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Rappresentare il “reale”

Alcuni punti chiave per la semiotica visiva

5.3. Rappresentare il “reale”

Ora, per mostrare in che modo una diversa prospettiva possa collega- re insieme, nelle stesse categorie teoriche, le componenti figurative e quelle plastiche, facciamo qualche riflessione su alcuni aspetti del pas- saggio dalla tradizionale arte figurativa a quella pittura, non più pro- priamente figurativa e che percepiamo anzi già avviata verso l’astrattismo, in certi ambiti dell’arte occidentale. Va segnalato che mol- te definizioni correnti dell’astrattismo in pittura di fatto non ne parlano in termini di assenza di figuratività: componenti figurative possono senz’altro essere presenti, ma lo sono in un contesto che non sembra mirare primariamente alla rappresentazione naturalistica delle cose. Ciò che caratterizza l’espressione visiva riconosciuta come “figurativa” non dipende dalla corrispondenza per somiglianza dei singoli componenti (i singoli formanti figurativi) bensì dall’effetto d’insieme, cioè dal fatto che la strutturazione complessiva dell’opera appare affidata alla capaci- tà aggregativa della composizione figurativa nel suo insieme: per inten- derci, qualcosa che ha a che vedere con la sensazione, da parte di chi guarda, di trovarsi di fronte a una scena plausibile, coerente e coesa, una scena che può avere in quanto tale una definizione, e che dichiara una sua demarcata autonomia. Davanti a un quadro comprendente invece elementi tutti riconoscibili quali formanti figurativi, ma che non si lega- no insieme a formare una scena coerente, abbiamo già in qualche misu- ra la sensazione dell’astrattismo.

Non a caso, le fasi iniziali di passaggio verso poetiche “astratte” vengono spesso fatte corrispondere proprio all’indebolimento, o alla rottura, della complessiva coesione interna dell’opera, dunque all’in- terruzione della consueta connessione tra le parti, e con questa all’in- crinatura dell’effetto di totalità. Vi si aggiunge, spesso, il venir meno di una definizione chiara e logica dei confini che delimitano l’area vi- siva: la scena non è più coerente, riconoscibile e autonoma. Ci ren- diamo allora conto che solo superficialmente un’opera figurativa sem- bra fondata su un riferimento privilegiato all’esterno (riproduzione di oggetti del mondo), mentre molto dipende da una costruzione specifi- camente interna (tenuta della coesione tra le parti, chiara delimitazione dei confini dell’immagine). Insomma, le componenti figurative, che a prima vista paiono legare il testo all’universo esterno, a uno sguardo più approfondito tendono spesso a sancire l’autonomia del testo, la sua chiusura in uno spazio perfettamente organizzato e la sua separazione da quanto lo circonda. Al contrario, quando si tratta di opere che per- cepiamo come meno centrate sulla figuratività, constatiamo la presen- za di margini più indefiniti e di una maggiore permeabilità con il mondo esterno.

Allo stesso tempo, si rileva anche, nelle opere che escono dal più classico ambito figurativo, la frequente irruzione di componenti casua- li e immotivati, effetti di incompletezza, o la messa in discussione del rapporto figura/sfondo – tutti caratteri, è interessante sottolinearlo, che sono propri anche alla costruzione dell’effetto di “astratto” in ambito musicale. Ad esempio, in un libro dal significativo titolo Cosa rende

moderna l’arte moderna, Kirk Varnedoe (1990) considera quale e-

sempio fondamentale un quadro di Degas del 1875, intitolato Place de

la Concorde. Il quadro è, superficialmente, del tutto figurativo: vi si

vedono due signori elegantemente vestiti, con cappello a cilindro, po- sti uno in primo piano (sappiamo anche che è il visconte Lepic) e l’altro lungo il margine sinistro; in primo piano ci sono anche due bambine, dal vestito molto simile a quello del Visconte, e un cane da caccia; sullo sfondo vediamo una carrozza, degli alberi, un monumen- to, delle case parigine… Tuttavia, il quadro appare decisamente ano- malo. Innanzi tutto, dal punto di vista topologico, quella che potrem- mo dire fotograficamente “inquadratura” è decisamente sbagliata: l’immagine mal centrata taglia i personaggi in primo piano all’altezza delle gambe e ancor più infelicemente taglia a metà il personaggio sul margine sinistro. E tra i personaggi non c’è coerenza: il visconte muo-

ve chiaramente verso destra, mentre le bambine e il cane sono voltati verso sinistra e sembrano far parte di un altro spazio non compatibile con il primo. Ora, secondo Varnedoe, il concetto decisivo è questo: Degas non sta violando i canoni di una rappresentazione realistica, ma tutt’al contrario sta portando in pittura (ispirato dal suo interesse per la fotografia, probabilmente) un senso di verità attraverso la costruzione di effetti di casualità e contingenza, e dunque attraverso l’abbandono di un’estetica antinaturalistica della perfezione e dell’armonica chiusu- ra dell’opera d’arte.

Stando a questa analisi, che cosa sia stato raffigurato nel quadro appare decisamente secondario – pur se daremmo sicuramente un va- lore al fatto che si tratti di eleganti e nobili personaggi parigini, seri, compassati e a loro modo “rappresentativi”. Gli elementi decisivi so- no di ordine non figurativo, soprattutto topologico; eppure, perché questi possano esistere, le componenti figurative sono indispensabili. Come sarebbe possibile dire che non vi è coerenza nella posizione del visconte e delle figlie, se non fossero comunque disegnati un per- sonaggio adulto e due bambine? I formanti figurativi si collocano al primo livello, mostrando debole capacità semantica ma grande pre- senza sulla superficie visiva. Tuttavia, pur essendo il quadro zeppo di elementi figurativi, non sono questi bensì la loro organizzazione plastica ad assumere una posizione di rinvio al reale, come se si di- cesse: «questo quadro rompe con l’equilibrata, chiusa e irrealistica organizzazione topologica dell’arte classica, dato che vuole sottoli- neare la natura invece disorganica, aperta ed evenemenziale del rea- le. Non più un universo idealizzato, ma, intendiamo dire, il mondo come lo si può di fatto vedere, disordinato e casuale: il reale com’è». Comprendiamo allora che quando un progetto di rappresentazione del reale non mira più a riprodurne le entità percepibili, bensì a ren- derne la struttura intellegibile, allora la componente plastica può fa- cilmente assumere il ruolo primario. L’arte moderna ha non a caso in più modi enunciato questo tipo di principi: dipingere ciò che si sa, o ciò che si sente, invece di ciò che si vede, dipingere non le cose ma le proprie emozioni di fronte ad esse, dipingere proiezioni di un mondo sognato più che visto, o magari dipingere l’astratta struttura emozionale che un paesaggio o un evento ci danno, senza nulla rap- presentare dei suoi visibili componenti concreti – perché non sono questi l’importante, ma la nostra emozione è ciò che vi è di più vero e più reale. In tutti questi casi, può facilmente venir meno la classica

costruzione figurativa, ma non viene meno il principio della correla-

zione analogica: semplicemente, quello che vediamo sulla tela non è

analogo a qualcosa di “toccabile”, bensì a qualcosa di “pensabile”. D’altro canto, su questa base si potrebbe tornare indietro, osser- vando che anche in quella che si considera come la più tradizionale pittura figurativa, le componenti riconoscibili e immediatamente ico- niche agiscono spesso da supporto a un discorso che poggia piuttosto il suo significato sulla costruzione di geometrie complesse, sull’uso metaforico delle luci e delle ombre, sulle suggestioni di puri, astratti valori cromatici e così via. Ma quanto, nella produzione artistica di tutti i tempi, non è a ben vedere rappresentazione dell’intellegibile, più che non del visibile? Appena abbandoniamo la concezione ridut- tiva della rappresentazione iconica, incomincia a delinearsi un uni- verso, differenziato ma organico, di procedimenti di significazione analogica. Poiché poi il lettore, a questo punto, avrà molto probabil- mente percepito l’assonanza tra queste riflessioni e quanto più sopra si era detto a proposito della realizzazione di immagini fotografiche, è facile osservare come queste categorie, e queste logiche espressive, non siano affatto specifiche all’una o all’altra forma di espressione visiva. Ma, dal momento che vogliamo allargare la nostra riflessione sulle funzionalità semiotiche delle categorie plastiche anche al di fuori del tradizionale ambito visivo, introduciamo ora un breve e- sempio che interessa cinema e musica (un altro esempio cinemato- grafico di analogo tenore sarà presentato più avanti, nelle pagine di chiusura di questo libro).