utenti preferisce ancora scaricare illegalmente piuttosto che acquistare il singolo a 0,99$, per quanto il prezzo sia ancora esiguo.

Sulla base di questo presupposto si concentra l'ennesimo nuovo modo di concepire la musica: averla gratuitamente, istantaneamente e potervi accedere in qualunque momento. A questa richiesta ha cercato di rispondere negli ultimi anni, i software di streaming musicale, in particolare Spotify.

Spotify viene fondata nel 2008 da Daniel Ek e Martin Lorentzon ed è di proprietà della società Spotify AB con sede a Stoccolma. Il software segue una logica completamente diversa da quella che fino ad adesso aveva caratterizzato il mercato discografico: non è importante possedere i dischi o i brani quanto piuttosto potervi accedere in qualunque momento. Ecco perché le vendite del disco fisico, ma anche del download tramite iTunes, continuano a diminuire: perché adesso l'utente medio non ha interesse a possedere la musica quanto piuttosto a poterne usufruire sempre e gratis. Spotify è stata in grado di seguire le richieste del pubblico, a dargli quello che voleva e a combattere drasticamente la pirateria: a che serve scaricare illegalmente la musica se si può comunque ascoltarla gratis?

Al momento del lancio, Spotify prevede la possibilità per l'utente di sottoscrivere un abbonamento mensile per accedere al catalogo ma anche degli account gratuiti disponibili

solo su invito per poter gestire, inizialmente, la crescita del servizio. Ma già nell'anno successivo, quando il servizio viene aperto in Gran Bretagna, viene prevista la possibilità di

account gratuiti senza invito.

Da questo momento la crescita di Spotify è esponenziale e se ne accorgono anche le maggiori etichette discografiche che cominciano a prendere accordi con la società svedese. Una nuova era è alle porte e il sistema di Spotify sembra convincere tutti: nel 2010 si parla di cifre come 45 milioni di euro pagati da Spotify ai propri licensor60 e l'anno successivo il software sbarca oltreoceano. Il mondo sta cambiando velocemente e cambia nuovamente il modo di ascoltare musica: le vendite dei lettori mp3 calano perché adesso è lo smartphone a farla da padrone; e così Spotify viene lanciato anche sui principali cataloghi di app.

Ma perché Spotify ha ottenuto un importante numero di utenti in così poco tempo? La strategia della società è quella di offrire un servizio legale gratuitamente dando al consumatore fidelizzato la facoltà di abbonarsi o meno. In sostanza si possono distinguere due tipologie di sottoscrizioni al sito: una Free e una Premium.

A sua volta la Free si divide in altre due versioni, una per computer e tablet e un'altra per smartphone; la prima permette all'utente di ascoltare qualsiasi brano presente nel vasto catalogo, la riproduzione però sarà periodicamente interrotta dagli avvisi pubblicitari; nella versione mobile, invece, l'utente potrà ascoltare le canzoni solo in modalità shuffle, ovvero non potrà scegliere il singolo brano ma solo la playlist, l'artista o l'album ed in più è previsto un limite di cinque skip delle canzoni. Ovviamente la pubblicità è presente anche in questa seconda categoria.

Anche la versione Premium presenta altre due sotto-categorie. L'account Spotify Premium viene sottoscritto dagli utenti pagando un abbonamento mensile di 9,99 € (ma anche dollari o sterline), questo permette la rimozione dei contenuti pubblicitari, una qualità della musica più alta, la possibilità di scaricare sul proprio dispositivo i brani e ascoltarli in offline e di selezionare il singolo brano anche in modalità mobile. L'altra versione è Premium for Family che comprende le stesse funzionalità ma prevede il pagamento di 14,99€ mensili con la possibilità però di spartirli fra sei account differenti.

Probabilmente la forza di Spotify, rispetto alle competitor sta proprio qui. Il software permette comunque sia di accedere al vasto catalogo in qualsiasi momento e gratis, quindi

l'utente medio che fino a poco tempo fa scaricava illegalmente, non ha più interesse a farlo perché è più facile ascoltare la musica su Spotify, anche se con qualche pubblicità di tanto in tanto. In questa maniera però, l'utente comincia a prendere confidenza col software, ad utilizzarlo sempre di più, a scoprire le infinite possibilità di ascolto e quindi può interessarsi a passare ad un account a pagamento. L'azienda, infatti, ha spesso incentrato le proprie strategie sul convincere il più alto numero possibile di utenti a passare al servizio a pagamento, magari offrendo periodi di prova gratuiti degli account Premium, scommettendo sul fatto che una volta provato, si possa accorgere della netta superiorità rispetto a quello Free.

Da un certo punto di vista è vero, quindi, che Spotify ha salvato l'industria discografica. O meglio, l'ha ridimensionata e avviata verso un'era completamente diversa. Un'era dove a farla da padrone non sono le major ma i sevizi che li ospitano. A pagarne le spese però sono gli artisti che, sulla base del modello di business di Spotify e degli accordi presi con la propria casa discografica, non guadagna molto sugli ascolti del proprio brano.

Come funziona, quindi, il modello di business di Spotify? La società svedese paga le

royalties alle etichette tutte le volte che si registra un singolo ascolto sul brano di proprietà di

quella determinata azienda discogarfica; in particolare, distribuisce circa il 70% degli incassi derivanti dai vari abbonamenti e dagli introiti della pubblicità, e a sua volta l'etichetta distribuirà il ricavo ottenuto all'artista secondo gli accordi che sono stati presi.

L'azienda, per rendere il tutto più trasparente, ha fornito uno speciale schema in cui viene descritto il quantitativo che riceve l'artista.

Fonte: https://artists.spotify.com/

Le variabili sono quattro:

 Spotify Monthly Revenue, ovvero i ricavi totali di Spotify in un mese generati da abbonamenti e pubblicità; questo dato ovviamente varia da Paese a Paese sulla

base del numero degli utenti paganti e della pubblicità immessa in quel determinato Paese.

 Artist's Spotify stream/ Total Spotify Streams, cioè si effettua un rapporto tra quanto quel determinato artista viene ascoltato e il totale degli ascolti; in pratica, si calcola la popolarità dell'artista.

 70% to master & publishing owners, cioè la percentuale che percepisce la casa discografica.

 Artist's royalty rate, che indica la percentuale spettante all'artista sulla base di quanto previsto contrattualmente con la propria casa discografica.

Sulla base di questo calcolo si registra il payout del singolo artista. Spotify afferma che mediamente il pagamento dovuto a coloro che possiedono i diritti sui brani si aggira intorno ai 0,006 e 0,0084 $ per ascolto. Cifra che per la popstar risulta in fin dei conti onesta, commisurata al numero di ascolti che registra, ma che è molto esigua se invece si parla di artisti indipendenti.

Oggi Spotify vanta più di 100 milioni di utenti attivi, di cui più di 50 sono utenti abbonati61, con un incremento del 25% rispetto ai 40 milioni attestati a Novembre 2016. Solo due anni fa gli utenti paganti erano 10 milioni su un totale di 4062. Nel 2015 ha registrato una crescita di quasi 80 punti percentuali sui guadagni rispetto all'anno precedente, pari a 1,9 miliardi (1,08 miliardi nel 2014 e 750 milioni nel 2013). Di questi, quasi il 90% deriva dagli abbonamenti, mentre il restante 10% dalle entrate percepite dalla pubblicità. In sostanza, gli allora 30 milioni di utenti paganti risultanti dal bilancio del 2015 hanno generato 1,7 miliardi, contro i 195 milioni dei restanti 60 milioni di utenti free. Nonostante questo le major impongono delle cifre per il pagamento delle royalties molto alte, tanto che le spese totali si attestano a 1,6 miliardi, con un pesantissimo +85% in confronto all'anno precedente, che registrava, infatti, un costo della produzione pari a 882,5 milioni. Praticamente la società svedese versa l'84% dei propri ricavi direttamente alle etichette discografiche. Spotify è quindi, ancora in perdita dall'anno zero: in particolare nel 2015 si parla di un conto in rosso di 173,1 milioni (+6,6% rispetto al 2014 che ammontava a 162,3)63.

A lungo andare però, la società afferma che le onerose royalties e i grossi

61 https://twitter.com/Spotify/status/837404762895233024

62 http://www.pianetacellulare.it/Articoli/Applicazioni/36922_Spotify-ha-50-milioni-di-utenti-paganti.php 63 http://francescoprisco.blog.ilsole24ore.com/2016/05/25/spotify-versa-allindustria-discografica-l84-del-

investimenti in tecnologia ed in nuove infrastrutture permetteranno di potersi assicurare la più grossa fetta del mercato futuro.

Un ruolo fondamentale per Spotify lo gioca chiaramente la pubblicità, perché questa gli permette di finanziare il servizio gratuito attraverso il quale attrarre nuovi utenti paganti. Come già detto, lo spot pubblicitario viene inserito in media ogni trenta minuti di riproduzione per coloro che non usufruiscono di un account Premium. È evidente che per le altre aziende, Spotify rappresenta un veicolo notevole per promuovere i propri prodotti, soprattutto per raggiungere un target giovanile.

Esistono diverse tipologie di pubblicità su Spotify. La più comune è il formato audio attraverso il quale l'utente viene immediatamente attratto per via del fatto che si accorge che viene interrotta la riproduzione musicale. Le pubblicità visive, invece, sono meno utilizzate semplicemente perché l'utente dovrebbe interagire con il device che sta utilizzando per ascoltare musica, quando, in realtà, nella maggior parte dei casi, l'ascoltatore sta facendo altro. Comunque tra queste possiamo individuare:

 Pubblicità Display: è la pubblicità visiva più diffusa, dura trenta secondi e, cliccandoci, si viene reindirizzati sul sito del brand.

 Pubblicità cartellone: si presenta come screensaver dopo cinque minuti di inattività dell'utente che quando ritorna attivo può visualizzare l'immagine ridotta in modalità leaderboard o skycraper.

 Takeover sulla homepage: l'immagine pubblicitaria cliccabile viene sovrapposta a quella della homepage di Spotify.

 Branded Playlist: la più innovativa, si tratta di una playlist pubblicizzata da un

brand e promossa dalla piattaforma tramite suggerimenti di ascolto agli utenti.

Deve contenere almeno 40 brani, una sola canzone per artista e prevede la possibilità di personalizzare l'immagine e il testo della playlist con quanto previsto dal brand.

 Lightbox: simile alla takeover, in questo caso può contenere immagini, video, giochi ecc. Si attiva quando l'utente clicca su una pubblicità display, audio o

takeover

 Branded Page: la piattaforma prevede la possibilità per un brand di avere una propria pagina personalizzata raggiungibile tramite clic sulle inserzioni del brand

stesso.

Con queste numerose tipologie di inserzioni, le aziende possono personalizzare i propri spot in modo da renderli sempre riconoscibili rispetto agli altri e attirare l'attenzione dell'utente.

L'elemento caratterizzante, però, di Spotify, come il resto delle piattaforme streaming è il nuovo modo di usufruire della musica. A farla da padrone in passato sono stati prima l'album e poi il singolo brano con l'avvento del file sharing e iTunes. Oggi, invece, sono le

playlist. Circa metà degli utenti di Spotify non arriva alla musica cercando un artista o un

genere, come poteva succedere qualche tempo fa, ma affidandosi ad una playlist. E a crearle possono essere sia direttamente la piattaforma mediante una serie di algoritmi, sia dipendenti Spotify, sia profili importanti del settore musicale (Billboard, Rolling Stone, Digster, ecc..), sia persone comuni. Quelle più riprodotte sono, nella maggior parte dei casi, quelle create dal

software stesso. Possono essere organizzate compilation per genere ma anche per momenti

della giornata o addirittura in base al mood dell'utente. E tutto questo è emblematico perché, mentre prima erano le etichette che potevano decretare la fortuna o l'insuccesso di un determinato artista, adesso è direttamente Spotify a decidere cosa l'utente medio deve ascoltare. Ovviamente è sempre il pubblico alla fine ad avere l'ultima parola: se una determinata traccia viene “skippata” troppe volte, gli editor della playlist provvederanno a rimuoverla perché non viene sufficientemente apprezzata. Lo stesso vale se, invece, un brano viene riprodotto ripetutamente o salvato nel dispositivo per ascoltarlo in offline da più persone: in questo caso rimarrà più a lungo all'interno della playlist.

Poi ci sono le playlist automatiche, altra grande rivoluzione di Spotify. In base agli ascolti dell'utente si creano delle compilation plasmate sui suoi gusti e sugli artisti più simili a quelli che ascolta. La più popolare è Discover Weekly, che ogni Lunedì propone nuovi brani sulla base di quello che si ascolta di solito; oppure Release Radar, che invece contiene tutte le nuove uscite degli artisti che l'utente segue: o ancora la nuova Daily Mix, simile alla Discover Weekly ma con un rinnovo delle canzoni quotidiano.

Veniamo poi a parlare di un altro elemento che ha fatto la fortuna di Spotify: la sua stretta collaborazione con il colosso Facebook.

Oggi tutto passa dal social, anche la musica. Gli utenti Spotify possono creare, come già detto, le proprie playlist e condividerle con i propri amici di Facebook; oppure è possibile

vedere cosa ascoltano gli amici che hanno un account Spotify collegato con quello Facebook in tempo reale. Altra strategia social perseguita dalla società svedese riguarda il tasto “follow” che permette, appunto, di seguire i propri artisti per essere sempre al corrente sulle nuove uscite, o gli utenti più di spicco per vedere cosa ascoltano.

Spotify, però, non è la sola piattaforma di streaming musicale presente sul mercato. I suoi principali competitors sono Deezer, Napster, Tidal e l'ultima arrivata Apple Music. L'avvento di iTunes è solo di qualche anno fa: ha rivoluzionato la musica, ha contenuto la pirateria, ha fatto respirare diverse etichette discografiche ma è già sulla via del tramonto. Come già detto, il download è superato. In questa maniera la Apple ha dovuto correre ai ripari e trovare una soluzione che potesse contrastare la società svedese. Nel 2015, quindi, è stato lanciato Apple Music. Questa piattaforma è simile a Spotify ma a differenza di quest'ultimo non presenta la possibilità di ascoltare musica gratuitamente (con la pubblicità) ma solo tramite un abbonamento da 9,99 $. Ovviamente l'utente medio, avendo già utilizzato in forma gratuita il software svedese è più indirizzato a passare all'abbonamento Premium su Spotify piuttosto che virare su un'altra piattaforma. È anche vero, però, che la battaglia adesso si sta trasferendo sulle varie esclusive. Cioè determinati artisti si accordano con una piattaforma

streaming perché questa abbia l'esclusività dei propri contenuti. È il caso per esempio di

Frank Ocean, che ha fatto uscire il suo ultimo album inizialmente solo su Apple Music. Il software di Cupertino inoltre presenta una vera e propria radio, Radio Beats One, che trasmette ventiquattro ore su ventiquattro e dove artisti come Pharrell Williams o Elton John conducono i propri programmi radiofonici.

Su una diversa strategia si basa invece Tidal, piattaforma streaming di proprietà di Jay-Z, che sta raccogliendo le simpatie di molti artisti (e quindi di più esclusive) fornendo maggiori royalties a coloro che si affidano al suo software. Tidal, infatti, è considerata un po' il servizio streaming per gli artisti. Questo infatti può vantare un collettivo di venti superstar che hanno una partecipazione finanziaria nella società, tra i quali Beyoncé, Kanye West, Jack White, giusto per citarne alcuni. Ma non solo. Oltre al classico abbonamento da 9,99$ al mese, Tidal offre anche un servizio che prevede una modalità d'ascolto lossless, ovvero i brani vengono riprodotti ad un bitrate di gran lunga superiore a quelli dei concorrenti, per una migliore qualità del suono. Non a caso Tidal stesso si presenta come “High fidelity music streaming”. In questo caso, però, il costo sale a 19,99$ al mese. Inizialmente la piattaforma di

Jay-Z si presentava come la diretta concorrente di Spotify ma nel corso del tempo il pubblico non si è molto fidelizzato per il semplice fatto che l'high quality interessa solo pochi intenditori e, quindi, la maggior parte non ritiene conveniente pagare il doppio del prezzo solo per avere un ascolto migliore.

Deezer è, invece, una delle prime piattaforme di musica streaming fondata nel 2007 in Francia che, come Spotify, presenta le due diverse sottoscrizioni al sito: Free e Premium. Il servizio Free prevede, ugualmente, la possibilità di ascoltare musica gratuitamente ma intervallata da vari annunci pubblicitari, mentre quello Premium costa anch'esso 9,99 € e presenta in sostanza le stesse caratteristiche del leader svedese. Come Tidal, invece, Deezer presenta la possibilità di ascoltare i brani senza alcun tipo di compressione con il servizio denominato Deezer Elite (in Italia, però, non è previsto). Anche per la piattaforma francese sono presenti varie playlist, ma l'elemento caratterizzante è la modalità Flow, che riproduce casualmente i brani preferiti dall'utente sulla base di quello che ascolta, e questo può cliccare Mi Piace o Non Mi Piace ad ogni canzone, di modo che il servizio ripresenti in futuro quella determinata traccia o meno.

Infine, tra i principali competitors di Spotify, possiamo citare anche Napster che in questi anni si è rinnovata più volte. Prima è passata da servizio illegale perseguitata da tutte le

major, poi è diventata piattaforma per l'acquisto dei brani come l'iTunes Music Store (ma

senza i mezzi e il catalogo della Apple) e infine ha seguito la tendenza ed è diventato un servizio di musica streaming. Non è prevista la sottoscrizione gratuita ma solo a pagamento, anche in questo caso a 9,99 €.

A Dicembre 2016 gli utenti disposti a pagare un abbonamento mensile per ascoltare musica in streaming hanno sforato il traguardo dei 100 milioni. Nonostante i numerosi concorrenti, però, Spotify resta saldamente al comando del numero degli utenti abbonati, che a Settembre 2016 ha raggiunto quota 40 milioni. Molto più in basso, a 20 milioni, troviamo Apple Music che però, a differenza del concorrente svedese, ha solo un paio di anni di vita. Segue Deezer che è il servizio più usato in Francia, e il nuovo Napster. Tidal aveva raggiunto anche i 3 milioni di utenti paganti ma, probabilmente non ha convinto i propri clienti per le ragioni citate prima e si assesta ora a 1 milione64.

64 https://huguesrey.wordpress.com/2016/09/15/state-of-music-streaming-service-spotify-40m-apple-17m- pandora-4m-sept-2016-business-insider/

Fonte: Midia Research

A Giugno 2015 Spotify è stato valutato 8,5 miliardi di dollari65 e il suo valore non sembra destinato a diminuirsi. Anzi, sembra quasi certa una possibile quotazione in Borsa. Questo potrebbe essere dedotto dal fatto che la società svedese ha deciso di sottoscrivere, a Marzo 2016, un debito convertibile con i fondi di private equity TPG Capital e Dragoneer Investment Group, unitamente ad alcuni clienti della Goldman Sachs, per un ammontare complessivo di 1 miliardo.

Il debito maturerà il 5% di interessi annui, con un incremento di 1 punto percentuale ogni 6 mesi che però non andranno pagati ma andranno a sommarsi al debito contratto fino a che la società non effettui una IPO o fino a che non si arrivi al 10% di interessi annui66.

Gli analisti credono che questo sia un forte indizio di una prossima quotazione in borsa della società perché l'accordo prevede, inoltre, che nel caso in cui Spotify decidesse, entro l'anno successivo, di quotarsi in Borsa, il debito potrà essere convertito in azioni valutate con un 20% di sconto rispetto al prezzo di vendita, con un incremento del 2,5% ogni sei mesi se questo non avvenisse (cosa che, a Marzo 2017, effettivamente è successa). Inoltre il profitto per i due fondi potrebbe essere incassato a 90 giorni dall'effettuazione dell'IPO, cioè metà del tempo di attesa per gli altri azionisti prima di vendere la propria quota azionaria67.

65 http://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/06/10/news/spotify_vola_a_8_miliardi_di_valutazione_il_te ch_e_in_bolla_di_finanziamenti-116522712/

66 https://www.forexinfo.it/Borse-Spotify-valuta-IPO-entro-i