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La base semiotica degli stati patemic

La dimensione narrativa e patemica

8.6. La base semiotica degli stati patemic

Sappiamo che il principio saussuriano che fa corrispondere valore, identità e differenza può avere molte e importanti applicazioni. Sap- piamo ad esempio che la musica, tanto dal punto di vista melodico quanto dal punto di vista armonico, non è fatta di oggetti sonori ma di relazioni differenziali tra oggetti sonori: il nostro orecchio comune- mente non identifica note, ma intervalli tra le note. Sappiamo che mol- to di ciò che intuitivamente fa la specificità di un artista, di una perso- na, di un marchio commerciale è il modo in cui disegna una sua diffe- renzialità. E potremmo continuare a lungo. Nelle pagine precedenti ci siamo resi conto che un’altra area della semiotica, quella della narra- zione, forse la più importante e decisiva di tutte, è in larga misura fon- data su un analogo principio. Ma c’è ancora una dimensione su cui è importante riflettere: la dimensione emotiva o, come si dice in semio- tica, patemica.3 A pensarci, la collocazione dei processi emotivi in una posizione decisiva appare evidente fin dal primo momento in cui ci si pone a riflettere sulla logica delle strutture narrative: fondamentalmen- te, la dinamica narrativa è mossa dal volere, dal desiderio, sicché la re- lazione tra dimensione narrativa e patemica è di reciproca presupposi- zione: nessun racconto è possibile senza una tensione emotiva che lo attivi, e nessuna condizione emotiva può esistere se non in quanto ef- fetto semantico di una configurazione narrativa.

Le condizioni patemiche ci si presentano, nei film o nei romanzi co- me nella vita reale, quale senso generato da uno schema narrativo. Per molte di esse, la validità di questo principio è del tutto evidente: si pensi

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Per un panorama teorico e applicativo della “semiotica delle passioni”, si può vedere Pezzini (a cura di) 1991.

ad esempio alla gelosia, la soddisfazione, la delusione, il senso di perdi- ta, l’innamoramento, la commozione… Ma proviamo a prendere qual- che esempio meno ovvio. Consideriamo l’avarizia, che tra l’altro è stata fatta oggetto d’analisi in un fondamentale libro di Greimas e Fontanille (1991). Non si tratta, a ben guardare, solo di un eccessivo attaccamento ai beni e al denaro: c’è anche un eccessivo perseguire l’accumulo di questi oggetti di valore, e insieme la paura che, per una ragione o per l’altra, ciò che si possiede possa andare perso, o che venga sottratto. L’avaro vive continuamente episodi immaginari, ma terribili: quanto più va accumulando, spesso andando contro ogni codice morale e civi- le, tanto più si agitano ai suoi occhi scene che lo terrorizzano. La di- mensione narrativa è dunque evidente in questa costruzione di episodi virtuali, ma lo è parimenti nella definizione di un comportamento aso- ciale, che viene implicitamente contrapposto al comportamento corretto o normale di chi compie gesti di generosità e contribuisce al processo di circolazione e ridistribuzione dei beni. Una condizione patemica non è semplicemente uno stato, ma una tensione verso ciò che si desidera che si avveri e ciò che si teme che accada, tra la catena di eventi che ci ha portato a questo punto e quello che, per altre ragioni, avrebbe invece dovuto essere la nostra linea di comportamento.

Entrambe le prospettive che questo esempio apre sono intriganti, e di rilievo teorico. Da un lato, si mette in evidenza come gli stati emo- tivi derivino dalla costruzione di un racconto simulacrale, fatto di e- venti ancora non accaduti ma possibili in un futuro più o meno vicino. Ecco allora tutta la gamma di stati patemici che comprendono ansia e insicurezza, sospetto e diffidenza, sul versante negativo, e sul versante positivo speranza, aspettativa, fiducia, fino agli estremi della fantasti- cheria e dell’utopia. Particolare la condizione del senso di sicurezza, fondato al contrario su un meccanismo che immagina il verificarsi di eventi negativi, ma questa volta per escluderne la possibilità. Rispon- de, rovesciando ancora questi termini, il senso d’irresolutezza e titu- banza, dove la costruzione di narrazioni possibili si moltiplica tanto da giungere quasi a escludere la stessa possibilità di una scelta consape- vole da parte del soggetto interessato. Altro caso interessante è quello della rabbia che ci prende quando osserviamo lo scarto tra la sequenza effettiva delle cose e quella, molto più favorevole, che pure solo per qualche futile ragione non si è realizzata.

Sull’altro versante, quello del confronto tra comportamento tenuto e comportamento previsto, un caso particolarmente notevole è quello

della vergogna, cui Francesco Marsciani ha dedicato uno studio di particolare interesse (Marsciani 1991). La vergogna, in sintesi, può sorgere o perché ci si rende conto che il proprio comportamento non è conforme a quello che gli altri si aspettavano da noi, o perché noi stes- si lo giudichiamo non conforme a quello che avrebbe dovuto corri- spondere ai nostri principi morali e ai nostri modelli. Anche in questi casi, due linee narrative parallele, poste l’una sul piano di quanto è re- almente avvenuto e l’altra sul piano di ciò che avrebbe dovuto essere, generano l’effetto patemico. Simile, ma reciproco a questo, è il senti- mento d’indignazione, il risentimento, o altre forme d’avversione.

Accertato che gli stati emotivi sorgono da costruzioni narrative, c’è da fare però un passo successivo, e ancora più decisivo dal punto di vista teorico. Se si considerano tutti i casi citati (o altri che posso- no liberamente venire in mente), si può notare che essi implicano tut- ti, alla loro base, un meccanismo di confronto e, grazie a questo, l’azione decisiva di uno scarto differenziale. Casi come quelli della soddisfazione e della delusione lo rendono evidente, riprendendo con tutta chiarezza una struttura narrativa base che muove da un deside- rio iniziale fino alla conclusione, positiva o negativa, del processo mirato al raggiungimento dell’oggetto di valore. Ma da dove viene la rabbia di cui dicevo poco fa, se non dal confronto tra ciò che è acca- duto e ciò che avrebbe potuto accadere? E ugualmente la vergogna o l’indignazione, o ad esempio anche il broncio, non sono generati da un confronto mentale tra due condizioni, o due sequenze d’eventi al- ternative? Ancor più chiaro il caso dell’invidia, dove è palese come la misura della differenza generi direttamente la misura della risul- tante carica patemica. E, per fare un ultimo esempio, si pensi alla struttura portante della nostalgia, oggetto di un piccolo studio dello stesso Greimas (1986): una condizione dolorosa causata dal rimpian- to ossessivo di qualcosa che, al contrario di un normale oggetto di valore, è collocato in una condizione irraggiungibile: o perché in un passato cui non si può tornare, o perché appartenente alla dimensione del mai realizzato. A determinare questo stato di struggimento è qui la distanza tra uno stato attuale e uno stato in ogni caso virtuale – Greimas parla della convocazione di un simulacro.

La nostra conclusione può essere a questo punto recisa: risulta in- fatti che a dare origine agli stati patemici dei generi più diversi sia questa tensione differenziale che si produce nel momento in cui un soggetto rappresenta a se stesso stati alternativi. La gamma delle va-

riazioni possibili (stati passati o futuri, propri o altrui, attraenti o inde- siderabili, eccetera) è la base prima per la diversificazione nella gam- ma delle condizioni emozionali. Forse in nessun altro caso, a pensarci, possiamo constatare – grazie anche all’evidenza speciale che hanno le condizioni emotive – il ruolo primario sostenuto dal principio per cui

il senso corrisponde a uno scarto differenziale. Più scendiamo nella

concretezza del vissuto, e più scopriamo la presenza, e la determinante forza primaria, di questo fondamentale principio semiotico.