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1. EVOLUZIONE DEL MERCATO DISCOGRAFICO

1.4. LA CRISI

1.4.4. Il prolificarsi della pirateria musicale

Il 1999 risulta essere l'anno più proficuo nella storia del mercato discografico con un fatturato globale mai raggiunto. Tuttavia sarà anche un risultato che non verrà mai più ripetuto, perché il decennio che segue rappresenta il momento più buio nella storia dell'industria discografica. Nessun altro settore dell'industria culturale ha subito in questi anni l'avvento di Internet come il mercato della musica. L'impatto sui consumi è stato notevole: dal 2000 al 2003 l'industria discografica perde quasi il 20% del proprio fatturato47 e il declino proseguirà fino ai giorni nostri. Ma oltre alla drastica diminuzione delle vendite, si è visto come la combinazione fra tecnica e rete digitale abbia mostrato a pieno tutta la “fragilità” strutturale dell'intera industria del copyright di fronte a una tecnologia che permette un'espansione illimitata e incontrollabile di copie private ben oltre i limiti previsti dalle varie leggi.

L'industria discografica è stata la prima a subire l'avvento di Internet e ne sta pagando le spese maggiori perché, con la compressione del file musicale in mp3, risulta facilissimo poter condividere in rete enormi quantità di brani.

47 Daniele Doglio, I nuovi modelli di business dell'industria della musica in rete, Economia della cultura, n. 3, 2010

Fonte: IFPI Records industry in numbers 2014

C'è da considerare che anche l'industria musicale ha le sue colpe. Il suo atteggiamento nei confronti di Internet passa dalla disattenzione totale degli anni 1995/1997, al rifiuto pregiudiziale nel 1997/1998, fino all'aggressività indirizzata a sopprimere la pirateria dilagante degli anni 2000, acquisendo i siti nemici o distruggendoli per vie legali, e tentando di lanciare delle proprie operazioni di commercio legale della musica.

Se il settore discografico ha esultato dopo la dichiarazione di fallimento di Napster, questo ha determinato nient'altro che il prolificarsi di nuovi software e nuovi modi di commerciare musica illegalmente; e questo, chiaramente, si ripercuote sulle vendite.

In questi anni, la pirateria si distingue su due fronti: da una parte la possibilità di riprodurre copie digitali perfette dei contenuti originali, fissarle su supporti fisici e sviluppare un mercato nero delle copie pirate; dall'altra il fatto che si possa comprimere gli stessi brani presenti sul supporto fisico e diffonderlo in rete tramite il P2P senza la minima transazione economica.

Le major discografiche, oltre a combattere nei tribunali i siti di file sharing, provano a sfruttare Internet per creare piattaforme di distribuzione di brani in maniera legale. Il risultato, almeno inizialmente, è un fallimento su tutta la linea. Vengono lanciati siti, di proprietà delle major, come MusicNet, PressPlay, E.music che propongono varie formule di abbonamento e vendita di file musicali. Difficilmente gli utenti iscritti arrivano sopra i 100mila48, anche per via della politica di licensing che non rende disponibili i brani dei propri

48 Daniele Doglio, Internet e industria discografica: fra minacce e opportunità, Economia della cultura, n.2, 2003

cataloghi al sito concorrente. Invece, sul versante illegale gli utenti crescono inesorabilmente, anche perché il fatto che un servizio sia a pagamento mentre l'altro sia gratis annienta ogni possibilità di concorrenza.

Questo continuo declino del mercato discografico contrapposto alla crescita esponenziale della pirateria genera un cambiamento anche nel modo di usufruire della musica: fino a questo momento i modelli di business della musica popolare si sono costruiti su un'ipotesi qualitativa che ruota attorno al format dell'album, cioè un'opera costruita su un pacchetto di brani che rappresenta una certa fase del lavoro dell'artista, a cui viene assegnato un valore economico unitario elevato ma in linea con il suo valore simbolico e con la popolarità dell'artista. Con l'avvento del file sharing, ma anche con le forme di vendita online dei brani lanciate dalle major, si è passati ad un criterio quantitativo che riduce i pezzi a semplici tracce da scaricare individualmente, magari da unire in una playlist personale.

Ma se da una parte è innegabile che l'avvento di Internet, dell'mp3 e del P2P hanno provocato un inesorabile crollo nel fatturato globale, dall'altra è anche vero che vi sono ulteriori motivi che hanno generato la crisi musicale che stiamo vivendo.

In primo luogo il costo esagerato del CD. Nonostante i costi di produzione siano inferiori di un terzo rispetto ai costi di produzione dell'LP, il prezzo di vendita non è mai sceso. Nemmeno quando i brani, a causa del file sharing, sono diventati gratis e accessibili a tutti. Ancora oggi, nonostante le infinite possibilità di ascoltare gratuitamente un brano, i prezzi dei cd oscillano tra i 15 e i 20 euro.

In secondo luogo, questo continuo flusso di brani non ha fatto altro che diminuire la concezione del brano stesso. Dagli anni 2000 l'ascoltatore medio si disabitua completamente all'ascolto attento del pezzo: oggi tutto è rapido, tutto è in movimento, i singoli in classifica scompaiono rapidamente per lasciare spazio alla nuova hit e questo si ripercuote inesorabilmente sul mercato. Da questo momento, coloro che investono nella musica preferiscono farlo solo su artisti che rappresentano un ritorno economico sicuro piuttosto che sulla band emergente, ecco perché spesso i piccoli artisti sono costretti anche ad elemosinare tra i locali pur di fare una data: per il piccolo gestore risulta quasi inconcepibile pagare artisti sconosciuti da far suonare nel proprio locale.

C'è da considerare anche il fatto che la diminuzione delle vendite, ma anche il drastico abbassamento dei prezzi di registrazione dei dischi, abbia provocato un'eccessiva

produzione dei brani che ha saturato il mercato con la conseguenza che la qualità artistica si è, oggettivamente, ridotta in favore della continua ricerca del singolo di successo da sfruttare il più possibile. Questo ha generato una tendenza a realizzare album di interminabile durata dai quali si salvano solo quei due o tre brani che sono già stati lanciati sul mercato come singoli; quegli stessi brani che possono essere facilmente scaricati illegalmente piuttosto che comprarsi tutto l'album. È ovvio che si stia analizzando la situazione in linea generale: la musica, nel corso degli anni, si è sempre evoluta, come lo sta facendo anche in quest'ultimo periodo. È altrettanto ovvio che la produzione continua dei titoli abbia portato, mediamente, ad una riduzione della qualità.

Infine veniamo al problema forse più importante che ha causato questa crisi: la, già citata, mancata comprensione, quantomeno iniziale, della portata di Internet. L'industria discografica, inizialmente, ha sottovalutato il problema e ha cercato di contrastare, per vie legali, il nuovo modo di usufruire la musica piuttosto che cercare di seguirne le tendenze, e questo ha fatto sì che le nuove tecnologie prendessero piede senza una vera e propria risposta da parte delle major. Come già detto, anche i tentativi di distribuzione online delle case discografiche arrivano quando ormai il file sharing è una pratica utilizzata da chiunque ed inoltre, la casa discografica stessa ha il timore di mettere in rete i propri materiali musicali, consapevoli del fatto che poi avrebbero inevitabilmente alimentato il P2P illegale.